Domenica la Primo Ministro finlandese (socialdemocratica) e il Presidente (conservatore) hanno annunciato l’intenzione di chiedere l’ingresso del Paese nella NATO. Un passo analogo dovrebbe essere a breve compiuto dalla Svezia. L’abbandono della neutralità dopo quasi ottant’anni altererebbe drammaticamente l’equilibrio di potenza nel Mar Baltico e nell’Oceano Artico: la Federazione Russa ha fatto sapere di dover rafforzare il deterrente nucleare nell’area, mentre il Regno Unito ha addirittura anticipato la NATO nel promettere assistenza militare immediatamente ai nuovi alleati. Sul Dieci Mani di questa settimana ci interroghiamo su questa, sia pure indiretta, estensione del conflitto ucraino.
Leonardo Croatto
Studiando la prima guerra mondiale a scuola (non siamo mai arrivati alla seconda), pur subendo la fascinazione dei film d’azione prodotti negli Stati Uniti, ci chiedevamo, tra amici, come si poteva essere così coglioni da avere la fortuna di stare in un paese neutrale e invece decidere di mandare al massacro, male addestrati e male equipaggiati, una intera generazione di ragazzi e devastare la propria economia.
Non avevamo strumenti d’analisi raffinata, all’epoca, e capivamo decisamente poco anche delle lezioni che ci venivano impartite. Per quanto mi ricordo, la professoressa fu molto abile nel comunicarci l’inutilità della guerra e la sofferenza che generò, ma molto meno a farci capire – ovviamente per i limiti nostri – le dinamiche politico-sociali che portarno il paese a tuffarsi entusiasta nel tritacarne.
Come disse Salandra: senza i giornali la guerra non si sarebbe mai fatta. Anche all’epoca, liberali, socialisti e cattolici, insieme alla maggioranza del paese, erano neutralisti, mentre per la guerra erano Re e governo (che aspiravano a rafforzare i propri poteri grazie alla politica di guerra), gli industriali (che con la guerra prevedevano di fare un sacco di soldi), nazionalisti e un pezzo di sinistra (per generica stupidità). Ovviamente, per l’ingresso in guerra chi aveva contatti e agibilità, quindi industriali e governo, lavorarono anche nel periodo di generale contrarietà insieme ai paesi esteri già cnoivolti, mentre i giornalisti prendevano soldi dall’estero per cambiare l’orientamento dell’opinione pubblica.
Non so esattamente come sia combinata l’informazione in Svezia (in cui ancora un dibattito sul mantenimento dello stato di neutralità è vivo) o in Finlandia, ed è evidente che una guerra alle porte con una nazione dall’imponente apparato militare che dichiara guerra ad uno stato confinante impone un certo tipo di valutazioni sul proprio futuro, ma, ancora una volta, viene da chiedersi come sia possibile che degli stati neutrali possano beneficiare dall’infilarsi dentro una guerra, per quanto non in prima persona come facemmo noi italiani.
E’ del tutto evidente che a molti interessava una ripresa della guerra fredda, per motivi economici, ma resta in primo piano la domanda che ci facevamo da ragazzi e che alcuni di noi si sono continuati a porre fino ad oggi: perché anche chi ha solo da perderci vuole la guerra?
