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19 Agosto 2020

Il pensiero di Althusser 5/6 – Apparati Ideologici di Stato

Alessandro Zabban Umanistica e sociale

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Pubblicato per la prima volta il 22 dicembre 2015

Nel suo saggio più celebre, Ideologia e Apparati Ideologici di Stato, Althusser vuole mostrare quale sia il ruolo specifico dell’ideologia all’interno delle moderne società occidentali. Il punto di partenza è la concezione marxista dello Stato che viene definito come un apparato repressivo che permette alle classi dominanti di esercitare il proprio potere sul proletariato. Secondo dunque questa visione, lo Stato va inteso innanzi tutto come apparato specializzato, composto dalla polizia, dai tribunali, dalle prigioni, dall’esercito e dalla varie cariche istituzionali e amministrative. Tutte le lotte politiche ruotano attorno allo Stato proprio perché il suo possesso e la sua conservazione permettono il dominio della classe che lo controlla. Althusser non rigetta affatto questa concezione dello Stato come apparato la cui funzione fondamentale sia quella repressiva ma ritiene che, per comprendere meglio come funziona, occorre aggiungere all’analisi altri elementi che tendono a sfuggire alla maggior parte delle tradizionali analisi marxiste. In particolare, ciò che non deve sottrarsi ad ogni sforzo teorico che abbia come oggetto lo Stato, è il rimarcare che esso non si compone solo di un apparato repressivo, ma anche di uno ideologico.

Cosa sono dunque gli Apparati Ideologici di Stato (AIS)? Rappresentano un certo numero di realtà che si presentano all’osservatore immediato sotto forma di istituzioni distinte e specializzate, quali ad esempio quella religiosa, scolastica, familiare, politica, giuridica[1], sindacale, del sistema mediatico e dell’informazione e quella culturale in senso lato.
Una prima osservazione permette di constatare che se l’apparato repressivo di Stato è parte integrante della sfera pubblica, quelli ideologici fanno parte, in misura preponderante, della sfera privata. Non solo le famiglie, i sindacati, i partiti, le chiese ma anche buona parte dei giornali e delle imprese culturali, oltre che un certo numero di istituti scolastici, sono privati.
L’apparente contraddizione (come si possono considerare statali istituzioni private?) viene chiarita da Althusser che, rifacendosi, a Gramsci, afferma che la distinzione fra pubblico e privato è una distinzione interna al diritto borghese: da questo punto di vista lo Stato non va inteso né come pubblico né come privato ma come la condizione di possibilità di ogni diversificazione fra pubblico e privato. Ne deriva così una concezione totalizzante dello Stato il quale, non più distinguibile dalla società civile, va interpretato come coordinamento anonimo di apparati anonimi che si snodano per tutto il tessuto sociale[2].

Se la differenza fondamentale fra apparati repressivi e ideologici non ricalca quella fra sfera pubblica e privata, essa va allora cercata da un’altra parte e in particolare a partire dal modo in cui operano: anche solo intuitivamente è facile notare come i primi funzionano con la violenza, i secondi con l’ideologia. Precisando questa affermazione di massima, si può dire che, per quanto entrambi gli apparati operino al tempo stesso con la violenza e l’ideologia, quello repressivo ha un contenuto prevalentemente oppressivo che si concretizza nell’utilizzo della violenza, sia fisica che simbolica, e solo in via secondaria un contenuto ideologico; viceversa, quello ideologico ha un funzionamento basato solo marginalmente sulla repressione, poiché si rifà a modalità che sono, appunto, prevalentemente ideologiche.
Le combinazioni fra i giochi dei due apparati sono del resto molto sottili: nella realtà concreta è infatti impossibile riscontrare istituzioni che funzionano in maniera solamente repressiva o ideologica. La scuola e la Chiesa offrono, da questo punto di vista, esempi molto chiari: se da una parte queste due istituzioni si fondano sull’inculcazione di un insieme di nozioni e di conoscenze, dall’altro utilizzano metodi rigorosi di sanzioni e di esclusioni.

