Pubblicato per la prima volta l’1 novembre 2016
A cura di Chiara Del Corona ed Elena De Zan
Rohina Bawer è una giovane donna nata a Kabul, in Afghanistan, che oggi si batte, grazie a un progetto di lavoro con COSPE e HAWCA (Humanitarian Assistance for Children and Women of Afghanistan), per la difesa degli attivisti e dei diritti umani. Nel suo lavoro con le due associazioni, si occupa prevalentemente di comunicazione e di coordinamento dei vari focal point che lavorano nel progetto nelle diverse province afghane.
So che tu sei nata a Farah, una provincia a est del paese ma per sedici anni hai vissuto come immigrata in Pakistan e in Iran. Come hai vissuto lo sradicamento dalla tua terra? E come sei stata “accolta” da Pakistan e Iran?
Sono stata un’immigrata in Pakistan per circa sedici anni e per tre in Iran. L’Afghanistan era in guerra quando sono emigrata; ovunque aleggiava il rumore degli spari dei fucili e dei raid militari, e per trovare una fuga dalla guerra, siamo andati in una città vicina. In Iran la situazione della mia famiglia, come quella di milioni di altri immigrati afghani, era terribile: eravamo molto poveri, avevamo perduto ogni cosa, come la nostra casa, o il nostro giardino fresco, verde e pieno di frutta. Quando lasciammo l’Afghanistan portammo con noi solo pochi vestiti. Mentre ero in Iran, cercai di oppormi alla discriminazione che il governo iraniano perpetrava nei confronti degli immigrati afghani. Le persone afghane hanno dovuto fronteggiare molti atteggiamenti fastidiosi del governo iraniano che chiedeva loro cosa facessero in Iran e che affermava avrebbero dovuto tornare nel loro paese e altre frasi scoraggianti come queste.
Per i bambini afghani andare a scuola era molto complicato e per le bambine lo era ancor di più: ho ancora impresso in mente il momento in cui mio padre supplicava la direttrice per convincerla a farmi iscrivere alla scuola. Sfortunatamente molti altri bambini afghani non hanno avuto questa possibilità e sono rimasti fuori dall’istruzione iraniana.
Nelle scuole iraniane c’era una forte discriminazione nei confronti degli studenti afghani. Questi erano scoraggiati dall’atteggiamento di alcuni insegnanti bigotti: ad esempio, quando gli studenti afghani ottenevano un buon risultato, non ricevevano alcun incoraggiamento o encomio, inoltre non avevamo un facile accesso ai libri della biblioteca ma usavamo i libri islamici e pregavamo di più rispetto agli iraniani. Per questo loro provavano a insegnare agli studenti afghani come diventare degli estremisti della shia, per il futuro dell’Afghanistan, e questo era orribile.
Come è noto, durante il governo dei Talebani, che hanno dominato l’Afghanistan per quasi la metà di un decennio, sono stati soppressi la maggior parte dei diritti fondamentali, soprattutto a scapito delle donne, a cui veniva proibito di lavorare, studiare, uscire di casa senza essere accompagnate da un uomo, che venivano controllate su abbigliamento e comportamento, etc… Vedi dei cambiamenti dopo l’ufficiale crollo del regime (per quanto i Talebani mantengano il loro potere a livello locale), nel 2001, per quanto riguarda i diritti delle donne e i diritti umani in generale?
Durante il governo dei talebani non c’erano scuole in Afghanistan, mentre adesso abbiamo alcune scuole per ragazze e ragazzi, abbiamo donne nel Parlamento e nel Senato, e qualche donna che lavora nella comunità, ma questi cambiamenti non sono sufficienti per l’Afghanistan, soprattutto se messi a confronto con tutta la quantità di denaro che è stata investita per il supporto alle donne e ai bambini. Gli Stati Uniti, insieme ad altri 44 stati, sono venuti in Afghanistan con gli slogan “Porteremo la libertà alle donne afghane” e “guerra al terrorismo”, ma il paese ancora oggi vive la guerra, i diritti delle donne sono ancora sotto attacco. La violenza è aumentato e ancora oggi si sente parlare di mutilazioni femminili, di lapidazione, di violenza sessuale e di maltrattamenti. Furkhanda e Rukhshana sono esempi di questo fondamentalismo che è stato messo in luce dalla presenza occidentale ma che ancora oggi affligge il paese (girando, è possibile vedere come in molte province ancora le donne sia costrette ad indossare il burqa e come non ci siano scuole per ragazze).
