Menu
  • Home
  • Politica
  • Cultura
  • Iniziative
  • Chi siamo
Close Menu
Hypacrosaurus
20 Marzo 2020

Il 2020 dei dinosauri – 2. Hypacrosaurus, il dinosauro conservato troppo bene (ma non abbastanza)

Joachim Langeneck scienze

Lo studio degli organismi estinti, anche di animali relativamente ben conosciuti come i dinosauri, è limitata dalla frammentarietà – e dalle condizioni di conservazione dei loro resti. Conosciamo la maggior parte degli animali estinti solo per i loro scheletri – il che significa che conosciamo una parte molto limitata degli organismi che uno scheletro non ce l’avevano – e contiamo su pochissimi fossili per quanto riguarda tutto ciò che non è calcificato. Il primo dinosauro fossile scoperto in Italia, Scipionyx samniticus, era particolarmente interessante non tanto per il dubbio primato, quanto per la presenza di residui degli organi interni; un po’ più frequenti sono impressioni di pelle e strutture epidermiche – che ci hanno permesso di scoprire che le piume erano abbastanza diffuse nei dinosauri – e in alcuni casi abbiamo delle impressioni che quanto meno ci permettono di avere un’idea dell’aspetto complessivo dell’animale, ed evitare rappresentazioni caricaturali.
A livello molecolare la situazione è persino peggiore: anche se, attraverso l’utilizzo di sequenze di DNA antico (o aDNA), è stato possibile ricostruire i rapporti di parentela di diversi mammiferi estinti con le specie attuali, è virtualmente impossibile ottenere DNA leggibile più vecchio di poche centinaia di migliaia di anni, il che lascia fuori la massima parte delle specie estinte, dinosauri compresi.

Eppure negli ultimi dieci anni è iniziata a fiorire una disciplina che a prima vista sembrerebbe avere la stessa credibilità dell’urbanistica unna o dell’ippica azteca teorizzate da Belbo e colleghi nel Pendolo di Foucault: la paleontologia molecolare.
Per come tutti abbiamo studiato i processi di fossilizzazione, con buona pace di Michael Crichton, sappiamo che l’organismo originale, quando andiamo a recuperare e studiare il fossile, non è più lì: anche le sue strutture calcificate (ossa, denti, gusci) sono state gradualmente sostituite da sedimento, e il fossile in sé non è altro che un calco, peraltro parziale, di ciò che era l’organismo. Ci verrebbe da pensare che se andiamo a studiare un fossile, la sua struttura molecolare non può differire troppo da quella della roccia che lo ingloba, e l’idea di utilizzare tecniche molecolari a supporto della descrizione morfologica sembra risibile.
Eppure non è del tutto così. Per quanto, sì, il grosso del fossile a livello molecolare non si distingua dalla roccia che lo contiene, con un certo stupore abbiamo scoperto che in effetti alcune molecole organiche sono in grado di conservarsi per un tempo sorprendentemente lungo.

Un caso paradigmatico è quello dell’enigmatica Dickinsonia. Dickinsonia appartiene alla fauna di Ediacara, vissuta circa 700 milioni di anni fa – circa cento milioni prima che comparissero, almeno nella documentazione fossile, degli organismi sicuramente riconducibili ai phyla animali odierni. Nel mezzo, niente. Gli studiosi si sono chiesti per letterali decenni quale fosse la parentela tra questi organismi simili a materassini gonfiabili segmentati e gli animali come li conosciamo oggi, con alcuni, legati ad una visione forse un po’ troppo ordinata della vita sulla terra, che tendevano ad interpretarli come antenati di spugne, coralli e meduse, ed altri, fan di un’evoluzione creativa e caotica, che ipotizzavano si fosse trattato di un tentativo di sviluppare una pluricellularità finito in un vicolo cieco, indipendente da quello che ha condotto agli animali odierni.
Il mistero di Dickinsonia è stato risolto solo di recente, quando Bobrovskyi e colleghi hanno caratterizzato le molecole organiche associate ad un fossile di Dickinsonia. Ora, dopo 700 milioni di anni non ci possiamo aspettare rimanga molto: proteine, acidi nucleici, le catene di carbonio più grandi sono degradate in maniera irreversibile. Pure, qualcosa era rimasto: delle molecole di un colesteroide.
I colesteroidi, nonostante la complessiva demonizzazione di cui sono oggetto, nascono come molecole di fondamentale importanza: si tratta di lipidi piuttosto piccoli, che si intercalano ai più lunghi lipidi di membrana nella membrana cellulare, evitando che si avvicinino troppo e che a basse temperature finiscano per “congelarsi”, rendendo impossibile il funzionamento della membrana, e quindi la vita della cellula. E i colesteroidi hanno un’altra particolarità: esistono solo negli animali – in altri gruppi di organismi la stessa funzione è svolta da altre molecole. Per questo, la presenza di un residuo di colesteroidi associato a fossili di Dickinsonia prova in maniera definitiva che questi organismi, per strani che siano, si collocano nella linea evolutiva che ha condotto agli animali odierni.

