Sullo sfondo di una delle campagne elettorali più feroci che il Regno Unito abbia avuto negli ultimi decenni, e che è stata in più di un punto imperniata sulle politiche identitarie, nelle ultime settimane si è fatto molto parlare delle commemorazioni intorno al centenario dell’elezione di Nancy Astor, prima parlamentare donna ad aver occupato un seggio nella Camera dei Comuni. Il nome di Astor, altrimenti poco noto soprattutto alle generazioni più giovani, è di colpo tornato a occupare le prime pagine dei giornali; a fine Novembre Theresa May, ex premier – non dei meno problematici – e tuttora figura politica di spicco del partito conservatore, ha inaugurato una statua di Lady Astor a Plymouth, la città che elesse Astor per la prima volta. Perfino le poste britanniche hanno commemorato la prima parlamentare donna con un timbro speciale, che mi sono ritrovata sulle buste contenenti tutte le tradizionali cartoline di natale che si inviano a inizio Dicembre. La notizia, per quanto interessante, potrebbe sembrare tutto sommato poco degna di nota.
L’accesso delle donne alla politica è una normale storia di progresso di cui rallegrarsi, e occasioni come questa possono essere importanti per guardare al passato e rendersi conto di quanta strada sia stata percorsa da allora. L’occasione, certamente, è stata colta per puntare il riflettore su un personaggio storico per gran parte dimenticato; io stessa non avevo sentito parlare di Astor prima di allora se non per sommi capi. Una domanda, su tutte, è però sorta quasi immediata, la risposta alla quale ha aperto un vaso di Pandora di controversie sulle quali è più che mai necessario soffermarsi in un’epoca come la nostra in cui, appunto, molto spesso le elezioni si vincono e si perdono a suon di politiche identitarie: considerato il suo ruolo di rilievo nella storia delle donne in politica nel Regno Unito, perché Nancy Astor non aveva una statua prima del suo centenario?
Verrebbe naturale pensare che la risposta sia nella tendenza purtroppo ancora ben presente alla scarsa rappresentazione delle donne nella statuaria pubblica; solo una su cinque statue dedicate a personaggi storici di spicco nel Regno Unito è una donna, anche se la tendenza sta finalmente cominciando a cambiare negli ultimi anni. Tuttavia, la risposta non è così semplice, né così benigna. Proprio la biografia in gran parte ormai dimenticata di Lady Astor offre invece un indizio sul perché, potendo scegliere tra figure femminili degne di essere ricordate, chi ha proposto nuove statue negli anni passati aveva finora preferito evitare di suggerire il nome della prima parlamentare inglese. E una volta emerso, questo indizio ha scatenato, soprattutto negli ambienti progressisti e di sinistra, un dibattito sul fatto che, centenario o no, erigere questa statua oggi, in un periodo di politiche polarizzanti in cui la discriminazione su base razziale è tornata a essere un problema in primo piano, potesse non essere del tutto opportuno. Un dibattito che, purtroppo, non è stato raccolto dalla controparte conservatrice né ha ricevuto particolarmente attenzione da parte dei media ufficiali, e che invece potrebbe essere uno spunto eccellente per riflettere su quanto sia più che mai necessario avere un approccio intersezionalista quando si tratta di analizzare la storia e passare giudizio su di essa.
Nancy
Astor fu eletta per la prima
volta alla Camera dei Comuni nel 1919;
mantenne il suo seggio di parlamentare per Plymouth Sutton –
precedentemente occupato, peraltro, da suo marito Waldorf – fino
al 1945, per il partito conservatore,
e fu quindi attiva politicamente negli anni cruciali della Seconda
Guerra Mondiale e, prima ancora, dell’ascesa del nazismo.
