Con l’elezione di Trump alla Casa Bianca si è decisamene inasprito il clima di strisciante guerra fredda che già serpeggiava fra il mondo occidentale e la Cina. Negli ultimi anni, alle poco brillanti performance economiche europee e del mondo anglosassone, ha fatto da contraltare il consolidarsi della Cina come potenza mondiale, forte degli elevati tassi di crescita del suo PIL e della capacità della macchina statale di pianificare strategie di sviluppo finora risultate vincenti.
Trump è stato forse il primo leader occidentale a porsi concretamente il problema di come ostacolare l’ascesa cinese a ruolo di superpotenza. La guerra commerciale che ha inaugurato non si è però rivelata vincente nel mettere in ginocchio un’economia come quella cinese, basata non più solo sull’export ma anche sulla crescita dei consumi nel mercato interno. Così, per il momento, l’arma più forte dell’Occidente resta la leva ideologica, ovvero la capacità di costruire narrazioni collettive e plasmare visioni del mondo. Come durante la guerra fredda con l’Unione Sovietica, anche oggi il soft power riveste un’importanza fondamentale nel plasmare lo scenario geopolitico e non è certo un mistero che negli ultimi decenni il bersaglio ideologico dell’Occidente sia coinciso con tutti quei Paesi non allineati al binomio democrazia liberale e liberismo economico.
Le strategie di screditare e delegittimare il ruolo internazionale della Cina sono cresciute esponenzialmente in intensità durante la crisi sanitaria di Covid-19, evento non a caso investito da parte di molti esperti e intellettuali di forti valenze storiche e simboliche: doveva essere la Cernobyl cinese, potrebbe rivelarsi una Suez americana[1]. Le narrazioni occidentali sul Coronavirus hanno come elemento essenziale l’identificazione della Cina come responsabile principale della pandemia, atteggiamento che risponde all’esigenza di molti paesi di nascondere le proprie inefficienze strutturali nella gestione dell’emergenza sanitaria. Le accuse, quasi sempre scomposte, spesso violente e non di rado infondate, mostrano il tentativo di fare di Pechino il capro espiatorio perfetto.
Le fasi iniziali dell’emergenza, relative a gennaio e a buona parte di febbraio, nelle quali il virus era percepito come un problema quasi esclusivamente cinese, sono state accompagnate anche da una serie di critiche rivolte verso la gestione e la misure adottate da Pechino, ritenute eccessivamente rigide, draconiane e brutali[2], tanto che in molti hanno sospettato che ci potessero essere state delle violazioni dei diritti umani[3]. Non sono pochi poi coloro che ipotizzavano che la crisi sanitaria fosse meno grave di quanto affermato dalle autorità di Pechino e che venisse usata come pretesto per un’ulteriore centralizzazione del potere nelle mani del Partito Comunista[4]. Quando il virus si è diffuso in tutto il mondo, questo genere di accuse, risultava ormai poco efficace. A un’opinione pubblica intenta a ingiuriare il runner di turno e ad applaudire l’uomo forte che concentra su di sé il potere, risultava difficile vendere le misure cinesi come inappropriate.
Con l’emulazione di misure restrittive paragonabili a quelle di Wuhan in un numero crescente di paesi, l’accusa alla Cina si è spostata dall’aspetto autoritario a quello dell’efficienza e della trasparenza nella gestione del Covid-19. Molte delle accuse piovute su Pechino recentemente, sono venute per bocca di Trump o per quella di uno del suo entourage a cui hanno poi fatto eco dichiarazioni di altri esponenti di paesi alleati.
Una di queste consiste sulla congettura che Pechino non abbia diffuso informazioni adeguate sul Coronavirus, tenendo all’oscuro la comunità internazionale sulla sua reale pericolosità. Sappiamo però che Pechino aveva avvisato l’OMS già il 31 dicembre[5] di una serie di casi di polmonite di origine sconosciuta e condiviso la sequenza del genoma il 10 del mese successivo[6], mentre le drastiche misure adottate dalle autorità per fermare l’avanzata del Covid-19 erano sotto gli occhi di tutti, riempiendo le pagine dei nostri giornali e interrogando profondamente la comunità scientifica mondiale. Lo stesso Xi Jinping il 28 gennaio aveva affermato pubblicamente che il popolo cinese era in presenza di un terribile “demone” (Móguǐ) da sconfiggere[7], mentre Trump, in evidente contraddizione con se stesso, affermava, nei suoi tweet di fine gennaio, non solo di apprezzare gli sforzi e la trasparenza di Pechino nel contrastare il virus, ma anche che gli Stati Uniti stavano lavorando in stretto contatto con la Cina e gli altri paesi[8]. Se in molti, ancora fra febbraio e marzo sottovalutavano la pericolosità del Covid-19, equiparandola a poco più di un semplice influenza, la colpa non è certo di Pechino.