Occorre mettere in evidenza che gli apparati ideologici di Stato funzionano tramite una forma unificata di ideologia che è quella della classe dominante. Ciò non deve sorprendere: se la classe che controlla lo Stato è quella dominante, ne consegue necessariamente che anche l’ideologia, emanazione degli apparati di Stato non può far altro che essere quella della classe dominante, è cioè emanazione diretta del suo modo di rappresentare il mondo.
Althusser, tuttavia, ricorda che la capacità di esercitare l’ideologia è diffusa e riguarda dunque anche le classi subalterne che, resistendo ai processi di inculcazione e sviluppando una forma di contro-cultura, possono innescare meccanismi di lotta per rovesciare lo status quo e rendere ideologia la loro concezione del mondo[3]. L’egemonia su e negli apparati ideologici di Stato è dunque fondamentale sia per la continuità che per innescare un processo rivoluzionario. Senza questa capacità di esercitare egemonia ideologica, del resto, nessuna classe può detenere il potere statale in modo duraturo perché la mera forza repressiva non garantisce coesione e previene qualsiasi possibilità di legittimazione per le classi dominanti.

I vari apparati ideologici di Stato non hanno tutti la stessa efficacia. A seconda del periodo storico e del tipo di rapporti di produzione, ogni società ha un apparato dominante che si eleva a principale strumento di inculcazione di elementi ideologici. Secondo Althusser nelle formazioni sociali a carattere feudale il numero degli apparati ideologici di Stato era inferiore e ciò era dovuto soprattutto al fatto che la Chiesa accentrava in sé molte delle funzioni, come quelle scolastiche e culturali, che oggi sono affidate a istituzioni specializzate. Sebbene esistessero altri apparati ideologici, la Chiesa dunque era di gran lunga quello dominante.
Nelle società moderne, invece, questo ruolo di preminenza è, secondo Althusser, riservato all’apparato scolastico in quanto ha come referente il bambino che come tale è più vulnerabile ai processi di inculcazione. L’ideologia borghese dominante, inoltre, rappresentando la scuola come ambiente neutro, privo di ideologia, dove si impara la libertà e a ragionare con la propria testa, ha gioco facile nel mettere in moto un potente meccanismo estremamente efficace nel riprodurre i rapporti di produzione fra sfruttati e sfruttatori.

L’importanza dell’istruzione come apparato ideologico modernamente più efficace per legittimare la concezione del mondo delle élite e contenere la dissidenza e il conflitto sociale è confermata anche dalle recenti scelte politiche neoliberiste in tutto il mondo occidentale, dove, finita l’egemonia culturale della sinistra, le riforme scolastiche sono molto spesso andate nella direzione di una progressiva svalutazione delle discipline umanistiche e critiche in favore di quelle economiche e informatiche (nelle scuole superiori di molti paesi europei molte ore precedentemente dedicate alla storia e filosofia o alle discipline letterarie sono ora sostituite da “management”, “contabilità”, persino “imprenditorialità”). In questo frangente, una lettura althusseriana suggerirebbe di leggere il taglio della spesa pubblica nei confronti dell’istruzione, non tanto come un tentativo di svalutare l’educazione in sé o come un disimpegno dalle questioni legate alla conoscenza e alla cultura, quanto come il forte impegno delle classi dominanti di svalutare quell’istruzione di qualità che sviluppa il senso critico e la capacità di immaginare il diverso in favore di una promozione senza precedenti di tutto quel sapere che dà per scontate e concepisce come naturali le disuguaglianze e ingiustizie sociali presenti.
Ovviamente, l’istruzione non è solo strumento del capitale, ma di qualsiasi ideologia politico-economica che vuole far passare la propria concezione del mondo, valida o meno che sia, come giuste. Non deve stupire in quest’ottica, la grande preoccupazione da parte di Lenin e Mao, una volta preso il potere, di riformare in maniera drastica il sistema educativo tradizionale volto alla riproduzione delle idee dell’ordine politico precedente.

