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AssassinoMOD
20 Giugno 2020

Il “mostro della Corea” visto dal Premio Oscar Bong Joon Ho

Tommaso Alvisi Film della settimana

Dopo 17 anni è arrivato in Italia il film più importante del regista coreano, premio Oscar per Parasite.

Incredibile, ma vero. Bong Joon Ho (Snowpiercer, Parasite) è diventato un autore di culto in tutto il mondo. I 4 Oscar di Parasite del febbraio scorso lo hanno fatto diventare un maestro di fama mondiale. Dagli inizi del 2000 il cinema coreano è cresciuto a dismisura a livello di qualità (su tutti citiamo Park Chan-wook di Oldboy, Kim Ki-duk e Bong Joon-ho). Eppure il regista sudcoreano ha sempre fatto film incredibili.

Nel 2003 in Corea del Sud usciva “Memories of murder” e già si parlava di capolavoro. In Italia ci sono voluti gli Oscar per far sì che questo film venisse proposto in sala. Nel frattempo sono passati 17 anni! Poco prima del lockdown, lo scorso 13 febbraio, la Academy Two (detentrice dei diritti di Parasite per l’Italia) ha dato agli italiani la possibilità di vedere questo grande film. In questi giorni alcuni cinema lo stanno riprogrammando (lo Spazio Alfieri a Firenze).

Bong Joon Ho dice di essersi ispirato a La vendetta è mia di Shōhei Imamura, Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme, Fargo dei fratelli Coen e Seven di David Fincher. Che non sono propriamente robuccia, ma sicuramente un tipo di cinema diversissimo dal suo.
Probabilmente è vero. Il finale di “Memorie di un assassino” vanta uno dei migliori epiloghi di tutto il cinema degli anni 2000 insieme a “Oldboy” di Park Chan-wook, “Her” di Spike Jonze e “Mystic River” di Clint Eastwood. Proprio con quest’ultimo ha forti analogie a livello di struttura e un finale molto particolare.

Memorie di un assassino, rivisto oggi, è un film che aveva anticipato lo stile contemporaneo. Sembra superato, ma a rivederlo oggi fa effetto perché era in tremendo anticipo. Senza questo film, Bong Joon Ho non avrebbe mai sfornato un capolavoro come Parasite. Anche qui emergeva già la straordinaria capacità del regista di unire grottesco, tragedia e ironia per dipingere un Paese (la Corea del Sud) alle prese con grossi problemi.
Il film è elegante, vanta una bellissima fotografia, passa con disinvoltura dal thriller alla commedia, mostrandosi attento sui personaggi e i loro conflitti. L’uso dei colori è magistrale: dal verde intriso di marrone dei campi ai grigi interni degli uffici della polizia o delle fabbriche. E poi quel tunnel oscuro prima del finale dove la luce non batte (quasi) mai. L’atmosfera è volutamente triste, malsana quasi nauseante.

La storia prende spunto da fatti di cronaca realmente accaduti tra il 1986 e il 1991 nella provincia di Gyeonggi. Una sorta del caso “Zodiac” della Corea. Siamo in una comunità prettamente rurale a Hwaseong, ben lontani dai rumori della città.
Un gruppo di sgangherati poliziotti dai metodi discutibili sono impegnati in un’indagine alquanto strana. Uno dei tre è interpretato da un giovane Sang Kang-ho che in Parasite interpretava il padre “autista”. Come in Mystic River, il film si basa sulla caratterizzazione dei tre personaggi principali: i due sbirri locali Park Doo-man (Song Kang-ho) e Cho Yong-koo (Kim Roi-ha) e il detective di città Seo Tae-yoon (Kim Sang-kyung) mandato dalle istituzioni per risolvere un caso delicato.
Sotto la ferrovia, dentro a un fosso, c’è un cadavere: la prima vittima è una donna violentata e poi soffocata dalle sue mutande.
La polizia locale incarcera il primo bischero che passa da lì per frenare l’opinione pubblica. Ma i delitti proseguono.
Ancora donne violentate con gli stessi metodi. La polizia reprime con violenza una manifestazione studentesca. Ciò non è esattamente un bel segnale. Arriva un investigatore da Seul per risolvere il caso.
Piano piano si scopre che a questo serial killer piacciono le donne vestite di rosso e colpisce quando piove. Ogni volta che compie un omicidio fa passare in una stazione radiofonica la canzone “Lettera triste”. Le vittime sono uccise dai loro capi intimi (mutande, reggiseni,ecc…). Nella scuola locale corrono voci su un uomo che esce dal bagno e uccide la gente.
Abitando a S.Casciano, epicentro negli anni ’90 dei delitti del “Mostro di Firenze”, so quanto le persone credono, nei fatti, a queste “leggende”. Ancora oggi si vendono diverse copie dei giornali per scoprire nuovi indizi di questo caso. Ancora oggi tanta aria fritta e fatti pochi. Questo film coreano mi ha fatto rivivere alcuni elementi di quel periodo della mia adolescenza dove, sullo sfondo, avvenivano questi fatti piuttosto controversi e misteriosi.

