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17 Dicembre 2018

Dopo le violenze sessuali di Rimini

Dieci Mani A Dieci Mani

Dopo le violenze sessuali di Rimini

Nella notte tra 25 e 26 agosto un branco di quattro persone ha aggredito una coppia di turisti polacchi appartatasi in una spiaggia di Rimini, violentando ripetutamente la donna. Nella medesima notte i quattro si sono spostati sulla Strada Statale, aggredendo con la stessa ferocia una prostituta transessuale. Dato che sono stati immediatamente descritti come maghrebini, prevedibilmente si è scatenata ancora una volta la caccia alle streghe sul tema immigrazione, quando ancora non si era placato l’eco delle intimidazioni a don Biancalani a Pistoia.


Il dibattito, non sorprende, è rapidamente degenerato: un mediatore culturale impiegato in una cooperativa bolognese ha osservato che per la donna lo stupro è «peggio ma solo all’inizio» mentre un esponente leghista ha evocato lo stupro di «Boldrini e donne Pd». Anche la stampa si è presto riempita di articoli di cronaca nera a tema.
La stessa Presidente della Camera ha lanciato un vago appello a “non tacere” su questo degrado della vita pubblica, ma senza fornire ulteriori dettagli né, tantomeno, un’agenda politica pratica.


Alex Marsaglia

La foga bestiale che assale chi si trova in certi ambienti, magari sotto uso di sostanze stupefacenti, è sicuramente una causa. Il degrado di vite vissute ai margini di una società escludente che nel tentativo di riparare i suoi danni ne compie di ulteriori e più gravi è anch’esso una causa.

L’integrazione forzata genera infatti contesti in cui il clima sociale diventa pesante a tal punto da esplodere in ripetuti episodi di violenza. I manifesti di Forza Nuova sono il preludio a nuove violenze da parte degli autoctoni, in risposta alla violenza sessuale che viene etnicizzata. Peccato che non vi fosse alcun italiano coinvolto nella vicenda. Tutto si è svolto nel mondo dello “sballo” riminese in cui questi episodi si ripetono ciclicamente.

Viene quindi da interrogarsi sulle reali cause di tali violenze, certamente senza negare gli effetti che un’immigrazione forzata in contesti in cui manca il tessuto economico e lavorativo ormai totalmente destrutturato, possono creare. L’odio sociale senz’altro è una conseguenza di tali episodi e molte forze politiche spingeranno su questo punto. Dal punto di vista di chi scrive, il principale responsabile è chi ha creato tali contesti di “sballo” in cui gruppi di esclusi per sfogare le proprie frustrazioni si danno alla violenza organizzandosi in gang. È evidente che dietro a tali episodi di violenza vi sia un problema di contesto sociale. Purtroppo è altrettanto evidente che tale contesto ha fruttato quattrini e continuerà a fruttarne, perciò se si vuole risolvere alla radice il problema occorre evitare che ciò continui ad accadere anche in futuro.


Dmitrij Palagi

Un orologio fermo segna l’ora giusta due volte il giorno, si ripete spesso anche nel conversare quotidiano. Così mi è capitato di ascoltare una rassegna di Stampa e Regime in cui concordavo con Sansonetti, se bene ho sentito, rispetto al collegamento tra marginalità sociale e violenza.

La bestialità dell’essere umano colpisce sempre, ha un effetto perturbante. Da una parte reagiamo con sincero orrore, di fronte alle notizie di cronaca, dall’altra sappiamo che ad agire è stata un’altra persona, che condivide la nostra “specie”.

Nauseante è l’uso delle statistiche per confermare qualche teoria. Mi è capitato di pensare che “a sinistra” si è subito un effetto boomerang. Sono cresciuto in un ambiente in cui solitamente si precisa che gli stupri erano principalmente commessi da italiani all’interno del nucleo familiare. Ora alcuni numeri dicono l’opposto. In realtà la maggioranza assoluta dei commenti non tiene conto di niente. Interpreta qualche accenno con presunzione di scientificità e passa sopra i problemi reali.

In quanti pensano alla violenza domestica come un crimine, senza liquidare il tutto con un “eh, hanno un po’ esagerato, tra moglie e marito capita”? In troppi è la risposta.

Il ruolo della donna nella società, la necessità di prevenire gli effetti combinati dei peggiori istinti dell’uomo in una condizione di marginalità, la ricerca di analisi completamente aliene da surreali dichiarazioni prive di intelligenza: in questo modo forse potremmo portare avanti una politica capace di rivolgersi anche alla singola persona nelle sue sfaccettature più oscure, senza illudersi di poter inasprire le pene. Il problema sono le vittime, non l’intensità della punizione, a posteriori.

Rimandate pure a casa chiunque volete. Un giorno non avrete che voi stessi da accusare per quello che non va. Certo, forse ci vorrà tempo, ma nel frattempo avrete compiuto ingiustizie e causato ancora più vittime!