Come accennato, altre molecole reggono molto meno bene al passare del tempo, e vengono degradate in tempi piuttosto brevi. Per questo, ha destato un certo scalpore – e un certo scetticismo – uno studio recentemente pubblicato da Bailleul e colleghi, che hanno esaminato delle sezioni istologiche del cranio di giovani Hypacrosaurus (un comune dinosauro a becco d’anatra) utilizzando tecniche volte ad evidenziare la presenza di alcune molecole organiche relativamente resistenti associate a tessuto osseo e cartilagine.
Il fatto che in definitiva un osso fossile non sia completamente rimpiazzato da materiale inorganico non ci sorprende più particolarmente, e quindi il fatto che la cartilagine del cranio di Hypacrosaurus reagisca a coloranti specifici per la cartilagine, anche se in maniera più tenue che quella di un emù odierno, non ci stupisce più di tanto, e corrisponde a quanto rilevato in altri fossili. Una simile reazione si è ottenuta per quanto riguarda sonde che evidenziano la presenza di collagene, una comune proteina strutturale particolarmente importante nella cartilagine; il collagene è decisamente resistente, e non ci sorprende troppo trovarlo in fossili del tardo Cretaceo – anche se in effetti si tratta di un tempo più che rimarchevole. Ma nei loro esperimenti, Bailleul e colleghi si sono resi conto di qualcosa di ancora più curioso, e decisamente più inaspettato: delle cellule – per la precisione, dei condrociti, le cellule che vanno a formare la cartilagine.
I condrociti di Hypacrosaurus non sono particolarmente differenti da quelli di un emù, né da quelli di qualsiasi altro vertebrato – e non si vede perché dovrebbero. Non è questa la loro particolarità. La particolarità è che, al loro interno, delle sonde specifiche hanno messo in evidenza la presenza di materiale genetico condensato. Sì, esattamente, lo ridico perché nemmeno io ci sto credendo – e con me moltissima gente: le cellule fossilizzate di un dinosauro vissuto settanta milioni di anni fa contengono dei residui di DNA. La cosa sembra assurda, ma gli autori, in maniera piuttosto convincente, sottolineano che un’eventuale contaminazione microbica è da escludere, dato che avrebbe condotto ad un segnale diffuso, e non ad ammassi di DNA concentrati all’interno delle cellule, nella posizione in cui doveva essere presente il nucleo.

Ora, prima di pensare a scenari in stile Jurassic Park, facciamo un respiro profondo e consideriamo cosa Bailleul e colleghi hanno realmente osservato: una flebile fluorescenza proveniente da materiale che contiene delle sequenze di DNA lunghe almeno sei paia di basi. Sei paia di basi sono pochissimo: qualsiasi ricostruzione filogenetica basata su aDNA non può utilizzare sequenze più brevi di 30-40 paia di basi, che già sono pochissimo informative, e possono condurre ad errori grossolani a seconda di come valutiamo – o sopravvalutiamo – le differenze fra di loro. Cercare di dire qualcosa sulla genetica di un organismo partendo da una sequenza di sei paia di basi equivale a cercare di ricostruire la trama dei fratelli Karamazov partendo dall’articolo “i”. Non sappiamo realmente quanto siano lunghe le sequenze di DNA trovate da Bailleul e collaboratori, ma considerato il tasso di degradazione estremamente rapido che hanno gli acidi nucleici, non possiamo farci troppe illusioni al riguardo.
Sappiamo, per contro, che il DNA nei fossili di Hypacrosaurus è sopravvissuto in condizioni particolarmente buone perché era dentro i condrociti (che a loro volta sono immersi in una matrice estremamente compatta, entro la quale acqua e microrganismi fanno molta fatica a penetrare) e verosimilmente perché, per un fortunato caso legato alle condizioni in cui questi dinosauri si sono fossilizzati, si è complessato con proteine che ne hanno aumentato la stabilità. Il DNA quindi è presente, ma è molto corto, presumibilmente troppo per essere leggibile, e verosimilmente anche irraggiungibile, essendo inserito saldamente in una matrice molto compatta – e a questo punto quasi completamente mineralizzata – in associazione con residui proteici. Le fortunate cause che hanno permesso a questo materiale genetico di arrivare fino a noi sono anche quelle che ci impediranno di leggerlo.

