Cosa fare quando il mondo è in fiamme? Se sei ricco una soluzione può essere quella di godersi lo spettacolo distruttivo dall’alto. «Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere né confini» disse Jurij Gagarin. Oggi sono molti i miliardari pronti a spendere cifre da capogiro per godersi uno spettacolo simile. Siamo in presenza di una nuova e frenetica corsa allo spazio, molto diversa da quella che ha caratterizzato la Guerra Fredda. Si respira un clima di effervescenza e di ebbrezza dominato da “visionari” e “pionieri”, dove alla contrapposizione fra visioni del mondo si sostituisce la competizione di mercato fra compagnie private. Tutto è mosso da una molla non più esattamente ideologica: quella degli enormi margini di profitto che il settore di nicchia dei viaggi spaziali sembra promettere.
La nuova Space Economy punta a rendere accessibile lo spazio a comuni cittadini. I protagonisti sono grandi imprese private che si candidano a diventare le Uber dello spazio, utilizzando capsule commerciali per mandare turisti facoltosi oltre l’atmosfera. Non si tratta di una novità se si pensa che già dal 2001 uno dei guru del settore, Eric Anderson, con la sua Space Adventures, aveva cominciato a portare i primi miliardari in orbita. Ma se è vero che il lancio che all’inizio di questo millennio ha condotto l’imprenditore Dennis Tito alla Stazione Spaziale Internazionale ha segnato simbolicamente la nascita del turismo spaziale, certamente si era ancora lontani dal creare un business redditizio. E il nuovo faceva ancora fatica ad affermarsi.
A segnare un punto di svolta è stato il lancio lo scorso 30 maggio della navicella Crew Dragon, costruita dalla SpaceX di Elon Musk, con a bordo gli astronauti NASA Bob Behnken e Dug Hurley. Dopo 9 anni di dipendenza dal russo Soyuz gli Stati Uniti ritrovano la capacità di portare uomini in orbita e lo fanno grazie all’intervento privato, appoggiandosi sia al razzo che soprattutto alla navicella della SpaceX che si candida così a diventare la vera erede dello Shuttle. Gli obiettivi di Musk sono chiari: nella Crew Dragon non viaggeranno solo astronauti ma ben presto cittadini facoltosi, desiderosi di godersi un’esperienza turistica unica. Le sue ambizioni sembrano non avere limiti e promette di portare molto presto i primi turisti in orbita, non solo su quella terrestre ma anche su quella lunare. Già dal 2024, inoltre, si dovrebbe iniziare con gli allunaggi, senza però dimenticare il vero obiettivo: arrivare su Marte il prima possibile[1]. Il forse eccessivo ottimismo di Musk è comunque in parte giustificato dalle notevoli innovazioni che la SpaceX ha apportato nel settore, in particolare in relazione alla capacità di abbattimento dei costi (razzi riutilizzabili, processo produttivo verticale dove ogni componente è costruita “in casa”) ma anche dall’idea di confort e sobria eleganza che trasmettono gli interni delle navicelle, che appaiono adatte a ospitare turisti decisamente esigenti[2]. Tutto ciò concorre a rendere SpaceX la potenziale leader nel settore del turismo spaziale anche se, nell’ambito di un business che si preannuncia estremamente redditizio, la concorrenza è già spietata, vista anche la presenza di magnati come Richard Branson (Virgin Galactic) e Jezz Bezos (Blue Origin).
Considerati gli enormi investimenti messi in atto, pare dunque che una nuova era per i viaggi spaziali si stia aprendo. E l’immagine che la inaugura non poteva essere più evocativa: il lancio della navicella Crew Dragon tirata a lucido nella quiete spettrale di Cape Canaveral alla presenza di un compiaciuto Trump mentre tutto attorno gli Stati Uniti bruciavano per le rivolte scatenate dall’assassinio di George Floyd. Un’istantanea che sintetizza compiutamente il carattere perverso di questa rivoluzione nel mercato dei beni e dei servizi di lusso. Mentre i problemi economici, sociali ed ecologici della nostra epoca si accumulano e fanno profetizzare scenari distopici, il sogno megalomane di Musk e colleghi, che non sprecano occasione per affermare ipocritamente di avere una spiccata sensibilità ecologica, è volto a sfruttare i capricci dei superricchi e tradurlo in profitto a discapito di qualsiasi considerazione in merito all’utilità sociale e all’impatto ecologico. Nulla di nuovo, ovviamente: sono le banali dinamiche capitaliste di sempre ma che in questo frangente rendono trasparenti come non mai le disuguaglianze e le ingiustizie che affliggono il nostro pianeta.
