Ecco che arriva nelle sale, dopo il passaggio fuori concorso a Venezia 79, il nuovo film corale di Paolo Virzì. Un’opera che vorrebbe anticipare la realtà, ma che forse appare già un po’ fuori tempo. L’estate 2022 è stata una delle più calde di sempre e la siccità è una delle piaghe che stanno mettendo ko l’Italia. Conseguenza del famigerato “cambiamento climatico”.
Da questo punto di vista appare un film rivoluzionario per il cinema italiano: se dal Dopoguerra in poi la commedia italiana si confrontava con gli eccessi del boom economico, con il conflitto delle classi sociali fra periferia e città, “Siccità” apre il cinema del Belpaese alla crisi ecologica e, conseguentemente, a quella sociale. Il primo film italiano che mostrava un possibile cambiamento in tal senso fu “L’uomo del labirinto” (2019) di Donato Carrisi. Mostrava una città vuota fino al tramonto per il caldo eccessivo, ma la cosa era solo accennata. Sarebbe un bene se anche altri registi italiani facessero questo salto.
Attenzione però ho scritto appare. Apparire non vuol dire essere. Perché “Siccità” è uno dei film meno riusciti di Paolo Virzì.
Il regista livornese vorrebbe fare una sorta di film corale sulla decadenza, sulla scia de “La grande bellezza” di Sorrentino (non a caso alla fotografia c’è Luca Bigazzi). Ma delude profondamente le aspettative. Le opere di Virzì mi sono sempre piaciute, tranne l’ultima. “Notti magiche” non era riuscitissimo. Era il 2018. Siccità purtroppo segue questo trend. Fino al 2014 con “Il capitale umano”, Virzì poteva contare sul lavoro del concittadino Francesco Bruni alla sceneggiatura. Fino a lì le opere del regista livornese funzionavano. Da “La pazza gioia” in poi, qualcosa è cambiato. Bruni non è più nel team e si vede.
A 4 anni da “Notti magiche”, Virzì non ha fatto autocritica. Anzi rincara la dose con l’ambientazione romana, il fascino corale della storia. Da allora le cose sono cambiate: il Covid 19, la guerra in Ucraina, gli aumenti dei prezzi, l’inflazione, le bollette triplicate e … la siccità. Seguendo le orme di Adam McKay con “Don’t look up”, Virzì e il suo staff hanno seguito l’idea di rappresentare le reazioni delle persone alla crisi, alle catastrofi. Ma il problema è il manico.
Il regista livornese, insieme agli sceneggiatori Francesco Piccolo, Francesca Archibugi (che a metà ottobre uscirà con “Il Colibrì”, dal romanzo di Veronesi) e Paolo Giordano, hanno messo insieme storie di tanti personaggi alla Robert Altman in una Roma apocalittica. La sceneggiatura, a 8 mani, è il limite principale del film. Dentro c’è troppa roba e l’opera complessiva è vittima della sua ambizione. Considerando che la sceneggiatura è stata scritta durante il primo lockdown, sembra già superata. I personaggi sono in balia di loro stessi, molti non si sa nemmeno che fine facciano. Questo senso di smarrimento si avverte negli attori (Monica Bellucci, ad esempio, fa solo presenza scenica).
La “Città Eterna” è secca, il Tevere sembra il deserto del Sahara. Non piove da tre anni. Ci sono tanti divieti, l’acqua è diventata come l’oro, è razionata a fasce orarie. Ma il peggio deve arrivare: a breve è in arrivo lo “switch off” pubblico perché la situazione sta peggiorando. La gente è impazzita, spaventata ed è spaesata. Non ci sono tracce del Governo e della politica.
La fotografia del film è curata da Luca Bigazzi (“La grande bellezza”) che ci mette in primo piano un’immagine giallo ocra. Diversa anni luce da “Midnight in Paris” di Woody Allen, qui il colore è usato per trasmettere l’idea di aridità, di desertificazione culturale e umana. Non piove da troppo, tantissimo tempo. Il Tevere ormai è prosciugato, il sole splende sulle teste delle persone. Il problema è che anche i romani sono inariditi. Fin troppo. Si capisce che la sceneggiatura va a parare lì, quindi il finale è fin troppo telefonato.
Ci sono diversi personaggi: abbiamo Loris (Valerio Mastandrea), ex autista divorziato, che cerca di campare buttando sulla sua auto lurida più gente che può, Michele (Silvio Orlando) è un detenuto uscito da Rebibbia in qualche modo che si ritrova in una situazione che non riesce a comprendere, Giulia e Valerio stanno per diventare genitori. Lei infermiera, lui uomo della sicurezza in un resort termale.
Proprio qui alcuni manifestanti stanno per accamparsi. Si chiedono come mai in quel posto da ricchi l’acqua non è stata razionata.