Dato
il ruolo successivamente giocato dal Regno Unito nella resistenza
all’avanzata nazista, la presenza di correnti
filonaziste nella società britannica,
e nello stesso parlamento, in quegli anni viene spesso passata sotto
silenzio da chi offre riassunti storici dell’epoca, ma
ciononostante si tratta di una realtà che non solo esisteva, ma fino
a un certo punto ebbe larga circolazione anche in ambienti
rispettabili. Lo stesso re Edward VIII, costretto a una famosa
abdicazione nel 1936 – ufficialmente per via del suo matrimonio con
una donna americana divorziata, ma circondato da illazioni secondo le
quali le sue opinioni politiche problematiche avessero giocato una
parte rilevante nella sua rimozione dal trono – aveva
simpatie filonaziste; ancora nel 1937 Edward, non più re ma Duca di
Windsor, si recò con la moglie in visita ufficiale in Germania, dove
venne ricevuto da Hitler e suscitò ulteriore scalpore producendosi
nel saluto nazista.
In questo clima di ambiguità, e in un
Regno Unito non privo di tendenze antisemitiche e di preoccupazione
per i rifugiati che arrivavano dal continente, figure politiche anche
di spicco continuarono ad esprimere approvazione e supporto per
almeno alcune delle politiche naziste fino al coinvolgimento
ufficiale nella guerra, e in parte anche dopo. Una di queste figure
politiche era per l’appunto Nancy Astor; con così tanta
convinzione e accanimento, in effetti, da meritarsi nel 1939 il
nomignolo di “the
Member for Berlin”,
la deputata di Berlino.
Il
gruppo di aristocratici inglesi filonazisti veniva anche descritto
come “the
Cliveden set”,
prendendo nome dalla tenuta nel Buckinghamshire in cui risiedevano
Astor e suo marito.
A
peggiorare
le cose, tra le motivazioni che spinsero Astor ad assumere un
atteggiamento tanto amichevole verso la Germania nazista, e a opporsi
all’idea di un’azione militare contro di essa, la prima sembra
essere stata proprio l’antisemitismo.
Nel
1934, interpellando l’alto commissario per i rifugiati della Lega
per le Nazioni, antesignana dell’ONU, Astor gli chiese se “non
ci fosse qualcosa, negli stessi ebrei, che gli avesse meritato le
persecuzioni sofferte nel corso dei secoli”.
Particolarmente illuminante – e non in senso buono – è
anche la lettura dell’epistolario di Astor con Joseph P. Kennedy,
allora ambasciatore americano nel Regno Unito e lui stesso noto per
le sue simpatie filonaziste. Tra i numerosi estratti disturbanti
delle lettere di Astor a Kennedy, spiccano quelli in cui la deputata
dichiara la sua speranza che Hitler possa offrire “una
soluzione ai problemi mondiali degli ebrei e dei comunisti”,
e in cui osserva che Hitler dovrebbe fare ben altro che “far
passare un brutto momento agli assassini di Cristo”
per meritare un’azione militare contro di lui, aggiungendo che “La
ruota della Storia gira nella direzione scelta dal Signore. Chi siamo
noi per ostacolare il corso del futuro?”
Rileggere queste righe è ragione più che sufficiente per capire il
perché della precedente riluttanza a dedicare una statua ad Astor.
La
storia, non serve dirlo, non può essere letta in bianco e nero;
difficilmente una figura storica può essere ritenuta del tutto
negativa o
del tutto positiva, e così l’elezione di Astor al parlamento
rimane un segno di progresso, per quanto aberranti possano essere
state le sue posizioni riguardo al nazismo e alla persecuzione degli
ebrei. Ma quello che non è possibile fare, e che tuttavia è stato
fatto, è celebrare la prima senza fare alcuna menzione dei secondi,
con un riduzionismo che ripulisce la figura di un personaggio per
molti versi deprecabile e la appiattisce sul ruolo dell’eroina
femminista.
Anche senza ricordare che Astor più o meno ereditò
il suo seggio dal marito,
e che non si distinse mai per
alcun attivismo nella lotta per i diritti delle donne,
non è possibile osservare e giudicare questa storia dal solo angolo
del femminismo; non è salutare per il femminismo stesso cercare di
adottare come icona un personaggio che a suo tempo si distinse per
aver abbracciato l’oppressione e lo sterminio di una minoranza che
è oggetto di odio e discriminazione ancora oggi.