Se è difficile dunque affermare che il mondo non fosse avvertito sulla pericolosità del Covid-19 già da gennaio, la Cina potrebbe aver cercato di nascondere e di insabbiare il problema a dicembre del 2019, come le viene da più parti imputato, quando si sono registrati i primi casi di una polmonite di origine sconosciuta. Va però ricordato che si era in presenza di un virus totalmente ignoto, di cui non si conosceva nulla (il Covid-19 viene identificato il 7 gennaio, mentre la conferma del contagio da uomo a uomo avviene solo il 22 gennaio[9], alla vigilia del lockdown di Wuhan) e non ci sarebbe da stupirsi se inizialmente la risposta delle autorità, in mancanza di elementi certi, fosse stata quella di non creare allarmismi. Ricordiamo che in Italia agli inizi di marzo, pur avendo sotto gli occhi un quadro abbastanza chiaro delle misure adottate in Cina, molti politici investiti di cariche istituzionali, invitavano a non lasciarsi contagiare dalla paura e di uscire a prendere l’aperitivo.
Sicuramente è possibile che da parte di Pechino ci siano stati dei ritardi nel prendere provvedimenti efficaci una volta che era diventato evidente la capacità del virus di espandersi su vasta scala. Varie analisi più o meno serie che hanno avuto una certa risonanza nei media nostrani parlano di ritardi (alcuni parlano di ritardi di sei giorni, altri di undici, altri di settimane) ma in mancanza di investigazioni indipendenti e di elementi certi[10], che rendono operazione oziosa provare a ricostruire la cronologia degli eventi, questa accusa risulta poco consistente. La cosa che merita piuttosto di essere messa in evidenza è come le critiche sui ritardi cinesi arrivano da quei governi che pur consci della grave situazione nella quale versava Wuhan e la Cina intera, non hanno preso i provvedimenti necessari a prevenire una diffusione su larga scala nel loro paese. Serve una bella dose di ipocrisia nel criticare gli altri di aver risposto lentamente all’emergenza quando si è lasciato la situazione al caso per oltre un mese e nel momento dell’emergenza si è agito con lentezza se non addirittura lanciando messaggi contraddittori o minimizzando l’impatto del coronavirus nel proprio paese. Senza considerare che la Cina ha l’ulteriore alibi di essere stato il primo paese colpito e che il passaggio dallo scoprire la pericolosità del virus al mettere in quarantena una città di oltre 10 milioni di abitanti, evento unico fino a quel momento nella storia recente mondiale, non era esattamente un passaggio automatico, come afferma giustamente Hu Xijin sul Global Times[11]. In Italia molti dei nostri governanti si sono difesi dalle accuse di aver agito male e in maniera poco efficace affermando che la situazione era per loro del tutto inedita. Cosa dovrebbe dire allora la Cina che per prima si è trovata in terreni del tutto inesplorati? Se non possiamo essere certi riguardo agli errori di Pechino, si può quantomeno ipotizzare che le decisioni drastiche e difficili prese dalla Cina e lodate anche dall’OMS[12], abbiano permesso all’Occidente di guadagnare molto tempo che non ha però saputo sfruttare per prepararsi, cosa che invece hanno saputo fare altri paesi asiatici come la Corea del Sud, Taiwan o il Vietnam.
Non a caso, l’ultimo bersaglio di Trump è proprio l’OMS che è stata accusata di essere filo-cinese e di aver coperto errori e ritardi di Pechino. Si tratta di un attacco perlomeno discutibile dato che se proprio l’OMS deve essere accondiscendente verso qualche paese, dovrebbe esserlo nei confronti di quelli che contribuiscono di più al suo finanziamento, fra i quali in testa ci sono proprio gli Stati Uniti e non la Cina che partecipa con finanziamenti decisamente inferiori rispetto a Washington[13]. Inoltre, fra i 21 membri senior più influenti, ce ne è solo uno di nazionalità cinese, mentre oltre la metà degli altri viene dal Nord America o da un paese europeo[14]. La polemica si basa dunque su una semplice illazione da parte di chi non ha mai dimostrato una grande coerenza di vedute e ricorda quella nostrana sulle “toghe rosse” di berlusconiana memoria. Ma in questo clima teso, l’idea dell’OMS come burattino della Cina è stata fatta propria da un numero sorprendente di testate giornalistiche in tutto l’occidente, che su questo punto criticano Trump nella forma ma non nella sostanza[15]. Proprio al netto dei possibili errori dell’OMS, la strada dovrebbe essere eventualmente quella di ripensarne il ruolo e aumentarne i fondi per fare meglio fronte alle sfide che si aprono, non attaccarla con accuse non dimostrate e boicottarla proprio in momenti cruciali come questi, come suggeriscono giustamente T.J. Bollyky e D.P. Fidler sulle pagine di Foreign Affairs[16].
