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Group of diverse people riding a train
Agosto 28, 2019

La politica vista (e commentata) dai social network

Elena Papucci Società

In questo agosto è scoppiata (finalmente?) la crisi del governo gialloverde, salito al potere con il voto degli italiani dello scorso 5 marzo. Ancora non è chiaro quali potranno essere gli scenari politici, ma è interessante fare alcune considerazioni su come è stato vissuto dal popolo dei social network il pomeriggio che ha visto le dimissioni di Giuseppe Conte.

Infatti dalla loro nascita in poi Facebook e gli altri social network hanno rivoluzionato il modo di fare politica, e soprattutto quello di assistervi: infatti, se nell’era ante social network ci si doveva limitare ad assistere agli eventi e a commentarli a voce solamente con chi ne condivideva la visione davanti al teleschermo, ed aspettare di incontrare amici e conoscenti durante la prima occasione conviviale disponibile per parlarne insieme, adesso è sufficiente digitare poche parole sul proprio cellulare per avere il conforto di amici ed amiche, che avranno la possibilità di supportare (o anche smentire, perché no?) il primo audace commentatore.
Ma non finisce qua: avventurandosi nel mare magnum delle notizie rilanciate sui social network dalle pagine delle miriadi di testate disponibili, si potrà anche iniziare una discussione con gli altri “avventori” del social network, utenti sconosciuti che a maggior ragione non condividono la stessa opinione.

Fin qua la situazione potrebbe sembrare positiva: ben venga il confronto e la discussione, attraverso qualsiasi mezzo! Anzi, avere a disposizione materiale differente potrebbe favorire l’incontro con punti di vista che altrimenti non incontrerebbero mai un determinato uditorio. Ma ad una condizione: che non ci si limiti ad una lettura superficiale o, peggio, non ci si fermi ai titoli! E capita ahimè spesso su Internet (ma non solo) che, forse per smania di mostrare la propria capacità di commentare, ci si avventuri in dissertazioni politiche (o su altri argomenti) sulla scorta di letture frettolose di testi che non abbiamo gi strumenti per capire.

Ed anche qua i social network, grazie alla loro dimensione comunitaria, potrebbero svolgere anche una funzione didattica, se solo chi non sa si sentisse libero di fare domande e potesse ricevere risposte da chi invece è più ferrato nella materia oggetto del contendere.
Ma purtroppo ciò non è possibile, o almeno non è affatto facile, per più di una ragione: prima di tutto è umano l’imbarazzo a porre domande a degli sconosciuti. Quindi, se si vuol colmare le proprie lacune, ci si documenta autonomamente, facendo riferimento ai tanti documenti rintracciabili online, a rischio di incappare in testi non proprio affidabili!

Ma, anche trovando il coraggio di dialogare con altri utenti, non possiamo avere la sicurezza che chi risponde su un social “atteggiandosi” ad esperto lo sia effettivamente. Di conseguenza si rischia, se si è veramente a digiuno di un certo argomento, di prendere per buona una nozione che invece, ad una più attenta analisi, si può rivelare inesatta. Inoltre, dal momento che la privacy delle pagine su Facebook è generalmente impostata su “pubblica” (quindi tutti possono visualizzare la notizia e i relativi commenti), si può essere inibiti dalla possibilità che qualcuno dei nostri contatti veda i nostri commenti e risponda, magari andandoci contro. E cosa c’è di male? Razionalmente nulla, ma magari qualcuno può non gradire di intavolare determinate discussioni ad esempio con colleghi di lavoro.

Infatti, pur riconoscendo che è molto meno interessante e “formativo” dialogare con chi non fa altro che darci pacche sulle spalle, avere a che fare con critiche e puntualizzazioni ci mette di fronte alla necessità di spiegare perché pensiamo una cosa anziché un’altra: se ci approcciamo a chi ha un’altra visione della vita non possiamo limitarci a scrivere “è così”, perché probabilmente ci verrà chiesta la motivazione del nostro pensiero.
Ma è proprio da questo punto che scaturisce uno dei punti dolenti del fare politica sui social network: la tendenza a buttare tutto in caciara o aggredire chi vediamo come un avversario, atteggiamenti che, pur essendo purtroppo quotidiani, tendono a crescere esponenzialmente allorché l’oggetto della discussione sono avvenimenti politici.

Un esempio ne è stato il pomeriggio in cui sono andate in scena le dimissioni di Giuseppe Conte: dallo schermo di un computer era palpabile, e abbastanza fastidiosa, la sensazione di assistere ad una puntata di un qualsiasi talent show, in cui una giuria era chiamata a valutare le performance dei candidati/artisti/politici. Ma, a differenza di X-Factor, in questo caso la giuria non era formata da persone che si intendevano della materia: a digitare sul PC non c’erano politici, ma semplici cittadini, più o meno ignari di cosa comporti svolgere il compito cui i “signori al governo” sono stati chiamati.

Non che si pretenda il silenzio assoluto o la supina accettazione di tutto ciò che i potenti fanno e/o dicono. Ma sarebbe opportuno limitarsi a dare un giudizio nei fatti, accertandosi di avere le competenze per esprimerlo, così da ottenere una “valutazione” che vada oltre il mero “mi è piaciuto/non mi é piaciuto”. Non stiamo valutando una vivanda o un vino!

Ma la rete, causa la ricerca di immediatezza, non invita alla riflessione: di conseguenza anche i ragionamenti di base sensati rischiano di essere trasformati in battuta e, soprattutto, ripetuti allo sfinimento anche in contesti dove risultano fuori luogo. Infatti nessuno, o quasi, degli avventori di Facebook vuole passare inosservato, ma tutti cercano di accaparrarsi quanti più like e condivisioni è possibile. Se il personaggio del momento è Giuseppe Conte, rientra nella logica della comunicazione social che sia lui il protagonista di ogni sorta di discussione e condivisione, fino a quando non succederà qualcos’altro di eclatante e ci sarà il cambio della guardia.

Ma è vera solo in parte la celebre dichiarazione di Umberto Eco secondo cui i social network danno diritto di parola a legioni di imbecilli: il problema di base sono gli imbecilli, non gli imbecilli sui social. Casomai il mezzo ha il torto di dare la possibilità a questi ultimi di unirsi e, si sa, l’unione fa la forza.
Tutto sta ad imparare a usare il mezzo: solo così, anche in un contesto delicato come quello della politica, Facebook e gli altri social network possano diventare uno strumento per barattare le proprie competenze con i propri dubbi, allo scopo di aumentare la propria consapevolezza dei fatti del mondo. E chissà forse potremmo capire cosa è e come sta andando questa crisi di governo!


Immagine da pxhere.com

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Elena Papucci

Nata a Firenze il 17 novembre 1983 ha quasi sempre vissuto a Lastra a Signa (dopo una breve parentesi sandonninese). Ha studiato Lingue e Letterature Straniere presso l’Università di Firenze. Attualmente, da circa 5 anni, lavora presso il comitato regionale dell’Arci.

archivio.ilbecco.it/autori/itemlist/user/125712-elena-papucci.html
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