Dunque la storia del DNA nelle cellule di Hypacrosaurus finisce qua? Beh, no. Il DNA è illeggibile, ma dove è presente del DNA, anche malridotto, anche in condizioni penose, ma identificabile come tale, verosimilmente ci saranno delle proteine, che sono molto più resistenti alla degradazione. Certamente, anch’esse saranno rovinate, ma meno del DNA, e noi abbiamo la possibilità di leggere anche loro. In particolare, sappiamo che il collagene è presente, e questa proteina è già stata utilizzata con un certo successo per studi filogenetici dove l’aDNA non era più recuperabile.
Ora, non possiamo farci troppe speranze sulla leggibilità del collagene – o di altre proteine – nei fossili di dinosauro: verosimilmente, il materiale che ancora conserva proteine abbastanza ben conservate da contenere un minimo di informazione filogenetica è molto scarso. Ma la presenza di DNA identificabile come tale può suggerirci quale materiale sia più promettente, e il progredire delle tecniche molecolari potrebbe a breve rendere possibile lo sviluppo di studi filogenetici su materiale fossile.
Con buona pace di John Hammond e del suo creatore, non riusciremo mai a clonare un dinosauro – ma forse riusciremo ad avere un’idea più chiara, e suffragata da più tipi di evidenza, delle sue relazioni di parentela con altri organismi.


Immagine di Debivort (dettaglio) da Wikimedia Commons

Print Friendly, PDF & Email
Joachim Langeneck

Joachim Langeneck, assegnista di ricerca in biologia presso l’Università di Pisa, nasce a Torino il 29/11/1989. La sua ricerca si concentra principalmente sullo studio di processi evolutivi negli invertebrati marini, con sporadiche incursioni nell’ambito dell’etica della scienza, in particolare a livello divulgativo.

archivio.ilbecco.it/autori/itemlist/user/15672-joachim-langeneck.html
  • Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
  • Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
  • Fai clic per condividere su Telegram (Si apre in una nuova finestra)

Correlati

Related Posts

Amblyosyllis_spectabilis_Antignano_Langeneck

scienze

La vita segreta delle alghe rosse (e di chi ci vive sopra)

L’inattesa scoperta di una cascata di facilitazione poco lontano dal porto di Livorno è un’occasione per esplorare la complessità delle interazioni tra i viventi, ma anche per riflettere su dove indirizziamo i nostri interessi e la nostra sensibilità per gli ambienti naturali.

Print Friendly, PDF & Email
  • Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
  • Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
  • Fai clic per condividere su Telegram (Si apre in una nuova finestra)
white-speech-bubbles

Società

Studi umanistici, analfabetismo funzionale e possibilità di fiorire

[Dall’archivio]
La classifica dei campi del sapere e il dibattito sulla loro produttività per il mondo del lavoro non vanno spesso oltre un mortificante confronto di numeri, mentre la perdita di vista del loro significato per la società, a partire dal ruolo della scuola, è un pericolo concreto.

Print Friendly, PDF & Email
  • Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
  • Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
  • Fai clic per condividere su Telegram (Si apre in una nuova finestra)
La_Bête_de_la_Mer

Società

Sarcofagi sigillati, squali che camminano: il sensazionalismo non fa ridere, fa danni

La narrazione caricaturale o allarmista di scoperte scientifiche rinforza l’idea che la ricerca si occupi di argomenti noiosi e/o inutili, oltre ad alimentare un sentimento apocalittico contrario all’impegno per migliorare le cose.

Print Friendly, PDF & Email
  • Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
  • Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
  • Fai clic per condividere su Telegram (Si apre in una nuova finestra)
Back To Top

Licenza Creative Commons
Eccetto dove diversamente specificato, i contenuti di questo sito sono rilasciati con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 3.0 Italia.

IL GIORNALE
L'ASSOCIAZIONE
LA RIVISTA
AUTORI
CONTATTI
SOSTIENICI
ARCHIVIO
PRIVACY
Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti. Accept Read More
Privacy & Cookies Policy

Privacy Overview

This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessario
Sempre attivato

Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.

Non necessario

Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.