Affluenza superiore al 50% ma inferiore al 55%. Netta affermazione del sì al referendum costituzionale, che si avvicina al 70%. Questi sono i primi dati che escono dalla due giorni elettorale di settembre, segnata dalla pandemia e da un campagna elettorale estiva particolare. Il commento a più mani di questa settimana si basa su risultati parziali, ma inizia una lettura della fase che ci accompagnerà anche nei prossimi giorni.
Leonardo Croatto
Nonostante il grande clamore suscitato da queste regionali e da questo referendum, non sembra, alla fine, che si accaduto il cataclisma paventato negli ultimi mesi.
Al referendum ha vinto ampiamente il SI, risultato per niente stupefacente visto il vento di antipolitica che soffia oramai da anni, mentre nelle regioni ha vinto chi ci si aspettava vincesse, così come molto probabilmete succederà nei comuni, di cui si attengono ancora i risultati.
Si conferma la forza dei presidenti uscenti di Veneto, Puglia, Liguria, Campania e si conferma anche la maggioranza di governo in Toscana, nonostante l’uscita di Rossi. Cambia colore, alla fine, solo la regione Marche.
Se i numeri non consegnano grandi sorprese, queste elezioni confermano ancora una volta che tra lo stato delle cose e la loro narrazione ci può essere anche una distanza enorme, e la capacità di guidare la scenarizzazione della realtà può dare vantaggi politici enormi.
In questo senso, il Partito Democratico, rappresentato come fragile e probabilmente soccombente difensore di posizioni facilmente contendibili, emerge vincitore della contesa nonostante una regione persa, mentre per la Lega, data per imbattibile, le sconfitte in Toscana – dopo analoga situazione in Emilia-Romagna – e in Veneto – dove Zaia ha trionfato con una sua lista che ha azzerato il risultato del partito di Salvini – moltiplicano il loro apparire disastrose.
Sul racconto di una sconfitta imminente e della calata delle truppe di Mordor sulle verdeggianti colline del Chianti si è sviluppata anche tutta l’orribile campagna elettorale Toscana del Partito Democratico, costruita seguendo le ricette che Trump sta usando negli USA: un orribile nemico alle porte, la fine della civiltà come l’abbiamo conosciutà, la chiamata dei patrioti alla difesa del suolo natio, il condottiero valoroso che può fermare le truppe degli Orchi guidate dallaNazgûl Susanna Ceccardi. Trucco perfettamente riuscito, visto il grande recupero di voti assoluti rispetto al secondo Rossi, dovuto anche all’aumento dei votanti rispetto alle scorse regionali (430.000 in più rispetto al 2015!). La Paura, in politica, è evidente, muove molti più elettori e sposta molti più voti di un programma ben scritto.
Tristi le parabole delle sinistre a sinistra del PD un po’ ovunque, e tristissima la fine dell’esperienza Si – Toscana a Sinistra: Ancora una volta una scissione da destra di una frazione disponibile al soccorso elettorale al PD decreta la morte di un’esperienza che, nonostante il clima avvelenato di questa compagna elettorale, unita avrebbe potuto proporsi come un’opposizione di sinistra in Consiglio Regionale, ripetendo la dignitosissima prestazione dell’ultima consiliatura.
Piergiorgio Desantis
Nessuna sopresa dopo questa tornata di elezioni regionali e comunali, unite al referendum sul taglio dei parlamentari. Rispetto all’ultima consultazione continua l’ombra lunga di una narrazione, ormai ventennale, che individua la politica come bersaglio e causa della crisi che viviamo. Evidentemente le ben poche ragioni per sostenere il SI portano facilmente a una riduzione della democrazia e della rappresentanza, spacciata per riduzione dei costi. Pare proprio essere il classico esempio di operazione di messa a fuoco del dito piuttosto che della luna. Circa le elezioni regionali, si conferma la forza del maggioritario ormai introiettato dagli elettori sotto forma di “governatori” (altrimenti detti presidenti di regione), mentre davvero poche tracce (neanche di testimonianza) rimangono a sinistra nei consigli regionali. In Toscana, scansato il reale pericolo della Lega, resta il vuoto cosmico di una sinistra (dentro o fuori il centrosinistra) che riesce a interloquire con pochissimi e con sempre maggiori difficoltà, fino all’estinzione. Probabilmente, andrebbe posta l’attenzione a un contesto politico che sempre più assume le fattispecie USA piuttosto che europee, con una logica bipolare e maggioritaria nei fatti. Non c’è da gioire ma provare a ragionare, ossia quello che manca a sinistra.
Dmitrij Palagi
Il sistema politico è salvo.
Il sì, sostenuto dal Governo Conte 1 (Movimento 5 Stella – Lega) e dal Governo Conte 2 (Movimento 5 Stelle – Partito Democratico – Liberi e Uguali divisa) registra poco più di 30% di opposizione che sembra comunque un “miracolo”.Campania, Toscana e Puglia restano in mano al centrosinistra. Le Marche passano alla destra, che conferma di essere l’opzione nazionale più forte, perché compatta e unita come opposizione/alternativa. Il Movimento 5 Stelle si accontenta di essere il vero promotore del quesito referendario, mentre centrosinistra e centrodestra si aggrappano ai loro parziali risultati.Impressionante ovviamente la conferma personale di Zaia della propria lista civica, ampiamente prevista dai sondaggi.Vergognosa è la modalità del voto utile, che trova una sinistra impreparata, divisa e ingiustificabile, che si presenta in ordine sparso a ogni appuntamento (fatto forse salvo il referendum) e paga l’assenza di una proposta coerente, che abbia almeno un orizzonte nazionale coerente.
