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1939-1989: sparizione e sopravvivenza dell’imperialismo polacco
Le intenzioni del governo Chamberlain, tuttavia, stavano venendo frustrate dall’indisponibilità di Hitler ad essere un mero ingranaggio della politica britannica sul continente. Nel corso dell’estate 1939 anche a Londra si fece quindi strada l’opzione di un ampio accordo antitedesco con l’Unione Sovietica, che non poteva prescindere, tuttavia, dal coinvolgimento della Polonia – senza la quale l’influenza britannica in Europa orientale si sarebbe dissolta.
La storia del negoziato è nota: l’insuperabile ostilità polacca a consentire il transito di truppe sovietiche, unita alla quasi farsesca lentezza negoziale della delegazione franco-britannica, convinsero Stalin che Londra stava bluffando. Il più radicale Molotov, che aveva avvicendato Litvinov già a maggio, fu quindi autorizzato a trattare direttamente con la Germania, il che si concretizzò nel Patto di non-aggressione tedesco-sovietico.
In ultimo, anche la Polonia fece le spese della pregiudiziale antibolscevica che ispirava la linea del governo Chamberlain. In previsione dell’invasione tedesca l’esercito polacco era stato schierato a ovest della vecchia linea difensiva zarista centrata sulle naturali barriere fluviali: pur rendendo assai più difficile ritirarsi dietro tali difese, questo schieramento assicurava che i tedeschi avrebbero dovuto combattere fin da subito, e ciò avrebbe potuto forzare Londra e Parigi ad attaccare immediatamente la Germania da ovest, costringendola a combattere su due fronti.
Ciò non accadde; la superiorità tedesca in tattiche, veicoli ed equipaggiamento si rivelò rapidamente letale per la Polonia e la Germania non ricevette neanche un colpo da ovest – tanto che lo stato di guerra franco-tedesco si meritò all’epoca il soprannome di drôle de guerre, “guerra farsa”. Il gabinetto inglese era stato disposto a sacrificare persino la Polonia, pur di non rischiare una situazione potenzialmente più favorevole a Mosca nello scacchiere. Ça va sans dire, il governo Chamberlain reagì invece con estrema determinazione – ma eguale sfortuna – alle invasioni tedesche in Occidente (Belgio e Norvegia).
Il revanscismo polacco e l’ambizione di ricostituire il Międzymorze figurarono tra le vittime della Seconda guerra mondiale. A oriente i confini polacchi del 1945 restauravano la vecchia linea Curzon, con Vilnius alla Lituania e Leopoli all’Ucraina. Rispetto al 1919-20, tuttavia, la porzione occidentale della Polonia era significativamente più estesa, avendo integrato una serie di territori storicamente tedeschi: non solo Danzica, ma anche la Prussia sud-orientale (Allenstein), tutta la Slesia fino alla Lausitzer Neiße, il Brandeburgo orientale e quasi tutta la Pomerania.
Perlomeno, questi erano i confini stabiliti dai tre Grandi a Potsdam a luglio 1945 e che in prospettiva avrebbero dovuto essere riconosciuti dal nuovo governo tedesco. Non passò molto tempo che gli anglo-americani manifestarono l’intenzione di non consentire la costituzione di tale governo; proclamando invece la Repubblica Federale di Germania nelle rispettive zone di occupazione, prima ne appoggiarono le rivendicazioni territoriali (i confini del 1937) contro la Polonia e contro l’URSS, poi la integrarono nella NATO. Fu soltanto il governo Brandt che nel 1970 riconobbe, sia pure solo a nome di un governo tedesco-occidentale formalmente ancora provvisorio, il confine tedesco-polacco del 1945 (riconosciuto dalla Germania Est già nel 1950).
La questione dei confini, naturalmente, non poté prescindere dalla questione etnica. Fin dal 1937-38 Stalin, convinto che la guerra contro il Terzo Reich fosse ormai inevitabile, aveva legato il disciplinamento repressivo interno alle questioni nazionali – di cui era sempre stato considerato, fin dal suo «Il marxismo e la questione nazionale» del 1913, il massimo esperto nel Partito. Le repressioni interne avevano quindi particolarmente colpito le minoranze etniche insediate nei territori di confine: dai finlandesi in Ingria e Carelia fino ai coreani in Estremo Oriente. Le epurazioni si erano applicate anche agli stessi partiti comunisti, primo fra tutti proprio quello polacco che nel 1938 fu ufficialmente sciolto dal Comintern dopo l’eliminazione del suo gruppo dirigente. Perciò, una volta coinvolta l’URSS in teatri di guerra nel 1939, Stalin giudicò insostenibile il mantenimento dei nuovi confini in assenza di un’uniformazione etnica: a questa linea è da ricondurre anche la strage di Katyn, ossia la liquidazione di massa degli ufficiali polacchi nel 1940.
