Dopo qualche giorno di attesa, dovuto al ritardo nel conteggio dei voti, lo possiamo dire: Pedro Castillo è stato eletto come nuovo Presidente del Perù. Il maestro di scuola e sindacalista ha avuto la meglio su Keiko Fujimori nel secondo turno delle elezioni Presidenziali che si sono tenute domenica 6 giugno.
Quella fra i due contendenti è stata una sfida elettorale combattutissima, un testa a testa che si è protratto per giorni.
All’inizio Fujimori appariva in netto vantaggio, ma era solo un’illusione ottica prodotta dal rapido scrutinio dei seggi delle aree urbane, più propense a votare la “Señora K”. Quando sono cominciati ad arrivare i risultati anche dei collegi delle compagne, il quadro è lentamente ma inesorabilmente mutato.
Nei seggi più rurali e remoti, dove Castillo ha costruito la sua base elettorale, il suo partito Perú Libre ha infatti ottenuto un successo schiacciante e così il divario si è assottigliato fino all’inevitabile sorpasso. Vistasi scavalcata, Fujimori ha, senza alcun fondamento, urlato ai brogli, anche se molti dei suoi sostenitori speravano ancora nei voti dei peruviani all’estero, conteggiati con clamoroso ritardo, e che tradizionalmente sono ampiamente ad appannaggio delle destre.
È stato così anche stavolta[1], ma non è bastato a compensare il successo di Castillo nelle aree rurali a lui favorevoli. Nella giornata di lunedì, il leader di Perú Libre ha invitato alla calma e al contrario di Fujimori ha affermato che avrebbe rispettato l’esito delle elezioni. Ma ha anche invitato i suoi sostenitori a vigilare sul processo democratico, contro possibili colpi di mano dell’ultimo minuto, anche per il timore che il ritardo nel conteggio dei voti all’estero non fosse casuale. Tuttavia, la tendenza a favore di Castillo era evidente.
Già dalle prime ore della mattina di mercoledì la sinistra peruviana poteva festeggiare: con lo spoglio praticamente concluso, Castillo aveva vinto con il 50,2% dei suffragi contro il 48,8% di Fujimori e con un distacco di circa 70,000 voti.[2]
Quella fra Castillo e Fujimori è stata una delle elezioni più polarizzate della storia recente del Perù: da una parte, infatti, un figlio di contadini analfabeti, maestro di scuola in una delle aree più arretrate e remote del Paese e sindacalista di ispirazione marxista, dall’altra un’imprenditrice e politica navigata, figlia del feroce dittatore Alberto Fujimori, decisa a seguire le orme paterne in un mix di conservatorismo sociale e liberismo economico.
In questo contesto, a farne le spese sono state le forze “moderate” peruviane, spazzate via al primo turno delle presidenziali che, in un panorama affollatissimo di candidati di ogni estrazione e provenienza politica, hanno sancito a sorpresa la vittoria di Castillo, fino ad allora personaggio marginale della politica peruviana.
In un contesto di gravissima crisi economica, sanitaria (il Perù è fra i primissimi Paesi al mondo per decessi da Covid-19 in rapporto alla popolazione) e politico-istituzionale (le elezioni sono state precedute da una lunga fase di instabilità politica, di ingovernabilità e di forti tensioni sociali) i messaggi semplici e chiari di Castillo hanno colto nel segno: maggiori investimenti in educazione, maggiore tutela ambientale e limitazioni allo strapotere delle multinazionali, nazionalizzazione delle risorse strategiche e non ultimo, la creazione di una Costituente che, sulla falsa riga del processo cileno, elimini la vecchia carta costituzionale di stampo autoritario, valuta proprio da Alberto Fujimori e redatta nel 1993. Per Castillo quella è la “Costituzione della dittatura”, perché “mette gli interessi privati al di sopra di quelli pubblici, il profitto prima della vita e della dignità”. Occorre invece “garantire il diritto alla salute e all’educazione, al cibo e alla casa”, senza dimenticare “il riconoscimento dei popoli originari e della nostra diversità culturale, dei diritti della natura e del buen vivir“[3].
Il suo messaggio ha avuto una vasta eco nelle regioni andine più povere e isolate, fra i campesinos, gli indigeni e i barrios più periferici di Lima, che lo hanno votato in massa, complice anche la sua credibilità nel presentarsi come uomo del popolo per il popolo, con il cappello da contadino andino sempre in testa e la matita, strumento dell’educazione delle masse, elevato a simbolo del suo partito. Tutto ciò ha acceso la grande voglia di riscatto e giustizia sociale che proviene dai settori più marginalizzati e deboli della società peruviana.
