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12 Novembre 2020

Privato è peggio? Esternalizzazioni e crisi in Gran Bretagna

Niccolò Bassanello Politica

Pubblicato per la prima volta il 5 febbraio 2018

Il fenomeno dell’esternalizzazione dei servizi è talmente diffuso ai quattro angoli del mondo Occidentale da non aver bisogno di troppe presentazioni.
Amministrazioni pubbliche, dalle scuole ai comuni, dalle biblioteche alle università, dalle caserme ai Ministeri, privatizzano parte delle loro funzioni appaltandole ad aziende esterne, che a loro volta spesso e volentieri subappaltano il contatto vinto ad altri soggetti terzi.

Ciò si traduce in realtà con cui noi tutti abbiamo sicuramente familiarità, come gli addetti alle pulizie degli ospedali dipendenti da ditte terze o i cuochi delle mense scolastiche in cooperativa, e in altre realtà che dovremmo conoscere ma che spesso ci sfuggono, come le carceri private e i contractors della difesa.

In tutti i casi il pubblico mantiene solitamente un potere di supervisione e di fissazione dei livelli e degli obiettivi minimi da raggiungere, mentre il soggetto privato è libero – entro i limiti dettati dall’appalto e dai regolamenti dell’amministrazione pubblica – di organizzare le risorse e gestire il proprio personale nella maniera che ritiene più efficiente.

La natura stessa del settore, dipendente da sporadici grandi appalti pubblici, fa sì che sia dominato da singoli grandi attori, di norma aziende for profit, ma anche realtà di volontariato e cooperative di cui è legittimo mettere in dubbio la natura mutualistica, o raggruppamenti di attori minori.

L’idea di fondo a questo sistema di scatole cinesi è che da un lato lo Stato risparmi investimenti in settori a scarso valore aggiunto o accessori alla missione principale delle singole amministrazioni pubbliche, d’altro canto che il privato, mosso dal profitto, sappia economizzare al meglio le risorse date, eliminando inefficienze e farraginosità.

È del tutto evidente la natura ideologica delle politiche di esternalizzazione, che infatti hanno preso piede in tutto il mondo proprio quando il consenso socialdemocratico postbellico ha cominciato a sgretolarsi, tra fine anni ’70 e inizio anni ’80.

Lungi da garantire una migliore qualità del servizio, denunciano da sempre sindacati e attivisti di sinistra, le esternalizzazioni significherebbero drammatici crolli nei salari e nelle condizioni dei lavoratori, degrado del servizio offerto e peggioramenti nell’efficienza dell’amministrazione pubblica nel suo complesso; il piatto ricco degli appalti dei servizi esternalizzati, inoltre, verrebbe vinto dalle aziende disposte a spremere più spregiudicatamente la forza lavoro, o finirebbe inevitabilmente nelle mani dei soggetti privati più “ammanicati” con la politica.

Raramente, invece, si è evidenziata l’inerente rischiosità di mettere in mano a privati fallibili la fornitura di servizi pubblici magari di loro secondari, ma essenziali ad altri servizi di primaria importanza (se la ditta che gestisce il personale della mensa scolastica fallisce, chi darà da mangiare agli scolari?). Le ditte specializzate in fornire servizi esternalizzati, inoltre, sono spesso autentici colossi, che impiegano migliaia di persone direttamente o in un indotto di decine di subappaltate, che gestiscono contratti milionari, e i cui risultati dipendono crucialmente dalle performance di pochi contratti. Ciò rende queste realtà autentici giganti dai piedi di argilla, pronti a crollare nel caso i grossi contratti pubblici da cui dipendono per sopravvivere rendano meno del previsto.

Il tutto, inoltre, è probabilmente peggiorato dall’inevitabile vicinanza che si sviluppa tra questi complessi economici privati ed il decisore pubblico, e da eventuali deficit nella vigilanza che non è assurdo immaginare derivino da questa vicinanza.

A dare sostanza a queste preoccupazioni ci ha pensato una firm britannica, nata nel settore delle costruzioni ma operante in virtualmente tutti i settori dell’amministrazione pubblica di Oltremanica: tra gli altri contratti, spiccano quelli relativi a manutenzione e refezione negli ospedali pubblici, gestione di strutture sanitarie per un totale di più di 200 sale operatorie e 11000 posti letto, manutenzione in più della metà delle prigioni britanniche, refezione e pulizie nelle scuole, fornitura di personale per le biblioteche pubbliche e gestione di settori della rete elettrica nazionale.