Tuo padre, laureato in chimica all’università di Kabul, durante l’occupazione russa, ha regalato 5 paia di stivali alla direttrice della tua scuola per permetterti di studiare. Pensi che l’istruzione sia una chiave di accesso per l’emancipazione e una presa di consapevolezza del ruolo che si può assumere all’interno della propria società e dei propri diritti? Cosa ha significato per te avere l’opportunità di studiare e di laurearti?
Quando siamo scappati dalla guerra non avevamo un posto dove vivere, avevamo perso la nostra casa e il nostro adorato giardino, così verde e pieno di uva. Abbiamo cercato un posto per trovare scampo dai raid militari, siamo emigrati in Iran ma qui i bambini afghani non potevano iscriversi a scuola: la scelta era tra il non soffrire la fame e l’andare a scuola. Mio padre decise di rischiare la fame pur di mandarmi a scuola ma quando cercò una scuola a cui iscrivermi, non riuscì a trovarne, proprio perché sono afghana. Alla fine trovò un istituto che era molto lontano dalla nostra casa, mio padre supplicò la direttrice di iscrivermi alla scuola promettendole che sarei andata molto bene e che non avrebbe mai preso voti bassi. Da principio la risposta fu negativa e chiesero a mio padre se aveva dei soldi. Lui rispose che no, non aveva soldi ma che sapeva fabbricare le scarpe; allora la direttrice gli disse di darle un paio di stivali. Mio padre mi disse che se non andavo a scuola il mio futuro si sarebbe distrutto e anche mia madre supportò la decisione di mio padre: è per queste ragioni che mio padre donò gli stivali convinto che fosse meglio essere poveri che non ricevere un’educazione. Per me educazione significa potere.
I regimi fondamentalisti, tra cui quello dei talebani, si presentano come i veri difensori della religione islamica. Credi che la negazione dei diritti, in particolare per le donne, abbia effettivamente un ancoraggio nella religione islamica e in alcuni precetti del Corano, o piuttosto questa soppressione delle libertà e dei diritti del proprio popolo è strumentale per renderle sempre più sottomesse e impedire loro una reale presa di coscienza e la formazione di un pensiero critico?
Le donne in Afghanistan dovrebbero comprendere che i loro diritti devono conquistarli con le proprie mani e finché non raggiungeranno questa consapevolezza non saranno mai testimoni di quel giorno in cui le loro condizioni miglioreranno. Noi donne dovremmo unirci e nessuna donna in nessun paese del mondo dovrebbe ottenere i propri diritti col sangue di qualcun altro, senza lottare in prima persona. In passato per 15 anni abbiamo sperimentato il “regalo” degli Stati Uniti e della Nato, che non si è rivelato altro che una diversa forma di schiavitù ed inganno.
Ciò è andato avanti per quindi anni, finché gli U.S.A non hanno iniziato la loro “Guerra al terrorismo” e hanno iniziato con le loro dichiarazioni sulla difesa dei “diritti delle donne”, i “diritti umani”, “la giustizia”e “la stabilità” in Afghanistan. Tutto ciò facendo però anche affidamento su fondamentalisti quali Sayyaf, Qanouni, Fahim, Khalili, Abdullah, Mohaqiq, Atta, Ismail, Khuram, Almas, Dostum, Sherzoy, Farooq Wardak, Arghandiwal: individui misogini, tra le creature più brutali e corrotte al mondo. In questo periodo di occupazione, più di 44 paesi sono stati saccheggiati e dominati dai fondamentalisti, e, al contrario delle false notizie e della falsa propaganda che i media occidentali hanno diffuso, le donne afghane non hanno potuto ottenere la maggior parte dei loro diritti. Anzi, le loro difficoltà e la loro sofferenza è stata slealmente usata in maniera strumentale dalla politica colonialista degli U.S.A e dell’occidente in generale.