Jacopo Vannucchi
L’adesione alla NATO di due Paesi del Nord Europa neutrali dal 1944 (Finlandia) e dal 1815 (Svezia) è un ennesimo tentativo di far tracimare il conflitto dallo scenario ucraino e di ribadire la catena militare che lega i popoli europei alla guida degli Stati Uniti.Non sappiamo se si tratti di una coincidenza o meno, ma certo tale tentativo contrasta fortemente con il discorso di Macron all’Europarlamento il 9 maggio. La NATO è costituita da un gigante con il Regno Unito come spalla e una corte di nanerottoli che siedono alla sua ombra, e l’adesione di altri due gnomi allontana, invece di avvicinare, la formazione di un dispositivo di sicurezza dell’Unione Europea. I dividendi di questa ulteriore estensione di influenza arricchirebbero gli Stati Uniti ben oltre il contingente conflitto ucraino: la lotta per il controllo dell’Artico, delle sue rotte commerciali, delle sue risorse naturali, si sposterebbe prepotentemente in favore di Washington, e la Russia resterebbe l’unica superpotenza in grado di farle (per quanto ancora?) argine. L’Europa è totalmente assente, e anzi subisce come misera spettatrice l’offensiva diplomatico-militare di due potenze nucleari esterne (USA e Regno Unito), oltre naturalmente alla Russia.Interessante la diversità di schieramento delle due opinioni pubbliche: i finlandesi sembrano per i tre quarti favorevoli all’ingresso nella NATO, dopo averlo respinto per anni; mentre gli svedesi sono più tiepidi e i sì alla NATO prevarrebbero di poco. Come è stato possibile che l’intera società finlandese cambiasse opinione così improvvisamente, solo per il coinvolgimento russo in un distante e circoscritto conflitto che si trascinava da otto anni? Evidentemente la neutralità era abbracciata solo come garante di uno status quo, e non direttamente come scelta geopolitica. Certo fa impressione vedere schierarsi per la NATO pure rappresentanti della Sinistra (Vasemmistoliitto), un partito che deve alla sinistra russa la propria nascita (nel 1918) e la propria legalità (dal 1944), e che ne è stato in più occasioni difeso (ad esempio la crisi finno-sovietica del 1958). Così come fa impressione sentire la stampa liberal italiana connettere direttamente la scelta atlantista della Finlandia all’inclinazione “verso Occidente” (!) espressa nel 1918 dalle Guardie Bianche alleate con la Germania del Kaiser (di nuovo: !)Più movimentata la situazione in Svezia, dove non solo la Sinistra (Vänster), ma anche pezzi socialdemocratici sono contrari: su tutti, la gioventù socialdemocratica della Scania, la regione che fu la culla industriale del movimento operaio svedese. Da molti anni la Scania è il territorio migliore per l’estrema destra, foraggiata dalla deindustrializzazione. L’interesse degli Stati Uniti è che il mercato comune europeo si espanda costantemente, così da avere sempre uno squilibrio sociale interno che favorisca i profitti e azzoppi l’Unione. L’interesse dell’Europa è, ovviamente, contrario. Seguendo la NATO si seguono gli Stati Uniti; seguendo gli Stati Uniti, la Svezia dà impulso alla propria stessa crisi sociale. Olof Palme è stato ucciso per aver difeso una politica di pace, di giustizia sociale, di distensione: è avvilente che giornali che si riempiono la bocca di diritti oggi tacciano sulla gravità della svolta a destra in Svezia.Discorso diverso, ovviamente, sarebbe la NATO se fosse un’alleanza paritaria fra due grandi: Unione Europea a est dell’Atlantico, Stati Uniti a ovest. Purtroppo, non pare questa la direzione.
Alessandro Zabban
L’entrata di Svezia e Finlandia nella NATO rappresenterebbe un ulteriore fattore di crescita della tensione fra Occidente e Russia. Gli Stati Uniti dicono che non vogliono che il conflitto in Ucraina si prolunghi e si allarghi ma di fatto stanno facendo di tutto perché così accada. L’invio in quantità esorbitanti di armamenti e un probabile ruolo di pressione su Kiev nel convincerla a continuare a combattere, rendono gli sforzi americani per una soluzione diplomatica di fatto nulli e certamente ipocriti. L’entrata della Finlandia e della Svezia rafforzano questa sensazione. Si tratta infatti di una ovvia provocazione nei confronti della Russia che in questo contesto rende più tesi i rapporti, più probabili i conflitti e meno sicure le nostre esistenze.
L’idea di Putin come di un dittatore assetato si sangue e di conquiste e con cui è impossibile negoziare sono una finzione mediatica. Indubbiamente la strada diplomatica è complessa ma la Russia non è un piccolo Paese che l’Occidente può permettersi di regolare con sanzioni economiche e con un colpo di stato (come ha fatto altrove e sogna di fare ovunque). Si tratta di una potenza nucleare che ormai è in antitesi con il modello occidentale. Provare a piegarla è pericolosissimo per la stessa sopravvivenza dell’umanità su questo pianeta, perché una escalation può avere conseguenze disastrose. Evitare le provocazioni e tentare la strada del rispetto reciproco è l’unico modo per uscire da questa situazione gravissima.
Immagine da rawpixel.com

Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.