Come ogni Guerra Fredda che si rispetti, lo scontro è anche quello sui dati. Alla Cina è rimproverato di non aver diffuso cifre attendibili sul numero dei contagi e sui decessi. L’imbarazzo di fronte ai bollettini molto più pesanti dei paesi occidentali rispetto a quelli cinesi, ha portato molti paesi ad accusare la Cina di aver nascosto e manipolato i numeri. Anche in questo caso siamo in presenza di accuse infondate e che si basano solo sull’assunzione che se ci sono stati tanti casi e decessi in Europa e Stati Uniti, ce ne devono essere molti di più in Cina dove ci sarebbe (e anche questa supposizione lascia molti dubbi) un sistema sanitario peggiore[17]. Se è possibile che il numero di casi e morti in Cina in realtà sia stato maggiore di quanto riportato dalle autorità, anche in Europa e negli Stati Uniti sappiamo come i dati ufficiali siano del tutto parziali, non solo per quanto riguarda il numero dei contagiati (innumerevoli positivi a cui non è mai stato fatto il tampone) ma quasi sicuramente anche fra quello dei deceduti, come recentemente affermato in vari studi, come quello del Finantial Times[18]. In una situazione in cui mancano persino delle linee guida comuni a livello europeo per la registrazione dei casi[19], una guerra sui numeri non può che mettere in luce l’ipocrisia di chi la promuove, dato che sono veramente pochi gli stati a potersi definire virtuosi. Semmai, confrontando il rigido lockdown di Wuhan con quello più blando della similmente colpita Lombardia, dove gli spostamenti sono rimasti alti per tutto il periodo dell’emergenza e hanno toccato ad aprile il 41% di mobilità[20], non pare così assurdo aspettarsi numeri diversi sia in termini di contagi che di vittime.
L’elenco delle accuse mosse alla Cina non finisce certo qui: una delle più popolari consiste nella teoria che il Covid-19 sia sfuggito da un laboratorio di Wuhan. Nata in ambienti complottisti già nelle fasi iniziali della diffusione dell’epidemia, successivamente rilanciata dai media, dall’amministrazione americana e persino, in una variante più sfumata, da diversi governi europei, questa congettura è stata ampiamente smentita da autorevoli studi scientifici[21] ma ha fatto moltissimi proseliti complice anche una copertura mediatica spesso non sufficientemente solerte nel volerne chiarire la fallacia[22].
Appare evidente che in un clima di questo tipo, improntato alla ricerca di un capro espiatorio, si alimentino paure, giudizi affrettati e atteggiamenti razzisti. Non ci vuole molto perché stereotipi molto popolari anche in cerchie sociali a medio e alto tasso di istruzione, come ad esempio quelli sulla scarsa igiene del popolo cinese, possano facilmente sfociare in pericolosi atteggiamenti razzisti che in questo paese hanno avuto uno dei loro momenti più raccapriccianti nelle dichiarazioni di Luca Zaia rilasciate lo scorso 28 febbraio. Se le frasi in questione non meritano alcun commento, è interessante notare come il governatore del Veneto se la sia cavata tutto sommato a “buon mercato”: è stato ovviamente criticato, ma la vicenda non ha sollevato il polverone mediatico che ci si poteva aspettare da frasi così apertamente e violentemente razziste. Non si fa fatica a immaginare che se quelle esternazioni fossero state indirizzate contro un’altra etnia, la reazione della politica e dell’opinione pubblica sarebbe stata molto meno timida. Insomma, il razzismo è sempre deprecabile, ma quello nei confronti dei cinesi, che non sono più dei poveracci indifesi che muoiono di fame ma osano mettere in discussione la nostra egemonia mondiale, non è poi così grave. In generale, un retroterra razzista ha accompagnato comunque molte delle critiche mosse alla Cina che spesso evidenziano una certa arroganza tipica del retaggio colonialista[23].
