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Febbraio 28, 2019

La destabilizzazione del Venezuela: laboratorio di post-verità per la guerra fredda di domani

Alessandro Zabban Internazionale

La narrazione sulle vicende venezuelane si tinge di sfumature sempre più grottesche. Non ci si era mai spinti così oltre nell’insultare l’imparzialità e il buon senso quanto in questi ultimi mesi. La violenza mediatica è del resto in linea coi tempi che stiamo vivendo. Riflettono perfettamente la paura dell’ordine liberale per un mondo che non è più a sua immagine e somiglianza così come appariva agli inizi degli anni novanta e nelle ottimistiche profezie di Fukuyama. Certo, il neofascismo sta aiutando a mettere una pezza a una situazione altrimenti disastrosa: laddove il neoliberismo esplicito fallisce, subentra un sovranismo xenofobo che aiuta a indirizzare l’odio verso le categorie sociali più deboli, ma senza cambiare di un filo la politica economica, sempre mercantilista, solo più camuffata, viscida. Un sospiro di sollievo per l’intellettuale liberale che quando c’è da scegliere fra fascismo e socialismo si schiera sempre dalla parte del primo, che sbraita ma poi continua a difendere gli interessi dei suoi padroni. Così mentre nel Brasile di Temer prima e Bolsonaro poi si assassinano attivisti, si purgano i dipendenti pubblici di sinistra, si obbliga esponenti dell’opposizione a scappare perché sottoposti a continue minacce di morte, nell’indifferenza complice di tutti i governi occidentali, il popolo venezuelano è usato come palla da cannone per le mire imperialiste degli Stati Uniti e dei suoi scagnozzi sudamericani  ed europei.

Trasformare il Venezuela in una nuova Siria o in una nuova Libia con centinaia di migliaia di morti e milioni di sfollati interessa del resto davvero a pochi. Per il decadente impero americano infatti si sta giocando una partita decisiva per gli equilibri geopolitici di lungo termine. Il controllo indiretto, tramite un governo amico e un Presidente fantoccio, degli enormi giacimenti petroliferi venezuelani rappresenterebbe un asset determinante nella guerra fredda che si sta combattendo, per ora in ambito prevalentemente commerciale, contro il polo russo-cinese. In particolare, è l’ ambizioso progetto di sviluppo e cooperazione internazionale eurasiatico della Nuova via della seta lanciato da Pechino a essere al centro delle preoccupazioni dell’amministrazione Trump, consapevole che l’egemonia globale americana è sempre più in bilico. Da qui l’esigenza di una reazione, che appare sempre più scomposta e rabbiosa. Insomma, si scrive Venezuela, ma si legge Cina.

Non stupisce allora una delle offensive mediatiche più clamorose mai lanciate dai grandi gruppi editoriali del mondo occidentale. Gli stessi che peraltro fanno campagne contro le fake news e per un giornalismo di “qualità”, sono ora in prima linea nel delegittimare in tutti i modi un governo forse non perfetto ma sicuramente molto più rispettoso dei diritti politici, civili e umani della maggior parte degli alleati e dei partner commerciali statunitensi ed europei, che il sistema mediatico si guarda bene dal voler delegittimare. Ci si è inventati davvero di tutto, dai report di una normalissima Caracas stravolta da chissà quali violenze e presa nella morsa della fame alla messinscena dei convogli “umanitari” (in realtà persino la Croce Rossa ha affermato che non si tratta affatto di aiuti umanitari) bruciati da Maduro (dati alla fiamme nella parte colombiana del confine, lontano dalle guardie di frontiera venezuelane). Fra scene grottesche (Guidóche circondato da decine di televisioni venezuelane e internazionali lamenta la mancanza di libertà di stampa), dichiarazioni surreali (leader europei senza alcuna legittimità popolare che danno lezioni di democrazia a Maduro, Presidente legittimamente eletto con uno dei sistemi elettorali migliori del mondo[1]) e accuse di crimini contro l’umanità senza un movente logico e senza lo straccio di un prova, in una narrazione ancora più arrabattata di quella che avrebbe dovuto inchiodare Assad sull’uso delle armi chimiche, siamo in presenza di una delle narrazioni più tossiche che siano mai state propinate nella storia recente. Più che di notizie imprecise e parziali, si tratta spesso di una minuziosa operazione chirurgica di falsificazione, mistificazione e stravolgimento della realtà, ad un grado abnorme di manipolazione delle informazioni che nella loro incompletezza generale vengono date in pasto a un’opinione pubblica suscettibile con l’obiettivo di scandalizzarla e con lo scopo di restituire un immagine stereotipata del “dittatore orco”, con lo stesso taglio giornalistico della cronaca scandalistica e nera e con lo stesso accanimento morboso riservato al presunto ladro o stupratore di turno, ovviamente romeno o africano. Prese complessivamente, tutte queste notizie sfiderebbero il buon senso[2], ma propinate a piccole dosi quotidiane, fondate su un sottile gioco di allusioni, con agili articoli leggibili in soli due minuti, e quindi senza essere minimamente contestualizzati, generano efficacemente un effetto di realtà Hollywoodiano: la degenerazione e la follia che attanagliano il Venezuela in un climax infinito di iperboli, tanto  che un falco guerrafondaio e interventista sempre solerte come John Bolton può affermare con una prepotenza disarmante che Maduro potrebbe finire a Guantanamoo un non meno invasato Marco Rubio twittare una foto di Gheddafi sanguinante con chiaro riferimento a Maduro, senza che nessuno abbia alzato un dito per fermare questa escalation di violenze verbali e per raffreddare un clima d’odio costruito a tavolino (ma se fosse stato fatto a parti invertite…).

