Pubblicato per la prima volta il 6 novembre 2014
L’11 Ottobre di 10 anni fa, veniva annunciata la nascita del Partito Comunista Indiano (maoista), fusione dei due principali movimenti comunisti illegali attivi nel Paese, il CPI (marxista-leninista) e l’MCCI (Centro Comunista Maoista Indiano) dando nuovo vigore alla lotta armata e insurrezionalista, comunque già esistente in India dagli anni ’60.
Il nuovo movimento, coniugando l’ideologia marxista-leninista con quella maoista, rifiuta il sistema parlamentare e democratico indiano, viste come uno specchietto per le allodole dietro al quale si nasconde invece un impianto statale ancora estremamente oligopolistico e semi-feudale. I maoisti denunciano una situazione economica e sociale insostenibile. Nelle campagne, pochi proprietari terrieri dispongono del grosso delle ricchezze e obbligano le popolazioni tribali a vivere in condizioni economiche ed igieniche pessime mentre, nelle città, un esercito di proletari è costretta a turni massacranti di 12-14 ore in cambio di uno stipendio appena in grado di riprodurre le loro condizioni materiali di esistenza.
La storia dell’insurrezionalismo di matrice comunista in india ha una lunga storia, ma è da pochi anni che l’unione dei movimenti così detti “naxaliti”, in onore della rivolta del 1967 di matrice socialista nel villaggio di Naxalbar, è diventata, con le parole pronunciate nel 2006 del primo ministro di allora Manmohan Singh, “la principale minaccia interna che l’India deve affrontare”. Superate le divisioni intestine, tutte le forze comuniste rivoluzionarie indiane hanno fatto fronte comune nell’opporsi a quella che definiscono come l’oppressione capitalista del 5% del Paese contro una massa di contadini e operai. Il movimento rivoluzionario, direttamente per bocca del suo carismatico Segretario Generale Muppala Lakshmana Rao, conosciuto col soprannome di “Ganapathi”, denuncia inoltre “la guerra contro il popolo” mossa da Delhi nei confronti delle classi subalterne.
In particolare comunque, il maoismo trae la sua forza dal fallimento dello Stato nel rispettare alcuni fondamentali articoli della Costituzione che in teoria dovrebbero garantire il diritto delle popolazioni tribali a un certo grado di autonomia e alla possibilità di sfruttare le risorse minerarie presenti nelle loro terre. È imposto anche un limite alle terre che un grande latifondista può possedere, ma nessuno di questi programmi viene rispettato, sono anzi innumerevoli le denuncie delle atrocità commesse dagli ufficiali statali nei confronti degli indigeni. Il “sogno della formica rossa”, che è anche il titolo del documentario del 2013 di Sanjay Kak sui naxaliti, è dunque quello di rovesciare il sistema fondato sulla burocrazia capitalista per costruire un’india democratica e socialista, rispettosa dei diritti delle popolazioni tribali e fondata sull’uguaglianza.
Se rispetto al passato è stata persa, almeno parzialmente, l’appoggio della classe lavoratrice urbana e degli studenti, i naxaliti hanno negli ultimi dieci anni intensificato la loro presenza nella campagna, incontrando l’appoggio proprio delle popolazioni tribali locali, abbandonate dallo Stato, incapace di apportare un piano di sviluppo serio nei loro confronti. Piuttosto, gran parte dell’India rurale vive sempre più ai margini di una società che al crescere del prodotto interno lordo, ha visto aumentare anche le disuguaglianze sociali. Il movimento naxalita, ha di fatto sostituito lo stato in molti distretti, deliberatamente abbandonati a se stessi dalla politica economica governativa, istituendo un sistema educativo e sanitario alternativo e aiutando i locali sia nei lavori agrari e nella loro lotta di emancipazione rispetto alle grandi multinazionali che vorrebbero sfruttare i grandi giacimenti di materie prime che si trovano nella zona, sia rispetto ai grandi proprietari terrieri che secolarmente impongono i loro dictat alle sfruttate tribù agrarie locali, cercando di mantenere in vita una struttura sociale statica fondata sul principio della casta.