A condannare Carillion secondo il quotidiano The Guardian sarebbero stati tre contratti monstre di Public-Private Partnership (PPP), una fattispecie simile al nostro project financing in cui i soggetti privati competono per aggiudicarsi i lavori, con il governo britannico per la costruzione dell’ospedale universitario di Liverpool, del Midland Metropolitan Hospital a Smethwick, di un progetto di sviluppo stradale in Scozia ed un progetto simile negli Emirati; in tutti i casi una serie di contrattempi avrebbe intralciato il procedere dei lavori, erodendo progressivamente il ristretto margine di profitto di Carillion, fino a costringere l’azienda ad una drastica revisione del valore di questi contratti, che ha cancellato dai bilanci circa 840 milioni di sterline. Già appesantita da debiti per più di 900 milioni di sterline, e stante il rifiuto del governo May di un’iniezione di denaro pubblico, Carillion è stata costretta ad entrare in liquidazione intorno al gennaio di quest’anno.

Una crisi aziendale di proporzioni colossali: più di 45000 posti di lavoro a rischio, 30000 tra piccole aziende fornitrici o subappaltate che rischiano di non recuperare i propri crediti, oltre a fondi pensione dei dipendenti Carillion con un disavanzo complessivo di 850 milioni di sterline, che verranno salvati dallo Stato ma al prezzo di consistenti tagli ai futuri trattamenti pensionistici.

In alcune città britanniche sono stati addirittura allertati i vigili del fuoco, nel caso servano uomini per coprire servizi come la refezione nelle scuole e negli ospedali, che erano svolti da personale in appalto.

Come se non bastasse Capita, un’altra azienda del ramo dell’outsurcing che gestisce attività diverse quanto l’esattoria del canone BBC e la gestione dei braccialetti elettronici dei detenuti, negli ultimi giorni del mese scorso ha perso più di un miliardo di sterline in valore azionario, a seguito delle ammissioni del nuovo CEO sulla grave situazione finanziaria dell’azienda. Anche se il caso Capita sembra – per ora – meno grave della crisi Carillion, rende comunque l’idea di un pezzo di sistema profondamente in crisi.

Dagli scranni del Labour John McDonnell – il cancelliere ombra – ha in proposito parlato della necessità, alla luce dei fatti degli ultimi trent’anni, di abbandonare il “dogma obsoleto” della superiorità del privato sul pubblico.

Per quanto abbia in questo sicuramente ragione, con ogni probabilità il problema è di proporzioni più ampie, tanto politicamente quanto geograficamente.

Il sistema delle esternalizzazioni, delle PPP e di simili strumenti, come l’ordine socioeconomico più ampio in cui si inseriscono, è coessenziale alla propria giustificazione ideologica (qualcuno parlerebbe di “neoliberalism”, un termine ambiguo e scivoloso, che però può essere utile per rendere l’idea); una ideologia – o meglio una ratio politica – volontariamente adottata da forze politiche di ogni persuasione, che ha letteramente schiacciato i suoi avversari intellettuali nel passaggio tra moderno e postmoderno e indubbiamente vinto la battaglia per l’egemonia.

Abbandonarne i dogmi obsoleti significa avere una reale alternativa, prima di tutto a livello ideologico, da abbracciare: egemonica a livello globale, coerente in se stessa e adatta non ad un mondo immaginario pronto alla rivoluzione ma alla realtà di una società di cui sono da ricostruire addirittura le vecchie fondamenta liberali.

Purtroppo, a parte i più che condivisibili ma drammaticamente estemporanei impegni contro la disuguaglianza o per un mondo più giusto, ad oggi non sembra che nessuno spettro del genere si aggiri per l’Europa, o tantomeno per l’Occidente.


Immagine da www.flickr.com

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Niccolò Bassanello

Nato a Bozen/Bolzano, vivo fuori Provincia Autonoma da un decennio, ultimamente a Torino. Laureato in Storia all’Università di Pisa, attualmente studio Antropologia Culturale ed Etnologia all’Università degli Studi di Torino. Mi interesso di epistemologia delle scienze sociali, filosofia politica e del diritto, antropologia culturale e storia contemporanea. Nel tempo libero coltivo la mia passione per l’animazione, i fumetti ed il vino.

archivio.ilbecco.it/autori/itemlist/user/960-niccol%C3%B2-bassanello.html

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