Le nuove linee guida emanate dal Ministero della Sanità prevedono che si potrà assumere senza bisogno di ricovero ospedaliero, fino alla nona settimana di gravidanza, la pillola abortiva RU486. La decisione è stata presa sulla scia delle proteste per il provvedimento della giunta leghista in Umbria, che a giugno ha deciso lo stop all’aborto farmacologico in day-hospital revocando una delibera regionale del 2019. Le direttive approvate già dieci anni fa dal ministero consigliavano infatti tre giorni di ricovero per la paziente che assumeva la pillola abortiva, lasciando però la scelta alle Regioni che nella maggior parte dei casi hanno optato per una soluzione senza ricovero.
Leonardo Croatto
Il discorso degli oppositori all’interruzione volontaria di gravidanza è caratterizzato da due conseguenti linee di pensiero, che in maniera molto più ampia caratterizzano la destra conservatrice e reazionaria per tutta la sua storia.
La prima è l’anti-scientismo: una diffusa indisponibilità ad affidarsi alle valutazioni di soggetti competenti (quando non una aperta avversione per l’educazione e lo studio in sé) e un rifiuto della validità del metodo galileiano come strumento di validazione del funzionamento delle cose.
L’anti-scientismo e l’anti-intellettualismo hanno una storia antica: nascono come reazione (tutta politica) da parte dell’aristocrazia europea all’illuminismo e alle sue idee di uguaglianza, maturano nei secoli successivi all’interno degli ambienti della reazione e impregnano tutta la destra di una aperta ostilità a qualsiasi forma di progresso che porti con se meccanismi di affrancamento di quelle parti della società che i miti del passato glorioso e della tradizione condannano a ruoli di sudditanza.
La destra conservatrice ha un suo carattere costituente, ontologico, nella strutturazione della società in caste, caratterizzate da gradi di libertà decrescenti partendo dall’aristocrazia e scendendo verso il basso.
Da questa idea che caratterizza la destra discende il secondo elemento caratterizzante il dibattito sull’interruzione di gravidanza: la strutturazione assolutamente maschilista della società.
Il dibattito sul corpo delle femminile sviluppato dalla borghesia reazionaria e gestito prevalentemente da uomini manifesta la tensione di questi al mantenimento di un posizione di potere derivante dalla tradizione e culturalmente sedimentata a danno delle donne, forzate dall’organizzazione sociale storicamente determinata ad un ruolo servente dal quale, mercé lo sviluppo sociale, culturale e scientifico, agiscono per affrancarsi scardinando i dispositivi di controllo che la parte maschile della società detiene.
In questo senso, la lotta per l’autodeterminazione del corpo femminile non esaurisce il suo valore solo nello stretto confine di quella battaglia: ogni azione volta a sovvertire l’ordine maschilista della società è anche strumento di rivoluzione contro lo stato delle cose presenti; le lotte delle femministe sono intrinsecamente correlate alle lotte per la trasformazione della società in senso egualitario.
Piergiorgio Desantis
Se si ragionasse esclusivamente in base a un rigido determinismo storico posizioni contrarie all’aborto (previsto dalla legge 194/78) non avrebbero alcuno spazio politico. Chi si oppone e vuole tornare indietro agli aborti clandestini e alle mammane, tuttavia, non è solo antistorico ma anche criminale. Queste posizioni non dovrebbero avere spazio in alcuna forza politica dell’arco costituzionale. Invece avanza una nuova destra (che non è altro che la vecchia destra) leghista e fratellitaliota che inserendosi in un filone reazionario e retrogrado vuole il ritorno alla famiglia patriarcale con le donne ancille del focolare e produttrici di prole. Bene ha fatto il governo e il ministro Speranza ad avanzare nel campo dei diritti, della parità e dell’accesso a tutte di un diritto sacrosanto, proseguendo una lunga battaglia ancora (purtroppo) non del tutto vinta. La pillola Ru486 in day hospital è un provvedimento di civiltà giuridica e di libera scelta per le donne.
