Quella per le due ruote è una passione che può palesarsi sotto forme diverse. Non solo il ciclismo agonistico che riesce a coinvolgere migliaia di persone con le sue tappe travagliate ma anche quella di chi oramai si è riconvertito all’utilizzo della bici nella quotidianità e non riesce più a farne a meno, come quella di coloro che si sono convertiti a questo “mezzo di trasporto” sull’onda di battaglie ecologiste sempre più permeanti nella nostra società.
Quella che lega gli italiani alla bicicletta è una storia articolata, appassionata, che ha origini sul finire del XIX secolo e che, se analizzata, ha molto da raccontarci sullo sviluppo del nostro paese.
Storia sociale della bicicletta di Stefano Pivato è esattamente questo: un excursus storico che parte dalla nascita dei primi modelli di velocipedi ed arriva fino ai giorni nostri, raccontandoci come questo mezzo rivoluzionario si riuscito ad affermarsi in Italia e a diventare un mezzo di trasporto e una passione di massa.
Il libro di Pivato, edito da Il Mulino, ha il merito di mettere in luce come la bicicletta sia riuscita ad affermarsi, nel corso della storia, come mezzo di emancipazione. Da subito associata all’idea di velocità e quindi di modernizzazione, nel giro di pochi anni la sua diffusione è iniziata ad essere popolare (da elitaria che era inizialmente), soprattutto in regioni come il Veneto, l’Emilia Romagna e la Toscana, entrando così a far parte a pieno titolo dell’immaginario legato alle classi lavoratrici della prima metà del Novecento.
È possibile coglierne la portata rivoluzionaria anche grazie all’analisi dell’impatto sui costumi: tutta una serie di rigidità legate all’autorità, alle gerarchie sono costrette, nel corso degli anni, a confrontarsi con gli evidenti vantaggi in termini di comodità e velocità dati dalla bicicletta. Interessantissimo da leggere, in questo senso, il racconto che fa Pivato del contrasto tra gerarchie ecclesiastiche e nuovo mezzo: un’avversità data dal fatto che questo rappresenta, appunto, una modernità che è difficile fermare e che riesce però ad insinuarsi anche tra i livelli più bassi del clero (tutti noi abbiamo a mente l’immagine del parroco in bicicletta). Una modernità da ostacolare in tutti i modi, poiché considerata dissacrante anche solo da un punto di vista estetico (il prete che pedala ha la veste talare tutta scompigliata e ciò non è accettabile).
Allo stesso modo, è rivoluzionaria la portata della bici per l’emancipazione delle donne. E questo avviene, in Italia, soprattutto nel corso della Resistenza, periodo storico che vede un fortissimo protagonismo delle donne in bicicletta. Le nostre due ruote hanno infatti giocato un ruolo fondamentale nella lotta al fascismo. La lotta partigiana si è servita di questo mezzo di vocazione popolare non solo per i collegamenti tra i vari gruppi in montagna (e a tutti noi vengono subito in mente le staffette che percorrono centinaia di chilometri in bicicletta) ma anche per la realizzazione di attentati in città da parte dei GAP.
Abbiamo detto che quello della bici è stato un fenomeno di massa. E lo è stato anche grazie all’affermarsi del ciclismo, uno sport che in Francia e in Italia è riuscito a diventare veramente popolare. Se le prime gare furono organizzate con lo scopo di promuovere la vendita di biciclette, nel giro di pochi anni sono stati milioni gli italiani che si sono appassionati alle estenuanti tappe sulle due ruote e ai campioni che le hanno compiute. Da Girardengo a Belloni a Nencini, Coppi e Bartali ma anche Garin Petit—Breton Pélissier e Anquetil: eroi contemporanei, di estrazione popolare, meccanici, fornai, macellai che sono riusciti a scaldare il cuore, a far sognare e piangere milioni di persone.
Stefano Pivato con il suo libro riesce a tracciare un ritratto curatissimo dell’Italia sulle due ruote. Un’Italia in movimento, in evoluzione, un’Italia in rivolta, in via di emancipazione. Perché la bicicletta, dopo tutto, ancora oggi continua ad essere questo: un simbolo di libertà ed uguaglianza, di cambiamento, di rispetto per gli altri e per ciò che ci circonda. Perché sì, la bicicletta è di sinistra.
Immagine da www.wikipedia.org

“E ci spezziamo ancora le ossa per amore
un amore disperato per tutta questa farsa
insieme nel paese che sembra una scarpa”
Cit.