Affine a questa impostazione, è l’idea che la Cina abbia contratto con noi un debito per “averci portato” il virus. Un debito non solo economico, ma anche morale (è abbastanza frequente sentire affermazioni del tipo: “mandarci gli aiuti sanitari è il minimo che potessero fare visto il casino che hanno combinato”), a voler rimarcare un rapporto asimmetrico fra Cina e Occidente, fra chi è in debito e chi è in credito, fra chi è carnefice e chi vittima. Questa impostazione, oltre a voler riscrivere la storia dei rapporti della Cina con l’Occidente segnata col sangue dalla violenza secolare dei saccheggi coloniali, si scontra, come abbiamo visto, con la mancanza di ogni evidenza scientifica sull’origine del virus e sull’impossibilità di stabilire se le misure cinesi siano state tardive oppure abbiano fortemente rallentato il contagio concedendo quel tempo che l’occidente non ha saputo usare per prepararsi. Per questo le ridicole richieste di risarcimento avanzate da alcuni paesi occidentali e da dei privati assumono dei contorni surreali. La risposta delle autorità cinesi affidata al portavoce del Ministero degli Affari Esteri Geng Shuang mette in luce le disparità di trattamento che intercorrono in circostanze simili fra un paese occidentale e uno in competizione con Washingon come la Cina:
«Qualcuno ha chiesto agli Stati Uniti di offrire un risarcimento per l’influenza H1N1 del 2009, che è stata per la prima volta diagnosticata negli Stati Uniti prima di espandersi su ampia scala e diffondersi in 214 paesi e regioni, uccidendo quasi 200,000 persone? L’AIDS fu inizialmente segnalato negli Stati Uniti negli anni Ottanta e poi si diffuse in tutto il mondo, causando indicibili sofferenze a innumerevoli vittime. Qualcuno si è per caso fatto avanti e ha chiesto agli Stati Uniti di assumersene la responsabilità?[24]»
Le accuse mosse alla Cina da molti paesi occidentali sono dunque, nella migliore delle ipotesi, pure illazioni volte a distrarre l’opinione pubblica dalle gravi falle strutturali dei loro sistemi sanitari e politici. Se paesi come Australia o Stati Uniti sono legittimati a muovere questo tipo di accuse, allora a buon diritto anche la Cina potrebbe criticare quei Paesi occidentali in cui si sono evidenziati ritardi ed errori o chiedere che vengano aperte indagini “indipendenti” nei loro paesi. Uno scenario di questo tipo sarebbe ritenuto inaccettabile dalle cancellerie occidentali e una grave interferenza negli affari interni di un paese sovrano.
La Cina lo sa ma non ha alcuna intenzione di rispondere con gli stessi toni alle provocazioni che le vengono fatte. Siamo di fronte a due diversi tipi di soft power. Quello statunitense mira a trovare un nemico da screditare in modo da provare a dimostrare la superiorità del proprio modello politico ed economico. Quello della Cina è più dimesso, pacato e ragionato. Non si fonda sugli attacchi mediatici ma mira a tessere relazioni internazionali fondate sulla cooperazione economica, come la Nuova via della seta, per trovare alleanze stabili. A fronte di un modello che punta a rovesciare o quantomeno a denigrare governi sgraditi, ne abbiamo un’altro che lavora pazientemente per presentarsi come partner affidabile. Il caso africano pare emblematico: l’esperto di politica ed economia africana Charles R. Stith afferma che la forte presenza cinese sul continente è stata possibile grazie al fatto che gli Stati Uniti non abbiano fatto nulla negli ultimi anni per rafforzare la propria presenza competitiva. Trump si è messo in luce solo per un goffo tentativo di mediare la disputa sulla gestione delle acqua del Nilo fra Egitto ed Etiopia e per aver definito gli stati africani come “shithole countries”[25].
La crisi del modello occidentale viene da lontano ma l’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19 mette in luce non solo la scarsa preparazione ma anche la poca lucidità nell’ideare strategie volte a superare le difficoltà. Invece che rafforzare con la Cina una partnership sovranazionale per lavorare insieme alla lotta al virus, come si dovrebbe fare in questi casi, si preferisce accusarla di tutto pur di salvare la propria reputazione e cercare di distrarre l’opinione pubblica dai problemi strutturali che hanno reso il Covid-19 così letale in Europa e negli Stati Uniti. Emerge in tutta la sua spettacolare drammaticità la debolezza di un paradigma politico ed economico che mostra grosse difficoltà ad assumere una visione di lungo termine e a proporre soluzioni ad ampio raggio, aspetti però che sembrano necessari in questa crisi sanitaria ed economica. È presto per dire se il Covid-19 stia effettivamente spostando l’asse del potere verso l’Asia, come molti analisti prevedono, ma i paesi occidentali possono venirne fuori solo affrontando una riflessione critica sui propri errori e sulle debolezze e problematiche del proprio modello di sviluppo. Accusare e incolpare la Cina serve davvero a poco.
