Il passaggio al vertice della Casa Bianca, con l’elezione di Joe Biden rappresenta in ogni caso un cambiamento al vertice della prima potenza mondiale. Tuttavia, quali potranno essere i cambiamenti in politica estera e in politica economica negli Usa ancora non sono del tutto chiari. Il Dieci mani di questa settimana analizza le recentissime elezioni americane e gli scenari futuri.
Leonardo Croatto
Le elezioni negli Stati Uniti sono la rappresentazione plastica del fallimento delle democrazie borghesi.
Il sistema economico ha consentito ad una parte di società statunitense di accumulare una quantità di potere tale da consentirgli l’occupazione massiva di cariche pubbliche e di governo attraverso le quali conservare i propri privilegi di classe, mentre alla parte più economicamente fragile del paese è strumentalmente negata – tra le altre cose – l’istruzione necessaria per rendersi soggetto attivamente partecipante della vita politica.
In un contesto del genere le elezioni, simulacro vuoto e puramente formale di democrazia, sono un teatro in cui si muovono candidati artificiali, costruiti a tavolino da sceneggiatori esperti, che recitano, in un momento limitatissimo del ciclo politico, un conflitto di idee – superficiale quando non completamente fasullo – che si risolve ogni volta con un vincitore espressione della stessa classe sociale.
Un conflitto scenarizzato, che serve ad offrire alla grande massa degli elettori un racconto di cui sentirsi parte almeno per qualche giorno, per poi venir dimenticati appena smontato il palcoscenico.
In assenza di qualsiasi corpo intermedio di senso, nel vuoto di cultura e di informazione in cui sono costretti i meno abbienti, è difficile capire esattamente che legame ci sia tra i bisogni reali degli elettori e il risultato del voto: quando a un cittadino è impedita la maturazione politica, attraverso la privazione dell’educazione, dell’informazione e dell’accesso a luoghi di partecipazione, il voto non è mai espressione di una consapevole e informata valutazione di interessi individuali e collettivi ma è reazione istintiva a stimolazioni artificiali, non mediate da alcun ragionamento razionale.
Il momento elettorale negli USA è un evento di marketing durante il quale due grandi macchine di promozione commerciale competono per convincere potenziali clienti ad acquistare un prodotto (che ad alcuni potrà risultare anche tossico); la divisione in due parti numericamente identiche dell’elettorato statunitense è solo misura dell’esistenza di due macchine per la costruzione e la cattura del consenso di uguale efficienza, non certo di gruppi sociali omogenei che si identificano mediante i loro bisogni comuni e si attivano per strutturare collettivamente le proprie rivendicazioni in una dimensione emancipativa.
Se l’allontanamento di Trump può essere considerato senza dubbio un evento oggettivamente positivo, è difficile immaginare che la coppia Biden e Harris sarà capace di esprimere, per i cittadini degli Stati Uniti e per il resto del mondo, degli elementi di discontinuità in senso positivo rispetto al passato.
Piergiorgio Desantis
Joe Biden, nuovo presidente degli USA viene salutato con un certo sollievo dagli ambienti europei subito dopo la sua elezione. Tuttavia, restano piuttosto fumosi programma e scenari che saranno al centro dell’agenda del nuovo presidente USA. È ancora da vedere quanto sarà l’allontamento dalla politica dell’America First di trumpiana memoria (menomale). Potrebbe essere possibile un riavvicinamento all’Iran e, più in generale, una maggiore apertura a un dialogo multilaterale senza però voler abbandonare la consueta posizione nordamericana di predominanza tenuta dal secondo dopoguerra in poi. Saranno molto interessanti da osservare e analizzare i rapporti diplomatici e economici che la nuova amministrazione americana vorrà tenere con il governo di Pechino. I dazi alle merci cinesi saranno mantenute o allentate? Di tutto ciò ancora non sono chiari i contorni, anche se appare quasi ovvio che gli USA continueranno a tentare di riportare intere filiere di produzione (soprattutto hi-tech) in madrepatria. Saranno in ogni caso tempi di rilevanti cambiamenti.
Dmitrij Palagi
Le elezioni statunitensi regalano una serie di suoni fastidiosi e irritanti.