Jacopo Vannucchi

Le origini straniere degli stupratori di Rimini, il fatto che il presunto capobanda sia addirittura un richiedente asilo, la diminutio dello stupro da parte di un mediatore culturale proveniente dal Pakistan: musica per le orecchie di chi specula sul fuoco del razzismo e della violenza. La volgare canea scatenata su questi singoli punti lascia in ombra alcuni aspetti fondamentali. Anzitutto la mancata solidarietà verso la prostituta transgender, evidentemente considerata parte della fogna del pianeta. Ma, ancor di più, il fatto che i minorenni costituitisi siano nati e cresciuti in Italia e che sia stato il padre, lui sì immigrato, a spingerli a presentarsi in caserma.

Aberranti, poi, i proclami di morte del governo polacco che per bocca del viceministro Jaki (di Solidarna Polska, partito minore clerico-fascista) ha dapprima invocato per gli stupratori la pena di morte e la tortura e poi annunciato l’intenzione di chiedere l’estradizione. Questa non può evidentemente essere concessa verso un Paese che manifesta intenti tanto efferati e sanguinari, e anzi l’Italia dovrebbe sollevare la questione in sede UE per il rispetto dello stato di diritto. Chi conosca poi la brutalità antiabortista di Solidarna Polska sa bene quanto poco abbiano a cuore la salute delle donne.
Questa esplosione di odio rende a posteriori giustizia alle parole di Debora Serracchiani, che quattro mesi fa ricordò la minore accettabilità sociale dello stupro se commesso da un profugo, ammonendo anche «Non rendersene conto significa fare il gioco di quelli che razzisti lo sono veramente». Chissà se i suoi tanti critici di allora hanno còlto ora un’occasione per riflettere.

Le problematiche emerse da questa vicenda sulle quali la sinistra deve chiarirsi le idee sono, sostanzialmente, due. La prima: in un campione di popolazione esistono statisticamente persone perbene e criminali, e così è anche in una popolazione che fugge dalla guerra (o tutti i nostri sfollati del 1943 erano persone integerrime?). Su questo punto non si può subire il trucco della destra secondo il quale se un rifugiato è un criminale allora non bisogna accoglierne nessuno. La seconda: cosa ha spinto i quattro giovani ad aggredire le loro vittime? Mero istinto criminale? Più probabilmente è stata la rabbia per una mancata terra promessa, la medesima che in Francia e in Belgio spinge i loro simili nelle braccia del terrorismo. Le proposte di combinare investimenti in sicurezza e investimenti in istruzione e cultura toccano un punto nevralgico della questione, ma nessuna reale integrazione potrà essere realizzate senza eque opportunità lavorative e sociali.


Alessandro Zabban

C’è un grosso problema di confusione ideologica a sinistra che lo stupro di Rimini ha purtroppo ancora una volta riconfermato. Le parole del mediatore culturale che avevano sostanzialmente lo scopo di attenuare la gravità del reato sono raccapriccianti. Ma perché le ha pronunciate? Da una parte c’è sicuramente una mancanza di educazione sessuale (il fatto che sia un mediatore culturale è un’aggravante) ma dall’altra c’è anche credo il goffo e controproducente tentativo di gettare acqua sul fuoco rispetto a un crimine che è stato legato, nella narrazione mediatica, direttamente con il problema dell’immigrazione.

Difendere l’indifendibile, ovvero il branco che ha commesso l’atroce reato trova una sua spiegazione nella paura che la vicenda porti a un aumento dei sentimenti xenofobi e razzisti, e a un rafforzamento dello stereotipo che gli immigrati sono tutti dei criminali. Il cortocircuito etico arriva dunque quando per cercare di non far passare certi messaggi xenofobi, si finisce per giustificare o quanto meno relativizzare un grave crimine. Si rischia di diventare così doppiamente razzisti: verso la vittima che non è del tutto riconosciuta come tale e anche verso gli assalitori, considerati meno responsabili perché immigrati.

Credo che si possa essere tutti d’accordo che uno stupro è uno stupro al di là di chi lo commette, che la sua gravità non dipende dal passaporto dell’assalitore. Ma questo basta a rassicurarci o non è forse un modo per nascondere lo sporco sotto il tappeto? Il problema politico di fondo resta che al di là delle visioni romantiche non è sempre possibile unire spontaneamente le lotte dei migranti con quelle delle donne perché molto spesso ci sono dei valori di riferimento completamente diversi. Il relativismo culturale attualmente in voga esaspera questa tendenza perché finisce per creare un arcipelago di universi di significato e getta le basi per la ghettizzazione reciproca e l’impossibilità di unire gli sfruttati del mondo in una sola lotta. D’altro canto, l’imperativo interculturale di riconoscere le differenze è spesso ipocrita dal momento che non si è quasi mai disposti ad accettare concezioni culturali molto diverse dalle nostre e che magari implicano dal nostro punto di vista gravi violazioni dei diritti delle donne. Far finta che siccome le lotte dei migranti e quelle delle donne sono entrambe giuste, allora si hanno necessariamente strategie ed obiettivi comuni è ingenuo e pericoloso. Se ci rifiutiamo di problematizzare questi aspetti rischiamo tutti di essere investiti dallo stesso cortocircuito ideologico che ha colpito il mediatore culturale.


 Immagine liberamente tratta www.meltwater.com

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Dieci Mani

Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).

A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.

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