La figlia del proprietario del resort (Emanuela Fanelli) deve occuparsi dell’infedeltà del marito. Intanto nell’ospedale in cui lavora Giulia, c’è anche una dottoressa (Claudia Pandolfi) che ha avuto una figlia da Loris, ma si è messa insieme a Luca. Ma anche questa relazione è vicina al capolinea. Poi c’è un attore (Tommaso Ragno) che passa le giornate a postare sciocchezze su Instagram, la moglie (Elena Lietti) fa la cassiera in un supermercato, il senzatetto (Max Tortora) che un tempo era proprietario di un negozio in centro di Roma, la diva del cinema (Monica Bellucci) che flirta con il colto professore innamorato dei media e della sua vanità (critica velata ai virologi esplosi in tv nel biennio 2020-21). Insomma piove sul bagnato, ma di acqua neanche una goccia. Un paradosso allucinante, ma “Siccità” è questo. Un panorama di anime desolanti (quasi zombie romeriani) in uno scenario quasi post-apocalittico, in una città che da culla della civiltà è diventata latrina.
Virzì disegna un’umanità spaventata, arida, malata di vanità, rabbiosa, prosciugata totalmente di desiderio, di voglia di relazionarsi (in tutti sensi: sia sociale, ma anche sessuale). È una Roma che non ci fa più sognare le notti magiche, è un’Italia brutta, storta, triste quella contemporanea.
La sceneggiatura, a livello di schema, vorrebbe essere un film “puzzle” stile Inarritu/Arriaga (21 grammi, Amores perros, Babel) o “Crash” di Paul Haggis. Il problema che ha Virzì è che mette troppa roba nella centrifuga. Alcuni personaggi sono sacrificati o lasciati lì senza un perché: sembrano i naufraghi dell’Isola dei Famosi. Degli attori si salvano solo Valerio Mastandrea e Max Tortora. Almeno loro strappano una battuta, sono umani. Con gli altri è difficile empatizzare. L’errore più greve e grossolano è sul personaggio di Silvio Orlando: è possibile che un carcerato esca da Rebibbia in quel modo e nessuno lo cerca? La cosa mi ha lasciato di stucco.
Serviva una migliore scrittura come nel “Capitale Umano” o “Tutta la vita davanti” dove il film colpiva dritto nel bersaglio.
Poteva essere il film spartiacque della sua carriera, invece finisce per essere come un talk show televisivo: espone i temi in maniera confusa e caciarona, la gente si parla sopra e alla fine dei concetti veri non rimane traccia. E’ un’opera che vorrebbe essere rivoluzionaria e invece è qualunquista, populista. Vorrebbe ripetere l’exploit di “Ferie d’agosto”, ma qui si sceglie di non approfondire mai i temi, tutto brilla in superficie, ma sotto sotto è vuoto.
Hanno ragione gli italiani che non vanno più al cinema a vedere i film tricolori: ultimamente le nostre pellicole, considerate migliori, spesso difettano nella scrittura. Vengono prodotte solo per racimolare i finanziamenti pubblici, purtroppo. “Siccità” pare essere uno di questi film. La cartina tornasole è quella scena in cui Emanuela Fanelli si vendica del marito infedele a bordo del suo yacht. Una scena che sembra uscita da un cine panettone dei Vanzina.
Virzì vuol strafare, in attesa della Provvidenza: l’arrivo di un acquazzone purificatore che riporti l’equilibrio. “Sono momenti difficili per il nostro Paese e questo film è pazzo, ambizioso e apocalittico allo stesso tempo”, dice Virzì sulle pagine dell’Ansa.
“Volevamo raccontare quello che stava succedendo tra chi diceva che ci saremmo abituati a tutto e chi diceva che sarebbe stato sempre peggio. È un film anche di solitudine che ti fa capire, è stato uno degli insegnamenti della pandemia, che in certi casi la redenzione viene dall’essere connessi e che alla fine è stupido ragionare nei termini dei confini nazionali. Questa è la visione che dovrebbero avere i nostri politici. Colpisce questa campagna elettorale perché i politici parlano solo di loro stessi, delle loro alleanze, dei punti percentuale: perché non fanno finalmente due passi indietro invece di parlare di bonus scaldabagno mentre il mondo si estingue e sprofonda?”
Ma la domanda che sorge più spontanea è quella che fa Claudia Pandolfi: “quando abbiamo smesso di essere felici?”
Forse più che pensare alla politica come male di ogni cosa, alla politica che ci risolve tutti i nostri problemi, dobbiamo tornare ad essere umili, ripartendo da noi.
Regia **1/2 Fotografia ***1/2 Interpretazioni *** Sceneggiatura ** Film **1/2
Fonti principali: Sentieri Selvaggi, Cinematographe, Coming soon,, Bad Taste, Cinematografo
SICCITÀ
(Italia 2022)
Genere: Commedia, Drammatico
Regia: Paolo Virzì
Sceneggiatura: Francesco Piccolo, Paolo Virzì, Francesca Archibugi, Paolo Giordano
Cast: Claudia Pandolfi, Vinicio Marchioni, Tommaso Ragno, Sara Serraiocco, Valerio Mastandrea, Silvio Orlando, Emanuela Fanelli, Max Tortora, Monica Bellucci
Fotografia: Luca Bigazzi
Durata: 2h e 4 minuti
Distribuzione: Vision
Trailer italiano qui
Uscita italiana: 29 Settembre
Presentato fuori concorso al 79° Festival di Venezia
La frase cult: Quando abbiamo smesso di essere felici?
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.