Dall’altra parte, come afferma giustamente il sociologo Daniel Jiménez[4], Fujimori non ha proposto un reale programma di trasformazione del Paese ma ha cercato di vincere demonizzando l’avversario e puntando sul fattore paura, descrivendo Castillo come un feroce comunista che vuole nazionalizzare e collettivizzare tutte le ricchezze private, portando alla rovina il Perù. La Fujimori si è dimostrata la candidata dello status quo, espressione della destra conservatrice e dei grandi interessi economico-finanziari del Paese. Ma la figlia dell’ex dittatore aveva dalla sua buona parte del sistema mediatico, sempre in prima linea nel rilanciare continuamente le sue invettive maccartiste contro l’avversario. Nemmeno i gravissimi scandali di corruzione che la coinvolgono e per i quali ha anche scontato 13 mesi di carcere hanno fermato la sua ennesima ascesa, in una Paese arrabbiato con i recenti fallimenti di quasi tutte le figure di spicco del centrodestra tradizionale. Così, dopo averla spuntata per un soffio al primo turno, ha ricompattato la destra presentandosi come unico baluardo alla “deriva comunista” del Paese. La sua offensiva elettorale ha sicuramente pagato ma non abbastanza da permettergli di sconfiggere chi ha saputo meglio interpretare la profonda frustrazione e rabbia del popolo peruviano.
Sarebbe però un errore pensare che la vittoria elettorale basti di per sé a risolvere la contesa con Keiko Fujimori, che dopo aver denunciato brogli potrebbe non accettare la sconfitta, facendo piombare il Paese in una situazione caotica difficilmente risolvibile. Fujimori ha dalla sua non solo l’elite economica del paese ma anche l’appoggio delle potenze occidentali, poco inclini ad accettare Castillo come Presidente. Se dovesse presentarsi questo scenario, Castillo e tutta la sinistra dovranno mobilitare il popolo in difesa del processo democratico.
La vittoria di Castillo può comunque rappresentare una svolta decisiva per il Perù, paese che nel recente passato si è quasi sempre orientato a destra e che ha rappresentato per anni un baluardo per gli interessi politici ed economici statunitensi in America Latina. Proprio nella capitale peruviana, l’8 agosto 2017 è nato il famigerato Gruppo di Lima, un’organizzazione di stati americani che hanno come obiettivo comune la destabilizzazione dei governi socialisti nella regione e la lotta al bolivarismo venezuelano.
Difficile capire come si muoverà il nuovo Presidente peruviano, critico del neoliberismo e convinto assertore dell’intervento statale in economia ma che ha dimostrato un certo pragmatismo e che non ama essere definito chavista. Occorrerà capire quante delle promesse elettorali sarà in grado o avrà la volontà politica di mantenere e come muteranno le relazioni diplomatiche sotto la sua presidenza. Altro nodo da sciogliere riguarda il rapporto con le altre forze di sinistra. Castillo, progressista nelle sue proposte economiche e sociali lo è decisamente di meno sul fronte dei diritti civili (omosessualità, aborto ecc.) dove non ha mancato di esprimere la sua visione conservatrice. Il patto elettorale con la coalizione di sinistra di Juntos por el Perú, guidata da Veronika Mendoza, più sensibile su queste tematiche, andava proprio nella direzione di realizzare un’agenda anche di ampliamento dei diritti civili. Si tratta di capire se Castillo riuscirà a tenere unita la sinistra per trasformare il Paese.
Per ora, comunque, le forze progressiste e socialiste possono festeggiare, nell’augurio che si realizzi lo slogan di Castillo: “mai più poveri in un paese ricco”.
Nel voto all’estero Fujimori ha preso il 66,5% dei voti contro il 33,5% di Castillo. In controtendenza solo alcuni Stati europei, fra cui, in parte, anche l’Italia dove Castillo è stato scelto dal 47,7% degli elettori. ↑
Per una più dettagliata panoramica sul risultato elettorale vedi https://www.resultadossep.eleccionesgenerales2021.pe/SEP2021/EleccionesPresidenciales/RePres/T ↑
https://www.resumenlatinoamericano.org/2021/05/17/peru-pedro-castillo-presenta-plan-de-gobierno-y-parte-de-su-equipo-tecnico/ ↑
https://www.telesurtv.net/bloggers/Peru-Pedro-Castillo-contra-viento-y-marea-20210604-0003.html ↑
Immagine da commons.wikimedia.org
“E ci spezziamo ancora le ossa per amore
un amore disperato per tutta questa farsa
insieme nel paese che sembra una scarpa”
Cit.