Immagine da www.openphoto.net
[1] Per approfondimenti: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/17402-carlo-formenti-il-coronavirus-puo-ridisegnare-l-ordine-globale.html
[2] https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/02/18/cina-coronavirus-autoritarismo
[3] https://www.internazionale.it/notizie/james-hamblin/2020/01/30/dubbi-quarantena-coronavirus
[4] https://edition.cnn.com/2020/02/10/asia/china-security-police-wuhan-virus-intl-hnk/index.html
[5] https://www.who.int/news-room/detail/27-04-2020-who-timeline—covid-19
[6] https://www.who.int/docs/default-source/coronaviruse/who-china-joint-mission-on-covid-19-final-report.pdf
[7] https://www.corriere.it/esteri/20_gennaio_28/24-ore-cina-coronavirus-xi-tv-l-epidemia-demone-22060abc-41f2-11ea-a986-8b98b73aaf06.shtml
[8] https://www.politico.com/news/2020/04/15/trump-china-coronavirus-188736
[9] https://www.who.int/docs/default-source/coronaviruse/who-china-joint-mission-on-covid-19-final-report.pdf
[10] https://www.foreignaffairs.com/articles/china/2020-04-24/its-time-independent-coronavirus-review
[11] https://www.globaltimes.cn/content/1185512.shtml
[12] https://www.youtube.com/watch?v=g6r21My2bdw ; https://www.reuters.com/article/us-china-health-who/who-lauds-chinese-response-to-virus-says-world-at-important-juncture-idUSKBN1ZS2EE
[13] https://www.corriere.it/esteri/20_aprile_08/ma-l-oms-davvero-filo-cinese-come-denuncia-trump-e24e8db4-7995-11ea-afb4-c5f49a569528.shtml
[14] https://news.cgtn.com/news/2020-04-17/Trump-claims-the-WHO-is-a-tool-of-China-Is-he-right–PKVZroOMpy/index.html
[15] Un esempio piuttosto paradigmatico è questo articolo uscito su Internazionale di Pierre Haski: https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/04/09/oms-trump-critiche-pandemia
[16] https://www.foreignaffairs.com/articles/china/2020-04-24/its-time-independent-coronavirus-review
[17] Affermazione che oltretutto dimentica di considerare come il personale sanitario cinese fosse molto meglio equipaggiato di materiali protettivi rispetto quello italiano o statunitense
[18]Dallo studio emerge che in molti paesi europei, compresa l’Italia, il numero delle vittime per Covid-19 sia più alto di quasi il 60% rispetto ai numeri ufficiali. Per approfondimenti: https://www.repubblica.it/esteri/2020/04/26/news/coronavirus_dati_morti_mondo_60_per_cento_superiori_finacial_times_analisi-254963705/?ref=RHPPLF-BH-I254912850-C8-P5-S1.8-T1
[19] http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Coronavirus-Capua-ae7b46d2-f0f3-48dd-994b-220951e3dd32.html?refresh_ce
[20] https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/04/11/coronavirus-sala-regione-lombardia-venerdi-raggiunto-record-mobilita-arrivati-al-41-piu-movimenti-su-arterie-turistiche-rimanete-in-casa/5767858/
[21] https://www.nature.com/articles/s41591-020-0820-9
[22] Per una ricostruzione sulla teoria del laboratorio e le prove che la confutano: https://www.corriere.it/cronache/20_aprile_26/coronavirus-prove-definitive-contro-teoria-laboratorio-7887264c-86f2-11ea-9b77-4fc0668b38e0.shtml
[23]Ci sentiamo di condividere le opinione espresse in questo articolo: https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/apr/10/blaming-china-coronavirus-pandemic-capitalist-globalisation-scapegoat
[24] https://www.fmprc.gov.cn/mfa_eng/xwfw_665399/s2510_665401/2511_665403/t1771576.shtml
[25] https://www.scmp.com/comment/opinion/article/3081025/us-paranoia-about-china-misplaced-and-its-now-impeding-global
Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all’arte in tutte le sue forme.