Bentornata America titola una grafica del Partito Democratico, legata (forse) alla sua area meno moderata (?). Un’approssimazione imbarazzante che viene contestata da sinistra, principalmente sulle reti sociali, per la sovrapposizione di due continenti con un un unico paese. Mentre “da destra”, anche in ambienti del Movimento 5 Stelle, si precisa come l’Italia sia amica degli Stati Uniti a prescindere da chi ci governa. Popoli amici, uniti più dalla lotta al blocco sovietico che dalla seconda guerra mondiale. Mentre la richiesta di un mondo multipolare che metta in discussione la NATO resta in qualche pagina di D’Alema e nei volantini di quello che è ormai fuori dal Parlamento da oltre un decennio. L’amicizia è un’arma politica che indebolisce la diplomazia, ma ancora la si utilizza abitualmente.C’è chi vuole evidenziare che sarebbe solo colpa del sistema elettorale, perché il popolo starebbe con i democratici, mentre Trump sarebbe uno scorretto truffatore. C’è chi ringrazia il Libertarian Party per aver diviso la destra (leggi qui). Chi deve sempre ricordare che “il popolo è importante” (?) e in conseguenza si divertono a evidenziare quanti voti abbiano comunque preso i repubblicani, perché il politicamente corretto dei liberali è l’ossessione contro cui scagliarsi quotidianamente.Le destre si sono appropriate della retorica della pace, rivendicando al presunta assenza di guerre e violenze internazionali da parte degli Stati Uniti, sorvolando sulle scelte fatte in Medio Oriente da parte di un personaggio che davvero è fuori dal campo di quello che era noto prima di lui (e di alcuni parametri di decenza che ormai non sono più indiscutibili).A sinistra si arriva persino a definire Bush jr. un candidato decente. Non che ci sia da stupirsi. Chi ha vissuto sulle spalle dell’antiberlusconismo per due decenni, svuotando e smantellando ogni speranza di vedere una sinistra in Italia, per mera pigrizia e comodità probabilmente, è stata pronta a governare insieme al suo nemico assoluto, per poi rimpiangere il “cavaliere di Arcore” di fronte alla coppia Meloni-Salvini.
Fastidio quindi. Perché le elezioni degli Stati Uniti riempiono un vuoto totale che la voce di Trump aveva evidentemente almeno in parte occupato. Il tempo speso in lunghe polemiche sugli Stati Uniti sembra un’ottima scusa per rimuovere le tante necessarie risposte di chi in tutto il mondo si trova ad affrontare l’emergenza pandemica.Chiunque si dichiari democratico, progressista e antifascista si riconosce in questo risultato? Si spera di no. Perché non è obbligatorio riconoscersi in tutto e il sistema statunitense si è configurato come un preciso modello a tutela degli interessi economici di un Paese meno interessato al mondo di quanto il mondo si interessi a lui.
Piuttosto è facile immaginare un diffuso sospiro di sollievo, che sarà però probabilmente di breve durata. Perché la nuova presidenza alla Casa Bianca si prepara a voler tentare di tenere insieme dal centro moderato dei Repubblicani alla sinistra socialista. Da Mastella a Turigliatto, per chi ancora ricorda il periodo del secondo Governo Prodi.
Chi invece sperava in una vittoria di Trump da sinistra o definendosi comunista ha davvero dei conti da fare con la propria storia, magari evitando di farlo sulle spalle di quelle comunità che negli Stati Uniti hanno saputo garantire la vittoria di Biden, dopo aver subito sui loro corpi la torsione conservatrice e reazionaria dello sconfitto da queste elezioni.