L’assenza di un progetto che si propone un altro mondo possibile affossa tante esperienze. Le falci e martello annaspano, concorrendo a quella sinistra radicale istituzionale che non riesce a ritrovarsi.I nodi tattici si confondono con l’assenza di visioni di insieme.
L’elezione diretta degli esecutivi esce rafforzata da un voto strano, in cui la pandemia e i mesi estivi hanno contribuito a esasperare i difetti del sistema politico italiano. Che esce però rafforzato. Ogni pezzo che ne fa parte può dire di aver in parte vinto.
Un classico (noioso e stantio). Nessun perdente. Nessun vincente. Se ci fosse nel mezzo la partecipazione e se le elezioni non si riducessero a una partita in cui tifare una delle parti, potrebbe anche avere un senso: ma un senso non lo ha.Perché in questo sistema politico quello che sembra mancare è proprio la politica, almeno per come è stata pensata da chi ha dato vita alla Repubblica e alla Costituzione.
Jacopo Vannucchi
Il 30% di No al referendum sulla mutilazione del Parlamento dice che quella scelta avrebbe potuto essere davvero competitiva se i partiti avessero evitato di schierarsi completamente per il Sì.Vale la pena richiamare una differenza con il referendum che nel 1978 propose l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti: quelli schierati per il Sì (PR, DP, PSI) avevano ottenuto complessivamente, alle politiche del 1976, il 12,2%. Il 6,1% era stato raccolto dal MSI, che aveva lasciato libertà di voto. Il Sì però ottenne il 43,6%, segno che un elettore su tre degli altri partiti (fra i quali i due maggiori, DC e PCI) aveva contraddetto l’appello per il No.In quell’occasione il popolo fu più antipolitico dei partiti.Questa volta, invece, i partiti sono stati più antipolitici del popolo: il Sì era sostenuto da M5S, Lega, PD e Fd’I, che complessivamente alle europee 2019 hanno ottenuto l’80,6%, undici punti sopra il risultato referendario finale.Lasciando stare gli evidenti motivi che spingono la destra alla concentrazione oligarchica del potere (ipotesi del resto sostenuta anche a “sinistra” dal prof. Zagrebelsky, e già nel 2016), ci si chiede per qual motivo il PD si sia schierato in nome di un “sì riformista” – Neolingua di alto livello, per persone che al Parlamento Europeo hanno votato per l’equiparazione Urss-Terzo Reich. La risposta credo vada individuata nella terribile dipendenza dei partiti dai finanziamenti privati, dopo che nel 2013 il Governo Letta (nipote) ha abolito il finanziamento pubblico. Una spirale oligarchica e autoritaria che si autoalimenta e che non può che condurre in ultimo alla rottura completa del patto sociale.Per quanto riguarda le regionali, il 3-3 finale è ben inferiore al 5-2 riportato dal centrosinistra nel 2015, tanto più che all’epoca aveva votato anche l’Umbria (passata a destra a ottobre 2019) e, conteggiandola, il 3-3 si tramuta in un 3-4 a vantaggio della destra. In attesa che il Parlamento Europeo chieda per il Veneto, come per la Bielorussia, elezioni libere (se non è credibile l’80% a 10% di Lukašėnka non può esserlo neppure il 76% a 17% di Zaia), noto che il risultato toscano ricalca in modo sorprendente quello delle regionali del 2000. Il centrosinistra al 49%, la destra al 40%, e al 7% una formazione antisistema – allora Rifondazione, oggi il M5S. Il che a mio avviso non indica un arretramento nella coscienza di classe del 7% dei toscani, ma semplicemente il fatto che già vent’anni fa il PRC non rappresentava affatto una posizione di critica analitica del capitalismo, ma soltanto una valvola di sfogo interna al sistema.Mentre scrivo, Fattori in Toscana è al 2,2%. Due considerazioni. 1) Non è al 10% indicato dal sondaggio da lui diffuso a inizio mese (leggi qui). 2) Le candidature a destra di Giani ottengono il 47%, quelle a sinistra il 4%. Anche stavolta è stata sfatata la solfa delle “praterie a sinistra”, “non votano il PD perché non è di sinistra”, eccetera.
Alessandro Zabban
Se il voto demagogico per il Sì era scontato potesse agilmente prevalere nel Referendum, meno scontati erano i risultati delle elezioni regionali che infatti hanno regalato alcune sorprese. Complessivamente, si nota un certo declino, soprattutto a sud, della Lega che impedisce al centrodestra di essere quella macchina da guerra perfetta che abbiamo visto alle precedenti tornate elettorali regionali. Zaia trionfa in Veneto ma per Salvini potrebbe rappresentare più una spina nel fianco che una vittoria da sbandierare (fra l’altro la lista personale di Zaia ottiene molti più voti della Lega). In generale, l’emergenza della pandemia potrebbe aver giocato un ruolo decisivo nell’accrescere i gradimenti dei governatori in carica alla ricerca di un secondo mandato, come confermano gli ottimi risultati di Emiliano, De Luca, Toti e lo stesso Zaia. L’altro grande sconfitto è Renzi che si dimostra del tutto ininfluente (Giani in Toscana avrebbe vinto anche senza di lui, mentre in Puglia e in Liguria ha fatto una bruttissima figura). Il 5 Stelle non brilla ma puntava principalmente nella vittoria del Sì al Referendum, mentre il PD si può considerare soddisfatto, viste le premesse dalla vigilia. Ma la sua compagna elettorale, soprattutto in Toscana, fondata sul moto “votate noi se no vincono loro”, al di là dell’aspetto etico, mostra delle preoccupanti mancanze di contenuti. Sicuramente però ha pagato nel breve termine e a fare le spese dell’appello al voto utile è stata la sinistra cosiddetta radicale che ha collezionato brutti risultati ovunque, anche se ovviamente i problemi vengono comunque da molto lontano.
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Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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