I timori di Stalin parvero in effetti confermati dal perdurare nel dopoguerra, nei territori di recente ingresso nella sfera sovietica, di una violenta guerriglia anticomunista perlopiù erede di movimenti collaborazionisti filo-nazisti: i “fratelli della foresta” nei Paesi baltici, i “soldati maledetti” in Polonia e l’OUN-UPA in Ucraina. Quest’ultimo è forse il caso più interessante, in quanto consente di osservare in dettaglio i rapporti fra il nazionalismo polacco, quello ucraino, e l’egemonia sovietica.
L’OUN (Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini) era stata fondata nel 1929 e aveva inizialmente operato in Galizia orientale contro il dominio polacco. Dopo il passaggio della regione sotto il controllo sovietico nel 1939 l’OUN e il servizio segreto tedesco iniziarono a coordinarsi in vista di un attacco comune all’URSS; quando questo si concretizzò, nel 1941, il leader dell’OUN Stepan Bandera proclamò lo Stato ucraino in alleanza con la Germania. I nazisti non erano disposti a concedere più autonomia che una legione ucraina all’interno delle SS, per cui arrestarono Bandera; l’OUN, però, continuò il radicamento sul territorio, nel 1942 costituì l’UPA (Esercito Insurrezionale Ucraino) e fino al 1945 partecipò allo sterminio della popolazione ebraica e si rese responsabile di una pulizia etnica che, oltre alla Volinia con cui è oggi perlopiù identificata, straziò anche la Galizia, la Polesia e parte del Lublinese costando la vita a decine di migliaia di polacchi. La vittima più illustre dell’OUN nel dopoguerra fu il generale polacco Karol Świerczewski, nato a Varsavia ma cittadino sovietico e iscritto al Partito bolscevico dal 1918, che cadde in un’imboscata nella foresta di Bieszczady a marzo 1947.
Dopo il 1989: la riapertura dell’espansionismo polacco
Spostata decisamente in direzione «Piast» dalla guerra, la Polonia tornò a confrontarsi con la visione «Jagellona» subito dopo la fine del sistema socialista nel 1989-90. Nella memoria storica ufficiale, infatti, la figura di Piłsudski fu immediatamente recuperata come fondamento della nazione. Momenti centrali dell’epopea piłsudskiana sostituirono gli eventi fondativi della Repubblica Popolare nel calendario delle festività nazionali: la Festa dell’Indipendenza dell’11 novembre (1918) sostituì il 22 luglio (proclama del Governo di Lublino, 1944) e la festa delle Forze Armate fu spostata dal 12 ottobre (battaglia di Lenino nel 1943) al 15 agosto (“miracolo sulla Vistola” nel 1920). La centralissima Piazza della Vittoria a Varsavia prese il nome di Piazza Piłsudski, con tanto di statua dell’eponimo, e perfino l’iperinflazione fu usata a scopi celebrativi: l’ex Maresciallo comparve sulla nuova banconota da 5 milioni di złoty. Il nuovo Presidente Lech Wałęsa, poi, teneva così tanto a ricollegarsi all’ex dittatore da dare al proprio partito (Bezpartyjny Blok Wspierania Reform, Blocco apartitico di sostegno alla riforma) le stesse iniziali di quello di Piłsudski (Bezpartyjny Blok Wspólpracy z Rządem, Blocco apartitico di cooperazione col governo).
Già nel 1992 la proposta a sorpresa di Wałęsa di costituire una “NATO-bis”, formata da tutti i Paesi dell’Est Europa che non avessero ancora ricevuto l’ammissione nel Patto Atlantico, riecheggiò il concetto di Międzymorze, destando ad esempio la preoccupazione della Lituania – sebbene, includendo in linea di principio anche la Russia, la NATO-bis fosse compatibile anche con il disegno di ripristino dell’egemonia russa su tutta l’Europa orientale.
Di fatto l’integrazione della Polonia nella NATO portò oggettivamente alla resurrezione dello spazio prospettico del Międzymorze, anche in modo intuitivamente contraddittorio con il colore politico degli attori. L’invito di adesione alla Polonia fu infatti esteso dal Patto Atlantico a settembre 1997, quando a Varsavia sedevano un Presidente della Repubblica (Aleksandr Kwaśniewski) e un Primo Ministro (Włodzimierz Cimoszewicz) entrambi ex-comunisti. Kwaśniewski supervisionò anche l’ingresso nel marzo 1999, stavolta sotto il governo di destra di Jerzy Buzek.