Poiché gli Stati Uniti si preparavano ad attaccare il regime dei Talebani che governava l’Afghanistan, la first lady di allora, Laura Bush, indirizzò al popolo americano, da parte del marito, un messaggio via radio per dire che una delle ragioni per cui muovere guerra all’Afghanistan dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, era proprio la difesa delle donne afghane dalle brutalità che venivano perpetrate contro di esse dal regime fondamentalista. Nonostante la guerra contro i talebani sia formalmente finita, le donne continuano ancora oggi ad essere trattate come delle proprietà e non passa settimana senza che ci arrivino notizie di donne afghane colpite a morte, bruciate col gasolio, picchiate o torturate dai loro protettori, vendute per ripagare dei debiti, imprigionate per esser fuggite da un marito violento o vendute come spose bambine.
L’Occidente spesso tende a voler diffondere (e alle volte imporre) i propri valori e i propri modelli di riferimento ad ogni altra civiltà, ritenendoli valori propri di una società libera e democratica. È giusto secondo te questo modo di pensare e, secondo te esistono valori universali che dovrebbero esser condivisi e applicati da ciascun popolo in ciascuna epoca o credi che i valori siano “etnocentrici” e che ogni società è giusto che abbia i propri? E se esistono dei valori universali, quale potrebbe essere il metodo più efficace per poterli trasmettere in contesti molto diversi da quelli occidentali, e riuscire a conciliarli con diversi tipi di cultura e di tradizioni?
Secondo me il fatto è che ogni paese fa riferimento ai suoi specifici valori e alla propria cultura specifica. Ciò che l’occidente vuole fare in Afghanistan non è portare la democrazia o la libertà al popolo afghano, non l’ha mai voluto: l’occidente ha i suoi obiettivi e i suoi piani strategici e solo questi sono i motivi per cui è in Afghanistan. Sono però passati anni senza che ci sia stato alcun cambiamento per la vita della popolazione afghana, se non il fatto che la situazione oggi è persino peggiore di prima.
Nel 2013 eri rappresentante di un’unione di 500 studenti afghani che si impegnavano per abbattere le discriminazioni nei confronti delle ragazze. Quali erano le vostre azioni principali e quanta la libertà per portarle avanti? E che riscontro avete avuto sia da parte delle vostre coetanee che da parte delle istituzioni universitarie e del governo?
Sì, sono stata a capo di unione per promozione della solidarietà tra i giovani afghani: protestavamo contro il governo pakistano a causa dei raid nei confronti di Kuter, una provincia afghana, e siamo riusciti a coinvolgere molti studenti e molte persone del posto supportavano la nostra causa mentre i media la osteggiavano. Siamo riusciti ad organizzare incontri con studenti di diverse facoltà e a promuovere programmi finalizzati allo sviluppo di consapevolezza.
Che ruolo può avere l’occidente nei confronti della situazione delle donne in molti paesi (in primis l’Arabia Saudita) del Medio Oriente che vedono negati i propri diritti? Credi che un atteggiamento pedagogico o di (sebbene falsa) “esportazione della democrazia” sia una soluzione vincente?
Lottando contro l’occupazione e contro i fondamentalisti con tutte le nostre forze, è passata nell’opinione comune la convinzione che questi due noti nemici saranno sconfitti, se non oggi, un domani, e che questo stormo di devastatori sarà allontanato. Ma la democrazia, la libertà e la giustizia possono conquistarla solo le persone e non dei superpoteri o altri paesi. Solo una democrazia fondata sulla secolarizzazione e la laicità può salvare l’Afghanistan da questo limbo e indirizzarlo verso la strada del progresso e della prosperità. Io non credo che sia possibile che l’Occidente, come gli Stati Uniti, portino dei cambiamenti alle condizioni delle donne afghane; in ogni paese in cui sono intervenuti gli Stati Uniti e la NATO donne e bambini hanno continuato e continuano a subire forti violazioni.
Io sostengo le donne kurde che stanno combattendo contro l’ISIS e stanno dimostrando a tutto il mondo quanto possano essere forti le donne se unite, dicendo che è vero che le donne producono cambiamento. Anche in Iran le donne stanno subendo le violazioni e le violenze del regime islamico e l’unico modo per liberarsi da queste condizioni è che le donne di tutto il mondo spezzino ogni catena di violazioni e violenze e si uniscano nella lotta per i propri diritti e la propria libertà.