Il braccio armato del CPI (maoista) è costituito, secondo fonti governative, da almeno 8,000 volontari armati con armi leggere, rubate alla truppe di polizia e paramiliari governative, nel corso delle varie imboscate che hanno realizzato. Altri fonti parlano di più di 10,000 guerriglieri. A questi si aggiungono circa 38,000 Miliziani del Popolo, reclutati direttamente dai villaggi e dalle campagne ostili al governo e in possesso di armi piuttosto rudimentali (archi, fionde, machete). La guerriglia si attua quasi totalmente nelle foreste, dato che la sproporzione militare , tecnica e numerica rispetto alle truppe paramilitari messe in campo dal governo indiano, impediscono alle forze ribelli di avventurarsi nelle zone urbane. Interessante notare che la maggior parte dei guerriglieri così come molte delle figure del partito nelle posizioni di potere, sono donne. È Lo stesso “Ganapathi” , in un’intervista rilasciata nel 2010, che afferma che nel movimento maoista le donne “trovano quella libertà che non possono avere nella società indiana”.
Nonostante le frequenti uccisioni e arresti di membri importanti del Politburo e della Commmissione Centrale, soprattutto negli ultimi anni, il movimento rivoluzionario, grazie alla leadership carismatica del Segretario generale “Ganapathi”, continua ad avere una grande influenza nella parte occidentale del paese, in corrispondenza della zona della “cintura forestale” negli Stati di Chattisgharh, Odisha, Bihar, Jharkhand, Maharastra, e del Bengala Occidentale. A seconda degli anni e degli esiti parziali del conflitto, che procede a fasi alterne, i naxaliti sono presenti in una decina di Stati e in un centinaio di distretti sui 640 che formano la cartina politica dell’India.
Se la tattica è quella della guerriglia e delle imboscate nelle zone più selvagge e remote dell’india centro-occidentale, su più vasta scala, la strategia adottata dal partito è quella di cercare di istituire una “Zona Rivoluzionaria Compatta” proprio all’interno di questi distretti, vale a dire, eliminare ciò che resta della presenza statale nelle regioni sotto la loro influenza per poi poter spostare la lotta armata nelle città e nelle altre zone del Paese.
La lotta fra le forze governative e i guerriglieri del CPI (maoista) è ovviamente anche una dura contesa sul piano della propaganda: i naxaliti sono accusati di sfruttare le popolazioni tribali e agrarie, di esigere da loro il pagamento di tributi e la consegna di giovani da addestrare alla guerriglia, mentre i naxaliti ribattono rovesciando questa visione e mettendo in luce come loro abbiamo protetto la popolazione locale dagli abusi sempre perpetuati dai funzionari statali e di provvedere quei servizi di base che lo stato non ha mai offerto. Ancora, lo stato afferma che i naxaliti si finanziano tramite la vendita di oppio e lo sfruttamento illegale di giacimenti minerari, accusa alla quale i rappresentanti del CPI (maoista) rispondono affermando che se così fosse, le dotazioni di armamenti in mano alla guerriglia sarebbero enormemente più massici, piuttosto è lo stato che tramite la vendita di materie prime, acquista gli armamenti da USA e Israele che vengono poi impiegati nel tentativo di debellare le forze rivoluzionarie.
Quello che è di fatto un vero e proprio conflitto con episodi di violenza che si verificano con una regolarità quasi quotidiana, ha subito una scossa, con l’operazione “Green Hunt” promossa dalla Difesa indiana cinque anni fa e intenzionata a schiacciare e debellare la presenza dei maoisti da molti distretti statali. Una caccia al maoista senza precedenti con un intervento massiccio di truppe paramilitari (e secondo le fonti maoiste, anche con l’impiego diretto di settori dell’esercito nazionale) che ha rapidamente portato all’escalation del conflitto.
Il prossimo articolo si occuperà più nel dettaglio proprio di questa operazione e dei suoi esiti per mettere meglio in luce quella che è la situazione attuale in questa dura contesa decennale.
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Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all’arte in tutte le sue forme.