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4 Marzo 2019

Cos’è la buona politica? Una risposta di Paolo Pombeni

Dmitrij Palagi Umanistica e sociale

Quale è il senso del fare politica? In Italia, nel 2019, porsi una domanda simile implica confrontarsi con un contesto in cui i mutamenti sono stati più significativi che in altri paesi, rispetto alla composizione delle istituzioni. Si è parlato di transizione a seconda e terza repubblica, ma Paolo Pombeni ha il grande merito di riferirsi all’attualità senza lasciarsi sviare dal contingente. La sostanza del suo La buona politica (il Mulino, 2019) affronta l’essenziale dell’agire umano in società, in una pubblicazione agevole e di facile lettura. Un testo raro, nella sua capacità di garantire accessibilità e al tempo stesso rifiutare facili formulazioni. Le indicazioni sono orientate e collocate in una tradizione precisa. Il concetto a cui ancorarsi nello scorrere delle pagine è la “comunità di destino” di Weber. L’autore si propone di recuperare la centralità della categoria di bene comune, ricercando un metodo capace di rimanere distante dalle semplificazioni. Contestato lo slogan “siamo realisti, esigiamo l’impossibile” ci si deve riappropriare del campo del possibile. Le utopie sono destinate a creare frustrazione e senso del tradimento. La questione morale dell’ultimo Berlinguer avrebbe iniziato una serie di deformazioni del tessuto italiano. Mani Pulite e le promesse di Berlusconi hanno messo in scena illusioni di profondo cambiamento e nel contemporaneo viviamo un governo facilmente inseribile in questa chiave interpretativa, per quanto non venga affrontato direttamente da Pombeni.

Il libro si propone come equilibrato elogio della ragione politica occidentale, tradotta in chiave costituzionale come riconoscimento di interessi diversi, che nel confronto concorrono a costruire un perimetro di senso condiviso, in cui è possibile percorrere un campo di progresso e sviluppo, da cui tutti ottengono evoluzioni positive. Il senso della misura e della realtà dà ossigeno, soprattutto perché smonta i miti del postmoderno e del populismo. Si torna all’essenziale, alla necessità di agenzie culturali con cui produrre consapevolezza diffusa. Non un partito o un’ideologia che riscattino l’umanità e conquistino nuovi orizzonti, ma una premessa: un impegno comune a uscire dalle dimensioni individuali.

Occorre denunciare chi vive la politica come pratica da esorcisti: individuato il male, si invocano fantomatici poteri per annientarlo.

Tra i dispositivi da smontare troviamo anche la dicotomia individuo-società: esistono sfere in cui il privato ha il diritto di non subire ingerenze, ma senza responsabilità sociale della singola persona non si può costruire nessuna comunità. Serve però uscire dalla sensazione di fine della storia.

In un volume del 2013 il filosofo Massimo Mugnai ha affrontato il valore delle parole «possibile» e «necessario», ripercorrendo il significato logico dei termini, dall’antichità al Novecento. Sono parole convenzionali. Con Pombeni si potrebbe quindi aprire un confronto per capire da dove si riconosce un’aspirazione come vuota utopia. Probabilmente la sua risposta sarebbe che ad ogni obiettivo deve corrispondere una spiegazione di come lo si raggiunge e al tempo stesso si dovrebbero fornire a chiunque sia interessato sufficienti informazioni per valutare la fattibilità dello scopo. Nessuno ha diritto di stabilire in modo assoluto alcunché, nella buona politica. In questo troviamo il grande valore di questo breve libro, rivoluzionario nel suo ritirarsi dalla demagogia attualmente egemone.

«Dobbiamo dunque tornare alla ricerca di un «motore politico» che sia in grado di far avanzare le diverse comunità di destini facendole uscire dalla palude in cui sono finite. Nessun soggetto politico collettivo può vivere senza individuare per la propria attività una sorgente di energia motoria, perché deve essere in grado di affrontare dei percorsi, una storia che si evolve, il confronto con il mutare degli eventi» (p. 122).

Efficaci sono le pagine di denuncia degli atteggiamenti di alcuni intellettuali: coloro che abbracciano il pessimismo per organizzarlo (e trarne consenso) e chi si ritira in una sorta di autoassolutorio isolamento.

Il cambiamento non potrà avvenire solo con operazioni teoriche. Avrà bisogno di un concorso di competenze, in vari ambiti. Un’azione comune di nuove soggettività politiche umili e consapevoli.

Al termine della lettura di questo libro si ha la tentazione di aver ascoltato un appello: a chi avrà avuto la capacità di comprenderlo l’augurio di trovare il coraggio di rispondere positivamente.

Le etichette perdono di significato. Pombeni dirige la redazione dello spazio web mentepolitica, da cui si conferma l’impressione di leggere un professore colto e di impianto moderato. Questo libro può essere utile soprattutto a chi insiste a voler capire come si può essere rivoluzionari di professione nel XXI secolo, perché ogni futura umanità deve essere possibile e realizzabile. Altrimenti la politica si riduce a un semplice passatempo, privo di senso al di fuori delle dimensioni individuali.


Immagine di copertina liberamente ripresa da pxhere.com

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Dmitrij Palagi

Classe 1988, una laurea in filosofia, un dottorato in corso in storia medievale, con diversi anni di lavoro alle spalle tra assistenza fiscale e impaginazione riviste. Iscritto a Rifondazione dal 2006, consigliere comunale a Firenze dal 2019.

archivio.ilbecco.it/component/k2/itemlist/user/929-dmitrij-palagi.html

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