Credi che molte donne in Afghanistan, come anche in altri paesi del Medio Oriente, abbiano interiorizzato certi obblighi che vengono loro imposti e che accettino la loro condizione perché convinte che lo richieda la religione o che sia comunque giusto così, o pensi che siano oggi molto più consapevoli dei loro diritti e della loro potenziale libertà ma che si sentano impossibilitate a rivendicarle per paura delle ritorsioni reali cui rischierebbero di andare incontro (arresti, violenze, ecc…)? E come si dovrebbe agire allora in questi casi secondo te?
In Afghanistan le donne da sempre si impegnano per la conquista dei loro diritti, la storia dell’Afghanistan ha dimostrato che le donne hanno sempre lottato per l’acquisizione dei propri diritti e ancora oggi dovrebbero farlo per ottenere i diritti che desiderano. L’emarginazione delle donne, in Afghanistan, è dovuta al fatto che la maggior parte dei corrotti e dei signori della guerra è contraria all’emancipazione delle donne e alla loro conquista di una posizione di potere e alla paura che le donne lavorino o facciano delle attività. Io per prima sono stata minacciata di essere uccisa molte volte.
Quali sono secondo te le azioni efficaci e le cose importanti da fare o da dire che potrebbero combattere la soppressione dei diritti umani? E in che modo veicolare azioni e messaggi che vadano in questa direzione laddove dominano la paura e la sofferenza e soprattutto laddove esistono regimi che annullano anche la libertà di espressione e reprimono la libertà di azione e movimento?
Noi abbiamo il governo più debole del mondo, i talebani stanno collassando in una provincia dopo l’altra, e per gli attivisti che difendono i diritti umani è ancor più difficile andare avanti. Nelle zone di guerra le scuole sono chiuse e le persone stanno lasciando le loro case, abbiamo più di 1,2 milioni di sfollati. Il progetto AHRAM, insieme alla coordinazione di altre tre organizzazioni, quali HAWCA, COSPE e CSHRN, sta lavorando sulla mobilitazione e per cercare una maggior protezione agli attivisti dei diritti umani. Questi agiscono su diversi piani:
1. Formazione degli attivisti e sviluppo di consapevolezza
2. Creazione di reti di contatto tra le organizzazioni afghane ed europee che si occupano della tutela dei diritti umani e con singoli individui in prima linea come giornalisti e giudici.
3. Rafforzamento del coordinamento tra gli attivisti della società civile e i media indipendenti.
4. Utilizzo dei media e dei giornali locali per incrementare la richiesta di diritti umani e aumentare l’informazione legale, incrementare la l’efficacia e la partecipazione della società civile alla causa della democrazia.
Tutte le persone afghane dovrebbero unirsi e lottare contro i signori della guerra e i talebani [presenti] in Afghanistan, altrimenti non raggiungeremo mai la prosperità nel nostro paese.
Tu lavori con COSPE e HAWCA (Humanitarian assistance for the women and children of Afghanistan), in particolare su un progetto in difesa degli attivisti e dei diritti umani. Quali obiettivi avete raggiunto? E cosa prevede esattamente il tuo ruolo /o: di cosa ti occupi nello specifico?
Faccio parte dell’ufficio per lo sviluppo della comunicazione nel progetto AHRAM che promuove il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali in Afghanistan, supportando gli attivisti umani, rinforzando le loro capacità di azione e provvedendo a sostenere e a indirizzare l’azione della società civile. Abbiamo creato una rete tra gli attivisti dei diritti umani affinché diventino più forti e impediscano che i nemici dell’Afghanistan, come i signori della guerra e i Talebani, prendano o restino al potere. Voglio raccontare una storia da cui noi traiamo un insegnamento cruciale. La storia di Mazar – una ragazza pre- età da matrimonio che abita nel nord dell’Afghanistan e che con l’aiuto dei difensori dei diritti umani delle donne è riuscita a rompere il fidanzamento che le era stato imposto. Gli attivisti hanno ricevuto minacce da parte dei comandanti di Arbakis ma grazie al supporto di HAWCA ha trovato aiuto e può continuare il suo lavoro. Con il nostro lavoro siamo riusciti a raggiungere i seguenti traguardi:
1. Abbiamo difensori dei diritti umani attivi in 34 province.
2. Commissioni per i diritti umani, per i diritti dei bambini, delle donne e per la libertà di espressione.
3. Supporto agli attivisti per i diritti umani che sono minacciati per il loro lavoro.
4. Misure di supporto per la loro salute fisica e psicologica, un sistema di prevenzione sui rischi, un sistema digitale per la tutela dell’azione di difesa dei diritti umani e un programma di protezione (degli attivisti per i diritti umani).