Se proprio si
fosse ritenuto opportuno dedicare ugualmente una statua ad Astor,
sarebbe stato il minimo includere nella cerimonia dell’inaugurazione
un commento o un ricordo che rendessero ben chiare le ombre del
personaggio in questione, che non cercassero di ripulire la storia
dalle sue macchie più brutte ma al contrario mettessero in chiaro
che le colpe di una figura di spicco come Astor vanno ricordate
quanto, se non più che, i suoi meriti. Invece Theresa
May,
dichiarandosi fiera di aver inaugurato la statua di Astor, si è
limitata a
ricordare le difficoltà affrontate da Astor in parlamento, incluse
le battute sessiste dei colleghi uomini e l’assenza di bagni per le
donne, e
ad aggiungere che con la sua elezione, “il
nostro Paese e la nostra democrazia sono cambiati per il meglio”.
Chiaramente, è difficile riconciliare la contraddizione brutale tra il progresso positivo rappresentato dall’elezione di una donna e la vergogna rappresentata dall’elezione di una deputata filonazista ed antisemita. Con l’attenzione per le sfaccettature della storia che è un portato di un approccio intersezionalista, che non privilegia una battaglia su un’altra ed è attento al fatto che tutte le diverse istanze, in politica, presto o tardi si contaminano tra loro, sarebbe forse ancora stato possibile commemorare e celebrare il primo senza bisogno di nascondere la seconda. Nella foga di cercare di proporre un’icona femminista, da parte tra gli altri di un’ex premier contraria a divorzio, aborto e diritti per gli omosessuali, ma che ha cercato a sua volta di vendere la sua figura di leader donna come una vittoria del femminismo tutto, la celebrazione ha preso il sopravvento, e quello che avrebbe potuto essere un momento di memoria e riflessione collettive è invece diventato un episodio di preoccupante revisionismo.
Non ho mai creduto che abbattere le statue di personaggi storici scomodi facesse particolarmente bene; ricordare i mali passati della nostra società è un primo passo fondamentale per evitare di ripeterli in futuro. Ben vengano i monumenti, anche quelli controversi, se compendiati da una cornice che ne mostri la posizione esatta nella storia e l’interpretazione corretta, da un commento che ne metta in evidenza le ombre forse più ancora che le luci, da un’ampiezza di prospettive che non isoli un’istanza su tutte ma cerchi di comprendere un personaggio nella sua interezza, e da un momento di comprensione collettiva che sia veramente educativo per tutta la comunità. Questa opportunità, in questo caso, è stata persa. Non si può che sperare che le critiche emerse dalla stampa e dalle comunità ebraiche possano servire perché lo stesso errore venga evitato in futuro.
Una piccola nota a margine: per quanto Nancy Astor sia la prima deputata ad aver seduto nella Camera dei Comuni, non è la prima a esservi stata eletta. Questo onore spetta a Constance Markievicz, rivoluzionaria irlandese che fu eletta nel 1918, un anno prima di Astor, per il Sinn Féin, il partito indipendentista nordirlandese. L’elezione di Markievicz fu un atto di protesta; non solo tradizionalmente i deputati eletti per il Sinn Féin non occupano i propri seggi, considerando la presenza britannica un’occupazione, ma al momento della sua elezione Markievicz era detenuta nella prigione di Holloway per il suo ruolo nell’opposizione alla leva obbligatoria nell’Irlanda del Nord.
Fatta salva una placca donata alla Camera dei Comuni dal governo irlandese nel 2018, nessuna iniziativa pubblica britannica ha commemorato l’elezione di Markievicz nel suo centenario. Forse accostare il suo nome a quello di Astor, nell’occasione di queste celebrazioni, avrebbe potuto essere un buon passo di partenza per restituire un’immagine della storia più onesta, più completa, e più genuinamente femminista.
Immagine di Simon Harriyot (dettaglio) da Wikimedia Commons

Nata in Sicilia, ha studiato a Roma e Pisa e vive a Cardiff, in Galles, dove lavora a un dottorato in Storia Antica e insegna latino. Autrice di prosa e teatro, è pubblicata in Italia da Einaudi Editore.