La scoperta casuale da parte della Procura di Perugia, nel corso di altra indagine, di un esame-farsa di lingua italiana per il calciatore Suarez ha inevitabilmente riaperto il fronte della legge sulla cittadinanza. La necessità da parte della Juventus di dotare l’atleta di un passaporto comunitario in vista di un possibile acquisto ha generosamente allargato le maglie degli esaminatori. Le questioni riguardano non soltanto l’iniquità della legge di cittadinanza in sé, ma anche la disparità di trattamento per esaminandi ricchi e la trasformazione di molto sport in un settore di riproduzione del capitale.
Piergiorgio Desantis
La questione relativa all’acquisizione del passaporto comunitario del giocatore Luis Suarez, che era in procinto di passare alla Juventus, è stato un vero e proprio buco per guardare all’interno non solo del mondo calcio ma anche delle modalità (distorte) per ottenere la cittadinanza e/o status assimilabili. Emerge, quindi, una situazione davvero preoccupante e facilmente inquadrabile: il calcio è molto (troppo!) legato al profitto e ai soldi derivanti da incassi e/o vendite di diritti e altro. In poche parole c’è molto (troppo!) business. Anche l’esame farsa, oggetto di indagini dei magistrati, fa allungare un bel po’ di ombre sull’università per stranieri di Perugia e, più in generale, sulle istituzioni universitarie italiane. «Stipendio da 10 milioni, deve passare» è solo una delle intercettazioni che sono emerse e dalle quali emerge, ancora una volta, solo il business. A ciò si aggancia che la questione legata al conseguimento della cittadinanza italiana è davvero una normativa inadeguata e retrograda per i moltissimi figli e figlie di migranti che sono nati e hanno vissuto in Italia. Perfino il buonsenso suggerisce che si tratti di italiani e italiane che saranno presente e futuro di questa nazione. Lo ius soli è questione sì non facile, soprattutto di questi tempi, ma che andrebbe affrontata alla svelta.
Dmitrij Palagi
Nel dibattito pubblico il tema sembra essere egemonizzato dall’idea che esisterà sempre, specialmente in Italia, un sistema di raccomandazioni e corsie capaci di aggirare il sistema di regole. Non viene messo in discussione come funziona il rapporto tra la civile Italia e il resto del mondo che agogna di far parte del nostro Paese… (Ovviamente il tono è ironico).Le persone vivono, in larga maggioranza, sulla difensiva. In attesa di scandali con cui giustificare le proprie difficoltà, additando l’ineluttabile destino cinico e ingiusto.
Il calcio non è il problema. Lo è un sistema che si definisce democratico e costantemente si palesa come in balia delle regole del profitto privato di poche persone.Dove ci sono i soldi si esprimono anche rapporti di forza.
Così è.
Non è un problema di corruzione o singoli casi. È il mondo in cui viviamo e, in fondo, si è rassegnati che non possa essere altrimenti. Anche in un singolo episodio di cronaca pseudo-sportiva come quello che stiamo commentando.
Polarizzazione in forma di tifoseria. Se non può esprimersi qui, essendosi ormai affermato, dove?La cosa migliore sarebbe relativizzare le singole questioni e insistere su analisi o proposte di maggiore approfondimento.
Jacopo Vannucchi
I dieci anni di residenza formalmente richiesti per la cittadinanza diventano spesso venti nella pratica reale: un’intera generazione vissuta da estranei nello Stato che le necessità hanno condotto ad eleggere a patria. D’altro canto è eloquente l’affermazione della tutor intercettata dagli inquirenti: «con 10 milioni a stagione di stipendio non glieli puoi far saltare perché non ha il B1». Per la grande maggioranza dei residenti stranieri, invece, uno stipendio con tre zeri in meno può evidentemente saltare, nonostante il maggiore impegno che si aggiunge a una già maggiore fatica nella vita quotidiana.Sarebbe facile scaricare la responsabilità di questo scandalo sulle persone che vi sono direttamente coinvolte. In realtà il potere coercitivo del denaro è ben evidente in un’altra preoccupazione emersa dalle intercettazioni, espressa da un professore in forma forse iperbolica ma non menzognera: «se lo bocciate ci fanno gli attentati terroristici».Sarebbe altrettanto facile dire che la responsabilità potrebbe essere degli esponenti della società juventina che abbiano eventualmente – ad oggi non risulta alcun indagato – esercitato pressioni sull’Università per Stranieri di Perugia. In realtà quei dirigenti non avrebbero agito certo per disonestà personale, bensì per seguire le “regole” (sic!) della competizione di mercato di cui fanno parte: in qualsiasi settore dell’economia capitalista ci sono esseri umani che prendono decisioni deleterie non perché malvagi, ma perché se non lo facessero produrrebbero un danno al profitto e verrebbero avvicendati da altri più adatti allo scopo.In realtà la questione fa capo a due problemi. Il primo è la concezione che si ha dello sport, che letteralmente vuol dire diporto, ossia svago, ozio, e invece oggi è diventato sempre più negozio, affare. E anzi della Juventus si può dire che, piaccia o meno, sia l’unico club italiano che abbia compreso il livello di competizione del settore economico del calcio e che cerchi di restare nel gruppo di testa. Il secondo è naturalmente la concezione che si ha della società in generale. Non credo che il caso Suarez farà molto scandalo in Italia. Ma se qualcuno avesse cercato di truccare un esame per far acquisire la cittadinanza a un rifugiato, si può star sicuri che le destre vi si sarebbero gettate sopra come pescicani, tirandosi dietro un discreto seguito di popolino. Molti italiani ammirano da lungo tempo le trufferie e i raggiri, ma soltanto in se stessi e in chi sta sopra di loro.
Alessandro Zabban
Come insegnante di italiano per stranieri e somministratore di esami di lingua italiana, lo sdegno per quanto emerge dalle intercettazioni sull’esame truffa del calciatore Luis Suarez non può che essere massimo. Da una parte ci sono quelli che fra mille difficoltà sono impegnati a studiare duramente per prepararsi ad esami impegnativi come l’A2 per il permesso di soggiorno o il B1 per la cittadinanza, il cui esito può in alcuni casi decidere il futuro in Italia di molti di loro, creando anche delle situazioni potenzialmente molto tragiche. Dall’altra c’è chi in Italia ci vive da sempre o quasi, parla perfettamente italiano che usa in alternanza con il dialetto regionale in maniera appropriata a seconda del contesto, ma che non ha diritto alla cittadinanza. Qualche anno fa, in un laboratorio linguistico nelle scuole secondarie mi è stato chiesto di fare un potenziamento di italiano a due ragazzine nate da genitori cinesi che padroneggiavano la lingua come i loro coetanei italiani e che, al contrario di molti di loro, nel tempo libero si dilettavano nella lettura di Pirandello e Verga. Ma lo stigma di essere straniere non glielo toglieva nessuno. Per chi come me ha passato una parte della sua vita lavorativa a contatto con persone di entrambe le categorie l’amarezza prende così il sopravvento sulla lucida analisi politica. Resta però lo stato allarmante delle nostre democrazie, una volta esaurita la spinta propulsiva della sinistra Novecentesca. Una democrazia che si richiude sempre più a riccio sui vecchi valori liberali legati al censo, che offuscano la parità formale di tutti a vantaggio del potere dei pochi che detengono la ricchezza.
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Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.