Tu hai studiato scienze geologiche e ti sei laureata in geologia. Quando e perché a un certo punto è scattato dentro di te il desiderio e il bisogno di renderti utile per la difesa dei diritti umani?
Quando ho cominciato l’Università ero piena di sogni e immaginazione. Una volta laureata avrei voluto estrarre minerali e andare sulle montagne di Hindo Kosh e scoprire miniere di diamanti e uranio. Volevo portare l’elettricità alle case delle famiglie afghane e controllare l’acqua in Afghanistan e usarla a beneficio del popolo afghano. Ma quando, nel 2012, ho scoperto la forte discriminazione nei confronti delle donne, quando ho visto donne picchiate e giornalisti che riportavano notizie di persone uccise dai talebani, quando ho visto che un’insegnante era stata punita per quello che aveva insegnato ai suoi studenti, mi sono detta che era giunto il momento di impegnarmi nella lotta contro le violazioni e contribuire a procurare un piccolo cambiamento per interrompere queste atrocità che ogni giorno vengono perpetuate in nome dei talebani e a causa dei bombardamenti dalle forze della NATO. Innanzitutto sento il bisogno di impegnarmi per l’indipendenza e la pace in Afghanistan, e per la felicità del suo popolo, senza più violazioni.
A Kabul come viene giudicato il tuo lavoro? Le altre donne ti vedono come un’eroina o disapprovano quello che fai? E gli uomini? Hai mai subito qualche minaccia?
Sono veramente felice di lavorare con gli attivisti per i diritti umani che ogni giorno lottano tenacemente contro il terrorismo; il popolo afghano non ha creato il terrorismo, anzi, noi siamo le vittime sacrificali del terrorismo. No, io non ho mai ricevuto minacce dirette per la mia attività, ma in ogni caso, continuerò sempre a lottare finché non avrò raggiunto la parità dei diritti.
Uno dei tuoi sogni era comprare una bicicletta, simbolo di quella minima libertà che a molte donne viene negata. Lo hai realizzato questo sogno? E, adesso è possibile in Afghanistan per una donna girare liberamente in bicicletta? E se sì, come viene giudicata dal resto della popolazione maschile?
Sì, quando vado in bicicletta mi sento libera e mi sembra di poter fare tutto ciò che voglio. Oggi andare in bicicletta è legale ma la comunità non accetta volentieri che tu ci vada e devi confrontarti sempre con i suoi discorsi di scoraggiamento e disapprovazione. È possibile andare in bicicletta solo a Kabul e nelle province più sicure, ma non è frequente vedere ragazze che girino in bicicletta neanche qui. L’andare in bicicletta è per me ancora un sogno: proprio a causa delle restrizioni che abbiamo ancora non sono riuscita a realizzarlo qui a Kabul. Per riuscirci continuerò di certo a lottare.
Vorresti per sempre vivere a Kabul o un giorno ti piacerebbe vivere da qualche altra parte? E per concludere, che messaggio vorresti mandare alle donne che vivono nel tuo paese o alle donne di tutto il mondo?
L’Afghanistan è il mio paese, sono nata in Afghanistan, un paese che sta soffrendo per la guerra da decenni: non voglio questo futuro per nessun altro bambino afghano, voglio che ogni bambino cresca libero e in pace nel proprio paese e questo deve valere per ogni essere umano. Questo è il mio obiettivo, rimanere per sempre in Afghanistan e lottare per il mio paese e il mio popolo che desidera vivere libero e in pace e che i sui bambini possano andare a scuola ogni giorno. Il mio messaggio per le donne di tutto il mondo è di essere forti e indipendenti e di provare a istruirsi e acquisire consapevolezza. Le donne unite possono portare un grande cambiamento, perché insieme le donne di tutto il mondo potrebbero aiutare le donne afghane a rendere migliore la loro società. Il cambiamento può venire solo da tutte le donne unite.
Il profilo per gli articoli scritti a più voci, dai collaboratori del sito o da semplici amici e compagni che ci accompagnano lungo la nostra esperienza.