Gli anni centrali per il risorgere di un elemento espansionistico nella politica estera polacca, nuovamente intrecciato come nell’anteguerra a dinamiche imperialistiche esterne, furono quelli fra il 2003 e 2007. Nel 2003 la Polonia, ancora con Kwaśniewski a capo dello Stato e nuovamente con un ex comunista (Leszek Miller) alla guida del governo, partecipò con proprie truppe all’invasione dell’Iraq. A dicembre 2004, con l’esplodere della crisi politica ucraina, il Presidente polacco – ormai nei mesi finali del suo ultimo mandato – fece da mediatore tra le parti. Un ruolo che avrebbe ripreso nel 2013, negoziando stavolta l’accordo di associazione fra Unione Europea e Ucraina e la scarcerazione di Yulia Timoshenko. All’epoca Kwaśniewski disse che se la sua missione avesse avuto successo avrebbero dovuto erigergli un monumento a Kiev: il tono era scherzoso, ma la scelta delle parole portava cattivo auspicio, richiamando il “monumento a Varsavia” promesso nel 1938 dall’ambasciatore polacco Lipski al Cancelliere Hitler se avesse risolto la questione ebraica.
Nel 2005 terminò, già agonizzante da anni per uno scandalo di corruzione, l’ultimo governo post-comunista in Polonia. L’atteso accordo tra i due tronconi della vecchia Solidarność, il centro guidato da Donald Tusk e la destra dei gemelli Kaczyński, non vi fu. Si formò quindi un’inedita coalizione di destra ultraconservatrice, fra tre partiti: appunto il gruppo dei Kaczyński, la Lega delle Famiglie Polacche che rappresentava all’epoca l’integralismo cattolico, e Autodifesa che incarnava la ribellione populistica delle campagne (e che aveva abbandonato la precedente coalizione con gli ex-comunisti per contrarietà all’ingresso in Unione Europea). All’interno il nuovo esecutivo, probabilmente aiutato dalla scomparsa di Giovanni Paolo II che aveva agito sino alla fine come figura politica di garanzia, iniziò una serie di processi politici a carico di esponenti della Repubblica Popolare e una campagna di epurazioni sia nel settore pubblico sia in quello privato. All’estero rese presto chiare le proprie intenzioni con la tenace ostilità all’integrazione europea espressa nella Conferenza intergovernativa del giugno 2007. Due furono i significativi punti di contatto fra questo evento e la storia degli anni Trenta: il vero dominus dell’operazione appariva nuovamente il Regno Unito, e il governo polacco usò una discriminante etnica come motivazione per opporsi al progetto europeista di Romano Prodi, il quale riconobbe nel vertice un salto di qualità nella campagna e nel potere dell’euroscetticismo.[1] «l’Unità» rilevò come a Varsavia fosse tornata al potere «l’ideologia polacca di prima della Seconda guerra mondiale, composta da un ultranazionalismo primitivo mischiato a una “parodia tribale del cattolicesimo”».[2]
Le mani sull’Ucraina: l’espansionismo polacco oggi
Alle elezioni presidenziali del 2020 il programma di Trzaskowski presentava in materia di politica estera una duplice ambivalenza. Da un lato si proclamava la volontà di puntare sul Triangolo di Weimar (il format con Francia e Germania) e sul miglioramento dei rapporti con la Russia; dall’altro si asseriva di essere tuttora schiacciati fra due potenze ostili a una Polonia forte – Germania e Russia.[3]
Il programma del Presidente in carica Andrzej Duda, esponente del partito al governo, non era troppo sbilanciato in materia di politica estera, ma appena sedici giorni dopo la sua rielezione l’esecutivo siglò con Lituania e Ucraina il Triangolo di Lublino, in continuità ideale con l’Unione di Lublino che nel 1569 aveva unificato il Regno di Polonia e il Granducato di Lituania – Lublino viene anche considerata come la “porta d’Oriente”[4], specialmente per l’ingresso delle aziende ucraine nel mercato europeo.[5]