I grandi imprenditori dello spazio si possono giustificare affermando che i grandi finanziamenti che iniettano nel settore aerospaziale porteranno a miglioramenti tecnologici che si ripercuoteranno sull’esplorazione e la ricerca spaziale. Ma se tutti quegli investimenti invece che essere utilizzati per costruire parchi giochi per miliardari, venissero orientati a progetti di ricerca sullo spazio di interesse pubblico, si produrrebbero effetti decisamente più positivi per tutta la collettività. Detta altrimenti, come recita il titolo di un recente articolo pubblicato su Jacobin, occorre dire “sì all’esplorazione spaziale, no al capitalismo spaziale”[3].
Ma cosa spinge i superricchi della terra a spendere miliardi, a sottoporsi a un duro e lungo addestramento preparatorio, ad accettare i rischi che viaggi del genere necessariamente comportano? Ci ricorda Michael Foucault come almeno dal XVI secolo in poi la nave abbia rappresentato una gigantesca riserva di sogni, alimentando la fantasia della scoperta, la promessa di esplorare nuove terre, la libertà di attraversare l’immensità del mare. Più modernamente, almeno da Gagarin in poi, questo ruolo lo ha assunto la navicella spaziale e non è un caso che il sogno di intere generazioni di bambini sia quello di diventare astronauta. Per l’antropologo Marc Augé il turismo spaziale rappresenta il simbolo della nascita della società globale, che corrisponde al momento in cui il pianeta Terra può essere visto nella sua interezza, può essere pensato come unità[4]. Per i miliardari cosmopoliti, già abituati o comunque messi nelle condizioni di poter viaggiare in pochissime ore in ogni parte del globo, la riserva di immaginazione prodotta dai luoghi esotici terrestri si sta rapidamente prosciugando e la fascinazione più genuina non sta più nel percorrere la Terra in lungo e in largo, cosa diventata ormai monotona, ma poterla vedere dall’alto, nella sua interezza.
Sia rispetto ai bambini che sognano di diventare astronauti, sia rispetto ai superricchi del pianeta, lo spazio cosmico rappresenta così un’eterotopia, intesa come utopia localizzata, uno spazio altro e radicalmente diverso da quelli della propria esperienza quotidiana nel quale proiettare i propri sogni. Formidabile riserva dell’immaginazione, l’eterotopia è però sempre soggetta a essere colonizzata o costruita da logiche di potere e di profitto. Così come in una società senza più navi, ci avvisa Foucault, i sogni si inaridiscono, “lo spionaggio si sostituisce all’avventura, e lo squallore della polizia prende il posto dell’assolata bellezza dei corsari”[5], allo stesso modo anche lo spazio cosmico, finora residuale luogo dell’immaginazione e del diverso, serbatoio inesauribile e incontaminato di fantasie, rischia di diventare il non luogo di un’attrazione turistica dove l’incanto è artificiale e dove tutto diviene un supermercato delle esperienze indotte. Lo spazio cosmico finisce così per subire lo stesso processo di mercificazione che hanno subito i luoghi esotici del nostro pianeta, trasformati in resort omogenei e standardizzati che appagano in maniera fittizia e stereotipata il desiderio di autenticità e di scoperta del diverso mantenendo sempre le distanze di sicurezza dai pericoli della natura selvaggia e dalle popolazioni locali e dai loro usi e costumi. Guidata dagli interessi capitalistici dei grandi magnati della Space Economy, l’eterotopia dell’esplorazione spaziale, spinta dal desiderio di sperimentare il nuovo e il diverso, si spegne così in una banale eterotopia turistica, dove tutto è ricondotto alla logica omologante e alienante di una edonista e insignificante crociera. Ma per salvare dalle logiche capitalistiche lo spazio, dovremmo prima sradicarle dal nostro pianeta.
Immagine da www.wikipedia.org
[1] https://www.focus.it/scienza/spazio/elon-musk-la-luna-marte-e-oltre
[2] https://formiche.net/2020/06/new-space-economy-battiston-crew-dragon/
[3] https://jacobinmag.com/2020/06/spacex-elon-musk-jeff-bezos-capitalism
[4] Per un approfondimento: https://www.ilbecco.it/auge-i-nonluoghi-e-la-preistoria-della-societa-planetaria/
[5] M. Foucault, Utopie Eterotopie (Cronopio, 2006), p. 28
Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all’arte in tutte le sue forme.