Dopo giornate di polemiche a vari livelli, che sempre hanno accompagnato la gestione dell’emergenza legata alla pandemia Covid-19, è arrivata in una domenica di metà agosto la decisione del Governo nazionale di chiudere le discoteche su tutto il territorio nazionale, con l’obbligo di mascherina dalle 18.00 alle 06.00 anche in luoghi pubblici e spazi aperti in cui con facilità si possono creare assembramenti. Il tema dei contagi e della situazione sanitaria non è andato in ferie e sui social continua a essere il principale argomento di discussione, come all’interno della politica, nonostante si avvicini la scadenza elettorale del referendum costituzionale e quella delle elezioni amministrative. Ne parliamo nella nostra rubrica settimanale a più mani.
Leonardo Croatto
Piergiorgio Desantis
I nuovi casi (pari a 3.351 nell’ultima settimana) di positività al Covid-19 in Italia sono ben più di una campanella d’allarme. Il ministro Speranza adotta un’ordinanza (forse tardiva ma di buon senso) che prevede la sospensione delle attività per i locali destinati al ballo (all’interno e all’esterno) e l’obbligo delle mascherine anche all’aperto dalle 18 alle 6 del mattino ove c’è rischio di assembramento (fermo restando le altre misure di distanziamento sociale che rimangono comunque in vigore). Continua quindi, in Italia e nel mondo, l’emergenza sanitaria che sembrava (almeno per alcuni anche medici e virologi) passata, perlomeno nell’apice della virulenza. Lasciando da parte gli aspetti sanitari (che continuano a essere esigenza comunque prevalente su ogni altra), queste ultime misure possono essere prodromiche a ben più restrittivi provvedimenti per fine estate e inizio d’autunno, se la situazione andrà complicandosi. Sperando che, comunque, si riesca a trovare un vaccino e che esso sia gratuito e per tutti, è utile riflettere sulla crisi del capitalismo (che continua a approfondirsi) dinanzi all’emergenza sanitaria, non essendo quest’ultima in una fase declinante. Sarà difficile, se continuerà a essere così pericoloso il contatto sociale, che l’economia, stante questo modo di produrre, ricominci a marciare e a produrre utili. Il capitalismo ha bisogno di pompare e far girare merci, persone e capitali, perché altrimenti – semplicemente – crolla. Il Covid-19 ha bloccato in parte o del tutto merci e persone, quindi tutti i mercati ne hanno risentito pesantemente e, con ogni probabilità, continueranno a risentire della situazione altalenante. Sarebbe davvero necessario avviare, quindi, una profonda riflessione sulla compatibilità del capitalismo non solo con l’ambiente ma anche con la specie umana stessa, intesa nella sfera più ampia e più vasta che comprende diritti sociali, economici e la vita stessa di tutte le specie viventi. È sempre piuttosto facile scadere nel catastrofismo ma, oggi, è assai urgente provare a fare anche qualche passo in avanti per l’umanità tutta.
Dmitrij Palagi
Ad agosto ci sono poche notizie, tradizionalmente. La politica vive le settimane estive come quelle in cui è possibile trovare maggiore spazio, mentre chi governa abitualmente si riserva di prendere qualche decisione impopolare, confidando nella distrazione estiva dell’opinione pubblica. Questo 2020 vede il mese di agosto ancora segnato dal Covid-19, che tutto oscura e che continua a occupare quotidianamente il sistema di informazione. Bollettini ossessivi, curve che si incrociano tra livello globale, nazionale, regionale e focolai locali. Teoria del complotto, nervosismo, paura, mentre tanti nodi critici non sono stati sciolti. La conflittualità tra Governo nazionale e regioni si è forse ammorbidita, vista la trasversalità di alcuni errori del recente passato, ma non è scomparsa. La chiusura delle discoteche segue a settimane di dibattito, mentre sui migranti e sul turismo sembrano mancare indicazioni omogenee. La scuola non è un’opportunità ma fonte di preoccupazioni. La medicina territoriale non è stata rilanciata, si sta solo provvedendo ad aumentare i posti in terapia intensiva e fare i conti con le scorte di DPI disponibili. La polarizzazione del dibattito è quindi oggi sul “popolo della sera”, quello degli apertivi e delle discoteche. Colpevole di consumare come chiede la società, ma senza grandi ipocrisie e senza porsi limiti. Se sui social è lecito tradurre le chiacchiere da bar come meglio si crede, le istituzioni e la politica dovrebbero definitivamente abbandonare l’approssimazione, dopo così tante settimane passate dalla sorpresa e dal disorientamento che poteva essere compreso nelle prime fasi, ma ora si limita a essere un monumento all’incapacità di chi ricopre ruoli politici pubblici.