Il progetto egemonico della Polonia sull’Europa orientale, collegato a una mai sopita brama di rivalsa contro la Germania e contro la Russia, è stato alla base dell’apertura dei confini ai milioni di profughi ucraini che, soprattutto nelle prime settimane dopo il 24 febbraio, hanno lasciato il Paese. L’aspetto umanitario in questo caso è sottile come carta velina: ricevendo a Cracovia il suo omologo ucraino il Primo Ministro Morawiecki non ha nascosto la soddisfazione nel poter avocare alle ferrovie polacche l’esportazione dei prodotti ucraini in Unione Europea, proponendo inoltre una fusione societaria che, visti gli attuali rapporti di forza, si tradurrebbe nell’appalto de facto alla Polonia del commercio estero ucraino.[6] Il potere di condizionamento che Varsavia è in grado di esercitare su Kiev è evidente da un miserabile ma illuminante caso diplomatico: dopo che la giuria ucraina all’Eurovision ha assegnato zero punti alle canzoni polacca e lituana l’Ambasciatore ucraino in Polonia e il Ministro della Cultura ucraino hanno dovuto scusarsi pubblicamente, rinnegando i giurati che, a loro dire, non rappresenterebbero l’amicizia polacco-ucraina.[7] L’ondata di odio popolare ucrainofobo che il caso-Eurovision aveva scatenato in Polonia[8] fa il paio con l’aggressione all’Ambasciatore russo, cui una folla ha impedito, nell’anniversario della Vittoria il 9 maggio, di deporre una corona di fiori al cimitero militare sovietico di Varsavia.[9]
Agendo nuovamente come potenza tutelare dell’Ucraina e come sua mallevatrice nei rapporti con l’Unione Europea la Polonia può sperare non solo di estendere la propria sfera di influenza e di ricostituire un informale Międzymorze, ma anche di sabotare con successo l’unificazione europea. L’ingresso nel mercato comune di un Paese a costo del lavoro, diciamo, troppo competitivo – circa un sesto di quello italiano prima dell’intervento russo – aumenterebbe a dismisura il dumping sociale interno, impoverendo ancor più i territori – la Germania, la Francia, l’Italia – che potrebbero guidare un processo di integrazione. Al tempo stesso, verrebbe rafforzato, anche economicamente, il fronte nazionalista antirusso. Entrambe queste condizioni ingrassano il tornaconto di potenze extra-europee, interessate a fare dell’Europa una terra coloniale da cui estrarre profitto, priva di una spina dorsale militare, aggiogata anzi a una dura confrontation contro la Russia che la lascia campo di battaglia e in balia di altri eserciti.
È l’interesse degli Stati Uniti, ma anche del Regno Unito, specie se dopo la Brexit vuole puntare sul potenziamento finanziario della City. Perciò non sorprende che, mentre il governo Johnson promette oltre un miliardo di sterline all’Ucraina[10] e le classi popolari britanniche ricorrono al furto per fame[11], il conservatore «Daily Telegraph» scriva che la Polonia – Stato tra i più omofobi[12] e antisemiti[13] d’Europa – sia «oggi il vero leader dell’Europa libera».[14]
https://www.repubblica.it/2007/06/sezioni/esteri/consiglio-ue/intervista-prodi/intervista-prodi.html ↑
https://archivio.unita.news/assets/derived/2007/06/23/issue_full.pdf, p. 13. ↑
https://demagog.org.pl/wp-content/uploads/2020/07/Trzaskowski-2020.pdf ↑
https://lublin.eu/en/lublin/about-the-city/lublin-in-numbers/ ↑
https://www.fdiintelligence.com/content/feature/lublin-looks-to-make-new-history-58852 ↑
https://www.ukrinform.net/rubric-economy/3465834-ukraine-poland-to-strengthen-cooperation-in-railway-sector-shmyhal.html ↑
- https://www.ukrinform.net/rubric-society/3483944-minister-tkachenko-expresses-his-position-on-ukraines-eurovision-jury-votes-for-poland-and-lithuania.html ↑
- https://www.polsatnews.pl/wiadomosc/2022-05-15/eurowizja-2022-polscy-internauci-oburzeni-brakiem-punktow-od-ukrainy/ ↑
- https://warszawa.wyborcza.pl/warszawa/7,54420,28427167,mimo-protestow-ambasador-rosji-zlozyl-kwiaty-pod-mauzoleum-armii.html ↑
- https://www.reuters.com/world/europe/uk-provide-13-billion-pounds-further-military-support-ukraine-2022-05-07/ ↑
- https://www.repubblica.it/esteri/2022/05/20/news/regno_unito_furti_fame_poverta-350433818/ ↑
- https://rainbow-europe.org/country-ranking ↑
- https://global100.adl.org/about/2019 ↑
- https://www.telegraph.co.uk/news/2022/04/28/poland-now-true-leader-free-europe/ ↑
Immagine da flickr.com
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.