Elena De Zan
La somministrazione della Ru486 ha il grosso vantaggio di non richiedere un intervento chirurgico, che rende necessaria l’ospedalizzazione. Gli altri metodi abortivi, che richiedono una soluzione chirurgica, sono più invasivi e hanno un maggior impatto fisico e psicologico sulle donne e sui loro corpi.Nonostante nella maggior parte dei casi sia preferibile abortire attraverso l’opzione farmacologica, questa tipologia di aborto in Italia è sempre stata ostacolata a livello procedurale: se negli Stati Uniti e in molti paesi europei questo farmaco era già utilizzato dagli inizi degli anni 2000, nel nostro paese si è dovuto aspettare il 2009 perché la Ru486 fosse introdotta come alternativa all’aborto chirurgico.Andando incontro al mondo cattolico e no-choice, la normativa sancita dieci anni fa aveva introdotto dei paletti restrittivi all’accesso a questa modalità di interruzione di gravidanza: la pillola abortiva poteva essere somministrata solo fino al 49° giorno, e solo in regime ospedaliero di 3 giorni. Paletti che per molti medici e ginecologi non hanno mai avuto ragion d’essere.Queste restrizioni hanno avuto l’effetto non di difendere la salute della donna ma di ostacolare l’uso della Ru486 nella maggior parte dei casi. Tale situazione ha infatti impedito a moltissime donne di usufruire di questo farmaco: in assenza di alternative, esse si sono viste costrette a seguire la via più tortuosa per poter interrompere la gravidanza. Insomma: una vera e propria tortura fisica e psicologica inflitta al corpo delle donne, per di più in un momento così dedicato della loro vita.Malgrado le linee guida restrittive, nel corso degli anni sempre più regioni (come Emilia Romagna e Toscana) hanno optato per la sperimentazione del Day Hospital.Anche l’Umbria si era adattata, introducendo 2 anni fa il day Hospital al posto del ricovero ospedaliero dopo l’assunzione della Ru486. Durante la pandemia però la giunta leghista ha fatto un passo indietro, rintroducendo l’obbligo dei 3 giorni: un vero e proprio paradosso se si pensa alla logica manageriale e neoliberale che da anni caratterizza la sanità italiana che cerca di ridurre al minimo i giorni di degenza dei malati nel nome del risparmio.Questo cambio di rotta è avvenuto in un momento già difficile di per sé, in quanto durante la pandemia l’accesso all’IGV è diventato ancora più complicato.In risposta a questa proposta non sono mancate le repliche e le proteste, che hanno riportato la questione della RU486 all’attenzione mediatica e politica.Il provvedimento della giunta presieduta da Donatella Tesei ha rappresentato una mossa controproducente: ha infatti riportato in auge la questione, permettendo al ministro Speranza di chiedere – a distanza di 10 anni – un secondo parere al Comitato tecnico scientifico. Ciò ha fatto emergere tutta l’ipocrisia di una legge ideologica, che come al solito colpiva le donne anziché difenderle.Abbiamo ancora tanta strada da fare per difendere e garantire la piena applicazione della 194, ma (anche grazie all’oscurantismo leghista) abbiamo avuto l’opportunità di fare un piccolo passo verso il riconoscimento del diritto all’aborto libero e accessibile per tutte.
Dmitrij Palagi
Jacopo Vannucchi
A distanza di quarantadue anni dalla legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, le nuove linee guida sull’interruzione farmacologica segnano un ulteriore passo in avanti per la libertà di scelta e l’autodeterminazione della donna.
La propaganda di destra riprende, rovesciandone il significato, una frase di Aleksandra Kollontaj e denuncia che la Ru486 riduce l’aborto al «bere un bicchiere d’acqua». Quello che manca in questa visione è la capacità di distinguere tra il gesto di assumere la pillola abortiva, che è materialmente semplice, e la decisione che vi sta dietro, che invece non è una decisione presa alla leggera o di poco conto.
D’altro canto, personalmente non faccio parte di quanti ritengono che le tematiche della sessualità e della vita debbano essere trattate con la leggerezza con cui si beve un bicchiere d’acqua. Certamente è giusto ridurre al minimo l’invasività dei metodi abortivi, per una questione di dignità della donna, ma avendo sempre in mente che in una società pienamente evoluta a nessuna vita umana sarebbe negata l’opportunità di svilupparsi e nessun rapporto sessuale produrrebbe gravidanze indesiderate.
Resto infatti convinto che la libertà per cui lottare sia quella “dall’aborto”, e non “dell’aborto”, pur se nelle more di questa secolare lotta per la liberazione umana si deve comunque garantire la libertà di scelta.
Ma anche ammesso che una donna oggi possa considerare banale l’interruzione della gravidanza, anche in quel caso si può obiettare alla propaganda di destra che l’aborto è nell’interesse del feto, la cui stessa nascita sarebbe considerata dalla madre un fatto banale.
Per la cronaca, non è che a destra non sappiano che l’alternativa alla facilitazione dell’IVG è l’aumento degli aborti, delle morti per aborto e degli infanticidi. Lo sanno benissimo, come sanno che questi fenomeni sarebbero concentrati nelle classi deboli della società. Ma è che «se tormentati da triboli privati la gente è più disposta a dirci sempre “sì!”».
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Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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