Jacopo Vannucchi
Si può forse eccepire che la chiusura delle discoteche, giungendo il 16 agosto, sia stata estremamente tempestiva per consentire ai gestori gli incassi ferragostani. Non amo invece la linea “bastava non riaprirle”, perché non riaprendole si sarebbero avuti due effetti: il primo, stroncare senza possibilità di ripresa un settore economico; il secondo, ammettere a priori che i gestori non sono in grado di far rispettare le regole di distanziamento fisico.Riguardo il primo punto non credo neanche io che un’attività umana possa essere socialmente giustificata solo dal suo prodotto economico e già in passato in questa rubrica ho messo in rilievo la necessità di modificare anche i modi e le forme dello svago, cogliendo l’occasione della pandemia per forme di socializzazione veramente tali e meno alienanti. Tuttavia, il crollo improvviso di un settore produttivo porta con sé necessariamente conseguenze sul piano economico, e ancor più su quello sociale, che aggravano una situazione già in crisi in attesa del Recovery Fund. Aver consentito la riapertura – al di là della furba attesa del 15 agosto per la chiusura – è stato, sotto l’aspetto produttivo, doveroso.È doveroso riaprire a patto che, beninteso, siano garantite le condizioni di sicurezza sanitaria. I gestori privati non sono stati in grado di farlo. Perché reso strutturalmente impossibile dalle modalità di svago di una discoteca? In parte sì, in parte no. In parte sì, ma quelle modalità che lo impediscono sono le stesse modalità alienanti che si è detto devono essere cambiate. In parte no, perché – per dirla con una certa franchezza – se a Leningrado vissero due anni e mezzo mangiando impasti di fango e sciroppo di aghi di pino, allora si potrà stare un anno con un po’ più di distanziamento e un po’ di meno movimento in discoteca. Non faccio questo paragone per iperbole o per benaltrismo, ma appunto per mettere in prospettiva quanto piccoli siano alcuni sacrifici che ci viene chiesto di fare.Talvolta si devono fare dei sacrifici per un bene collettivo. Talvolta invece la vita impone di farli e basta, senza neanche un bene collettivo che se ne giovi. La società civile da sola non pare in grado di accettare questa realtà e comportarsi di conseguenza. Da diversi anni sono convinto che la crescente pressione dell’uomo sull’ecologia sta portando a urgenze in materia di distribuzione delle risorse e di riduzione dei bisogni fittizi che soltanto uno Stato a carattere socialista può risolvere. La chiusura delle discoteche non è il socialismo, ma certamente è un aspetto dell’adeguatezza dello Stato come mezzo per conseguire obiettivi comuni.
Alessandro Zabban
Dopo aver drasticamente abbassato il numero di nuovi contagi giornalieri, di ricoverati in terapia intensiva e di decessi, l’Europa si riscopre fragile di fronte al Covid-19 che pensava di aver almeno temporaneamente e virtualmente debellato. Ancora un volta non si è voluto imparare nulla da Paesi come Vietnam o Corea del Sud che hanno avuto nuovi focolai nonostante un’organizzazione e un’attenzione alla prevenzione nettamente migliore della nostra. Così il capro espiatorio sono i giovani, categoria sociologica definita sulla base di coloro che fanno la movida come se le discoteche non fossero infestate da mandrie di quarantenni e cinquantenni o come se andare al pub fosse necessariamente più promiscuo di una cena di lavoro. Ci si lamenta che i giovani si contagerebbero più di prima, ma bisognerebbe capire quanti tamponi nella fase emergenziale sono stati fatti a queste coorti di età.Se il problema sono le discoteche, bastava non riaprirle, del resto persino un bambino avrebbe capito che nessuno avrebbe rispettato le assurde regole imposte sul distanziamento e mascherina, che cancellano la funzione stessa della discoteca come luogo di svago. Invece si è preferito riaprirle e poi lamentarsi coi “giovani” che sono tornati a frequentarle. Bamboccioni, choosy e anche un po’ untori.
Immagine da commons.wikimedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.