Jacopo Vannucchi
Nate Silver, del gruppo di FiveThirtyEight, aveva fornito una descrizione empirica del fatto che il loro modello statistico assegnava a Trump circa 1 probabilità su 8 di vincere le elezioni: i sondaggi sono o giusti (50%) o sbagliati (50%); se sono sbagliati, sottostimano o Biden (25%) o Trump (25%); se sottostimano Trump, le sue probabilità di vittoria sono circa la metà (12,5%).Scientificamente è una spiegazione semplicistica, ma aiuta a capire la dinamica di incertezza che ha connotato i giorni a cavallo del 3 novembre, con i democratici in crescente ansia di trovarsi di fronte a 2016 Atto Secondo, soprattutto dopo che la Selzer, considerata il gold standard per i sondaggi in Iowa, aveva dato Trump a +7 in quello stato, generalmente ritenuto invece un testa a testa (poi si è visto che aveva ragione la Selzer).I sondaggi in effetti hanno avuto un margine d’errore maggiore che nel 2016, sia a livello nazionale sia negli stati che già nel 2016 avevano mostrato problemi sul fronte demoscopico, ossia i cosiddetti “Obama-Trump” nel nord: Pennsylvania, Ohio, Michigan, Wisconsin, Iowa. Il fatto che l’errore si sia ripetuto in grande, a dispetto degli accorgimenti appositamente pensati per risolverlo, si unisce alla mancata rilevazione delle dimensioni del consenso a Trump in alcune comunità ispaniche (cubani in Florida, messicani in Texas).Sondaggi a parte, Biden ha compiuto il suo dovere, diventando il primo democratico dal 1932 a battere con almeno il 50% dei voti un Presidente eletto e ricandidato.Certamente, nelle contee operaie (Macomb in Michigan, Erie in Pennsylvania) non è stato ricostruito il margine di vittoria di Obama; in quelle più impoverite (Elliott in Kentucky) il divario pare al contrario essersi ulteriormente aggravato; e nei sobborghi benestanti non solo il consenso non è stato espanso (Indianapolis, Saint Louis), ma si è anzi contratto (New York City, Charleston, Oklahoma City). Biden sarà inoltre il primo Presidente dopo Bush padre nel 1988 ad insediarsi per il primo mandato senza contare sulla maggioranza nei due rami del Congresso (a meno che a gennaio i democratici non vincano entrambi i ballottaggi in Georgia portandosi quindi 50 a 50 in Senato con la Harris che fornisce il 51° voto).Ma l’arcinota tendenza di Biden al compromesso con i repubblicani potrà probabilmente aiutarlo, e in caso di piena ripresa economica e di ripresa del controllo sulla Covid-19 non si può escludere che le elezioni di metà mandato del 2022 potranno essere insolitamente positive per il partito di governo. Inoltre, se si restringe la via tradizionale del Midwest operaio, sembra schiudersi una seconda via nelle zone meridionali, dove Biden diventa il primo democratico non meridionale a vincere uno stato del Profondo Sud (la Georgia) dopo la fine della segregazione razziale e il secondo democratico dopo Harry Truman a vincere in Arizona.La coperta è corta e gli Stati Uniti restano un Paese di centrodestra, ma i democratici si sono comunque aggiudicati la maggioranza del voto popolare per la settima volta nelle ultime otto presidenziali.
Alessandro Zabban
Biden aveva un compito ben preciso: sconfiggere Trump con un ampio margine in modo che quest’ultimo non avesse il pretesto per denunciare brogli elettorali. Invece la performance non esaltante del partito democratico e una discreta tenuta dei repubblicani ha portato alla vittoria di Biden solo attraverso il conteggio dei voti postali, che Trump ha sempre furbescamente criticato e che ora denuncia come non validi. Sapevamo che le elezioni avrebbero potuto portare a una situazione di forte instabilità politica e una vittoria democratica risicata dopo vari giorni di spoglio non aiutano a rasserenare gli animi di una nazione divisa.
Trump ha ancora moltissimi supporter e molti di questi sono armati fino a denti. Non sappiamo fin dove si spingerà nel suo tentativo di rimanere alla Casa Bianca ma anche ipotizzando una consegna dei poteri pacifica e senza intoppi, per Biden si aspettano tempi difficili.
Innanzitutto, una base del partito repubblicano profondamente radicalizzata, che vede nel ticket presidenziale democratico l’incarnazione del comunismo, pronta a credere a qualsiasi teoria cospirazionista, non arretrerà facilmente di fronte a qualsiasi scelta politica che si ponga in contraddizione rispetto alla propria visione di libertà personale. Mentre il Covid-19 si diffonde nuovamente in maniera preoccupante su quasi tutto il territorio statunitense, Biden è chiamato a scelte impopolari che potrebbero portare a scenari di instabilità politica inediti. Oltre a guardare a destra, per tranquillizzare i repubblicani, il neopresidente dovrà anche evitare di scontentare la sinistra del suo partito e le piazze che hanno partorito movimenti politici tutt’altro che secondari come il Black Lives Matter.
L’ampia condivisione di valori e visioni del mondo che ha unito democratici e repubblicani sembra essere saltata. La forte partecipazione elettorale è il segno che gli statunitensi hanno vissuto la sfida elettorale con inedita passione e preoccupazione, come evento importante per le loro vite e il loro futuro. Il centrista Biden sarà impegnato in un’operazione non semplice di ricreare consenso nei confronti del capitalismo globalista e di disarmare così la critica che, secondo modalità e concezioni totalmente divergenti, viene sia da sinistra che da destra.
Immagine da www.pavementpieces.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.