Attenzione però perché questo film è ricco di dettagli che si vedono fuori dal quadro principale. A Bong Joon Ho non interessa la superficie, vuole che il pubblico noti i pezzi più piccoli per ricomporre il puzzle.
Quindi si notano alcune scelte politiche che portano a instillare il dubbio e la paura della gente, la mancanza di fiducia verso la polizia che abusa del suo potere, l’uso strumentale del coprifuoco notturno, la falsificazione delle prove attraverso la violenza. Il risultato è che ognuno pensa a sé. Vi ricorda qualcosa?

La sfida è serrata ed avvincente. Come in un noir che si rispetti.
La Corea del Sud è descritta come un Paese in stato di difesa con atteggiamento violento. Questa caratteristica è tipica anche di Parasite perché sostanzialmente quelle stesse persone che ieri violavano le regole, agivano con violenza e ossessione, sono quelle che hanno conquistato il benessere.
Tutti sono colpevoli: come in “Favolacce” dei fratelli D’Innocenzo non ci sono buoni e cattivi. In ogni uomo c’è entrambi. Sono tutti colpevoli di qualcosa, e al tempo stesso vittime dei loro errori e della loro coscienza.
Lo sguardo attonito di un ottimo Sang Kang-ho sembra essere quella dello spettatore: guardando in camera, sembra chiedersi il perché di questo caso e di queste efferate azioni criminali.

Tuttavia la bravura di Bong Joon Ho è l’utilizzo della farsa per farci capire le incongruenze della polizia di regime e dell’uso del manganello facile. Infatti nemmeno l’ispettore venuto dalla città riesce a districare la matassa.
Tutti rimangono profondamente ossessionati da questo caso.
Ma mentre il film ha un finale aperto, nella realtà lo “Zodiac coreano” ha un volto. Il caso è stato definitivamente risolto da poco. Condannato all’ergastolo nel 1994 per l’uccisione della cognata, il vero serial killer Lee Choon-jae ha confessato soltanto nel 2019 di aver commesso altri 14 omicidi, inclusi i dieci di Hwaseong tra il 1986 e il 1991. Si è arrivati a lui soltanto adesso grazie al DNA. In totale, Lee avrebbe fatto 46 vittime: 15 per omicidio e le restanti 31 per stupro o tentato stupro. Tutte donne: sia ragazzine sia adulte (perfino con età superiore ai 70 anni). Aveva ragione Stieg Larsson: nel suo primo libro della serie “Millennium” aveva accuratamente descritto di uomini che odiavano sistematicamente e brutalmente le donne. Facendo un parallelismo tra questo fenomeno e il fanatismo dei movimenti dell’estrema destra svedese.

Bong Joon Ho ha commentato la notizia dicendo che “ho anche provato a immaginare il suo volto e a disegnarlo. Avevo persino una lista di domande che ero pronto a fargli nel caso mi fossi imbattuto in qualche modo in lui. Finalmente ho potuto vedere il suo volto pubblicato sui giornali: guardarlo mi ha fatto provare sentimenti complicati”. Onestamente a vedere questo film oso immaginare quali siano. Se non avete ancora visto “Parasite”, prima vi consiglio vivamente di vedere “Memorie di un assassino”.

FONTI: Mymovies.it, comingsoon.it, cinematografo.it,cinematographe.it


MEMORIE DELL’ASSASSINO ****
(Corea del Sud 2003)
Genere: Thriller, Drammatico, Azione
Regia: Bong Joon Ho
Attori: Song Kang-ho, Sang-Bum Kim, Roe-Ha Kim, Jae-Ho Song, Hee-Bong Byun, Seo-Hie Ko
Sceneggiatura: Bong Joon Ho, Sung-Bo Shim
Fotografia: Kim Hyung-koo
Musiche: Tarô Iwashiro
Montaggio: Sun-min Kim
Scenografia: Ryu Sung-hee
Distribuzione italiana: Academy Two
Trailer italiano qui
La frase: Gli eventi reali di questa città mi intrigano più delle riviste


Regia ****1/2 Interpretazioni **** Fotografia **** Sceneggiatura ****1/2


Immagine da www.wired.it

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Tommaso Alvisi

Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.

Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.

Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.

archivio.ilbecco.it/autori/itemlist/user/2754-tommaso-alvisi.html
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