L’ideologia è dunque fondamentale per la riproduzione sociale e cioè, innanzitutto, per riprodurre la struttura economica della società: i mezzi di produzione e i rapporti di produzione. Ogni formazione sociale deve infatti, nello stesso tempo in cui produce, e per poter produrre, riprodurre le condizioni della sua produzione. I mezzi di produzione, ovvero le condizioni materiali della produzione come le materie prime, le installazioni fisse e i macchinari vengono riprodotte tramite lo scambio di mercato e non al livello dell’impresa. Per capire questo punto è sufficiente un semplice esempio: se un capitalista possiede una fabbrica di tessuti di lana deve preoccuparsi personalmente di come assicurarsi i macchinari e la lana per produrre, ma a fornirglieli saranno altri capitalisti come ad esempio un allevatore e un produttore metallurgico.
Se dunque i mezzi di produzione materiali dipendono dal sistema dello scambio e della circolazione del capitale, la riproduzione delle forze produttive, cioè della forza lavoro, avviene in un modo radicalmente diverso. Questa necessità è infatti garantita innanzitutto dal salario che permette al lavoratore di assolvere ai suoi bisogni primari e di allevare ed educare i figli. Tuttavia non è sufficiente riprodurre le condizioni materiali di esistenza del lavoratore, è anche necessario che egli sia competente, cioè idoneo ad essere inserito nel processo produttivo. La forza lavoro deve dunque essere sufficientemente qualificata secondo le esigenze della divisione socio-tecnica del lavoro. Se nel sistema feudale la riproduzione della qualificazione della forza lavoro tende ad essere assicurata all’interno dell’impresa stessa, tramite l’apprendistato, nell’economia capitalista, ciò avviene al di fuori della produzione. In particolare, è il sistema scolastico che gioca un ruolo fondamentale in questo senso. Quest’ultimo insegna infatti un “saper fare” tecnico ma anche regole di comportamento, morali e soprattutto del rispetto della divisione del lavoro e delle gerarchie di classe che presuppongono il ruolo centrale dell’ideologia per essere trasmesse.

«Per enunciare questo fatto in un modo più scientifico, diremo che la riproduzione della forza lavoro richiede non solo una riproduzione della sua qualificazione, ma anche, allo stesso tempo, una riproduzione della sua sottomissione alle regole dell’ordine costituito, cioè una riproduzione della sua sottomissione all’ideologia dominante da parte degli operai e una riproduzione dell’abilità di manipolare correttamente l’ideologia dominante da parte degli agenti dello sfruttamento e della repressione, così che possano assicurare il dominio della classe dominante anche tramite l’uso della “parola”».

Se dunque l’ideologia è fondamentale al sistema capitalistico per assicurare la riproduzione della forza lavoro, ciò è altrettanto vero per quanto concerne i rapporti di produzione. Da questo punto di vista sono infatti gli apparati ideologici e quello repressivo di Stato a avere un ruolo decisivo. L’apparato repressivo ha il compito di assicurare la riproduzione dei rapporti di produzione con la forza quando essa risulta indispensabile ma deve soprattutto creare le condizioni politiche dell’esercizio degli apparati ideologici. Sono questi ultimi infatti che sotto l’“insegna” dell’apparato repressivo garantiscono, in modo latente, la riproduzione.
Vedremo, nel prossimo e ultimo articolo dedicato al pensiero di Althusser, come l’ideologia agisca proprio nella direzione di legittimare i rapporti di produzione, creando una narrazione sociale in cui le disuguaglianze vengono descritte come naturali e come la posizione di subalternità nei rapporti di produzione venga considerata l’esito del proprio demerito individuale.

[Continua nei prossimi giorni]


1. Il diritto riguarda sia l’apparato repressivo che quello ideologico. Per approfondimenti vedi Mcgee (2012).
2. La debolezza di questa visione sta forse nell’impossibilità di capire cosa non sia Stato, cioè cosa stia al suo esterno. Una volta affermato che le istituzioni della società capitalista fanno parte dello Stato, risulta complesso capire dove esso finisca e dove cominciano le altre sfere e gli altri sistemi sociali.
3. Il ragionamento di Althusser qui, ricorda da vicino non solo quello di Gramsci ma anche quello di Karl Mannheim e la sua distinzione fra ideologia (delle classi dominanti) e utopia (di quelle subalterne).

Immagine: Teatro anatomico dell’università di Leiden, incisione di W. Swanenburgh da disegno di J. van’t Woudt, 1610 (dettaglio)

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Alessandro Zabban

Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all’arte in tutte le sue forme.

archivio.ilbecco.it/autori/itemlist/user/933-alessandro-zabban.html
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