Se la narrazione risulta così unidirezionale non è però colpa dei vari Soros ma dell’incapacità sempre più cronica della sinistra di non produrre controcultura, un abbozzo di egemonia culturale e neppure una visione compatta e coerente su un tema fondamentale come quello dell’imperialismo e delle ingerenze straniere. La spaccatura netta nel campo della sinistra fra una componente liberaldemocratica nemica di qualsiasi popolo non sottomesso al Washington Consensus (o al più modesto European Consensus) e una sinistra radicale marginalizzata e debole ha frantumato una lettura marxista della società e del mondo, relegandola in piccole oasi culturali (le poche riviste, centri studio e dipartimenti ancora non cannibalizzati dal realismo capitalista) che non hanno quasi nessuna possibilità di imporre i loro temi all’attenzione dell’opinione pubblica. Se poi anche fra le file della sinistra radicale si moltiplicano gli appelli alla cacciata di Maduro dal Venezuela, come sta tristemente accadendo, questo è il sintomo di un fallimento decennale sul piano delle idee (spesso confuse anche fra i leader e i dirigenti) e sulla loro diffusione nella società. Non perché il messaggio è complicato o va semplificato ma perché in molti ambienti la diffusione delle idee e la formazione politica dei militanti è stata sacrificata sull’altare della ricerca del consenso, col risultato che alla fine è stata data per scontata come caratteristica intrinseca alla sensibilità di sinistra un rifiuto per le guerre di aggressione senza rendersi conto del successo dell’avanzata inarrestabile della propaganda di destra e dell’ideologia dell’intervento umanitario, della guerra al terrorismo, dell’esportazione della democrazia e degli “stati canaglia” anche e sopratutto fra i ranghi di una sinistra disorientata e fragile. Se ancora nel 2003 si poteva raccogliere un ampio schieramento contro l’intervento militare in Iraq, oggi un movimento antimperialista contro la guerra in un paese decisamente più pluralista e democratico dell’Iraq rimane totalmente marginale. In un agone politico in cui lo scontro è fra neoliberisti che odiano la libertà di scegliere un modello politico economico diverso dal loro e sovranisti che odiano la sovranità altrui, chi rimane a difendere il Venezuela? Senza una reale mobilitazione della sinistra nel contesto politico dei paesi occidentali, in grado di fare da argine alle spinte imperialistiche della destra neoliberista e neofascista, qualsiasi esperienza politica di sinistra è destinata a essere rovesciata. L’ascesa della Cina a ruolo di potenza internazionale è una notizia positiva per chi ritiene preferibile un mondo multipolare rispetto all’attuale, ma la costruzione di un mondo migliore non può essere affidata all’attesa del salvatore straniero, che rischia di essere un miraggio, bensì deve necessariamente passare per un processo di mobilitazione collettiva contro la dominazione degli interessi del capitale transnazionale.


[1] La trasparenza e la validità del sistema elettorale venezuelano, che prevede il voto automatico con riconteggio manuale del 100%  delle schede, sono state riconosciute dai principali organi di sorveglianza elettorale e dagli osservatori internazionali. https://www.telesurenglish.net/news/Venezuela-Global-Observers-Ratify-Electoral-Transparency-20180519-0012.html

[2] Basta poco per mettere in luce l’ipocrisia occidentale. Da una parte si fanno affari con la teocrazia saudita, comprando il loro petrolio e vendendo bombe destinate allo Yemen, dall’altra si piangono lacrime di coccodrillo per i Venezuelani oppressi dal “feroce” Maduro. Se Stati Uniti, Colombia, Brasile ed Unione Europea tengono così tanto al benessere del popolo colombiano perché non mettono fine all’embargo che strozza l’economia venezuelana invece di provare a entrare con un convoglio che sappiamo essere tutto fuorché “umanitario”?

 

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Alessandro Zabban

Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all’arte in tutte le sue forme.

archivio.ilbecco.it/autori/itemlist/user/933-alessandro-zabban.html
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