A un mese dal referendum costituzionale sul taglio del numero dei parlamentari i livelli di dibattito e coinvolgimento del pubblico non sono paragonabili neppure lontanamente a quelli dello scorso referendum, il 4 dicembre 2016. Ad eccezione del M5S, la cui immagine però è molto sbiadita in questa prima metà di legislatura, i principali partiti sembrano dibattersi tra la ritrosia a sostenere un Sì che sarebbe considerato un successo dei 5 stelle e il timore di inimicarsi l’umore viscerale della folla appoggiando il No. Questa è la quarta volta in diciannove anni che gli italiani voteranno su una modifica alla Costituzione, ma è la prima in cui tale modifica riguarda non un ridisegno dell’architettura istituzionale, bensì si limita a un taglio numerico lineare della rappresentanza. Su questi temi si confrontano oggi le nostre Dieci mani.
Piergiorgio Desantis
Ben altri tempi e dibattito ben più approfondito sarebbero stati passaggi necessari per un tema così importante quale è quello della riduzione degli eletti in Parlamento. In ogni caso, continuando a vigere una repubblica parlamentare, è davvero strumentale addurre quale argomento di fondo che riducendo i numeri dei rappresentanti si ottiene un risparmio economico. Lasciando stare che trattasi di risparmi risibili in termini assoluti, sarebbe stato ben più veloce e facile ridurre lo stipendio dei parlamentari attraverso un semplice legge. Qui, invece, si sta parlando di un taglio alla democrazia e alla sua rappresentanza. Al contrario, quest’ultima andrebbe estesa e non ridotta a un ristretto cerchio di persone che alla fine, probabilmente, la pensano allo stesso modo sulle questioni di fondo. Perciò, oltre a respingere il quesito voluto dai 5stelle, è utile anche ridurre all’essenziale l’utilizzo della decretazione d’urgenza permanente (discutere è utile, è necessario in politica); ma, allo stesso tempo, è necessario ritornare a ragionare di modello elettorale proporzionale. Quest’ultimo ha le sue basi su forti corpi intermedi (partiti ben radicati nel territorio con democrazia e dibattito interno), che sono stati il perno attorno a cui si è ricostruita l’Italia moderna, è il caso di ricordarlo. C’è ancora la possibilità di costruire un’altra politica al posto del penoso e vuoto dibattito attuale.
Dmitrij Palagi
Un Parlamento che a larghissima maggioranza vota la propria riduzione, per poi assistere imbarazzato alla campagna referendaria confermativa è già un’anomalia.
Testimonia una superficialità della dimensione pubblica ormai costituente dell’assetto istituzionale del nostro Paese.
Il dibattito può concentrarsi sui dettagli, dal rapporto tra cittadinanza e membri di Camera e Senato, o sugli effettivi risparmi di una diminuzione di unità. Non distrarrebbe chi è convinto di avere l’opportunità di “licenziare” parte della casta, di diminuire il numero di ladri delle risorse pubbliche, di poter testimoniare la propria rabbia.
Da Forza Italia al Movimento 5 Stelle, per arrivare alla Lega di Salvini e oggi forse a Fratelli d’Italia, c’è una responsabilità diffusa dell’attuale antipolitica che si è fatta politica.
Quale realtà politica ha saputo rivendicare in questi anni la centralità del Parlamento con efficacia? In quanto hanno provato a smontare la narrazione tossica di un esecutivo più importante degli altri livelli politici? Dall’elezione diretta dei Sindaci ai Presidenti di Regione si arriva poi facilmente al Presidente del Consiglio dei Ministri, o al Presidente della Repubblica… Il tutto condito con un rispetto della dialettica pubblica che già venti anni fa faceva ironizzare sulla possibilità di vedere confronti tra le sole persone che ricoprivano il ruolo di capigruppo, con un paio di vice.
Viene dato per scontato che vincerà il sì, ci si interroga con quale maggioranza. Si vedrà… Anche la vittoria di Renzi nel 2016 era vista probabile. Nel frattempo occorre ricostruire un’idea stessa di politica che sia diffusa, riconosciuta e partecipata… Altrimenti servirebbe a poco anche un aumento dei parlamentari…
Jacopo Vannucchi
Il mero taglio dei parlamentari non ridisegna esplicitamente, è vero, la struttura istituzionale dello Stato. Ma lo fa implicitamente, in un modo ancor più subdolo e pericoloso. Sebbene, sulla carta, funzioni e competenze delle Camere non mutino di una virgola, la riduzione netta di oltre un terzo di deputati e senatori avrà un effetto distorsivo che metterà a grave rischio la costituzione materiale dell’Italia quale repubblica democratica parlamentare.Anzitutto, è matematico, si ridurrà la possibilità di un elettore di far sentire la propria voce in Parlamento. Nella Costituzione del 1948 il numero dei deputati (tralascio per brevità i senatori) era agganciato a quello degli abitanti: 1 rappresentante alla Camera ogni 80.000 italiani. Questa norma oggi fornirebbe una Camera di 753 deputati. Nel 1963 fu deciso di modificare la Costituzione per fissare il numero dei deputati ai 630 derivanti dal censimento del 1961. Oggi ognuno di questi 630 deputati rappresenta non più 80.000, ma 96.000 italiani. Se da 630 diventassero 400, ogni deputato rappresenterebbe 151.000 italiani: in altri termini, la rappresentanza sarebbe quasi dimezzata rispetto agli intenti dell’Assemblea Costituente.Inoltre, è altrettanto matematico, il potere sarebbe concentrato in poche mani. Basterebbero 201 deputati e 101 senatori per votare la fiducia al governo: in totale 302 persone, che ad oggi non sono sufficienti neppure per la maggioranza alla sola Camera. Con 400 deputati, 200 senatori e 58 delegati regionali, basterebbero 330 persone per eleggere una figura importantissima quale il Presidente della Repubblica. In altri termini, intere fette di territorio potrebbero essere sistematicamente escluse dalle decisioni massime della vita politica nazionale. E per i malintenzionati sarebbe molto più facile corrompere un numero di persone così ridotto.Terzo, è ancora matematico che riducendo il numero dei deputati le commissioni parlamentari avranno molte più difficoltà a lavorare: uno stesso deputato farà parte di molte più commissioni rispetto ad ora. A questo si potrebbe ovviare in alcuni modi: riducendo il numero delle commissioni (col che però aumenterebbe il carico di lavoro) o riducendo il numero di componenti delle commissioni, col che si concentrerebbe ancora di più il potere: ricordiamo che non tutti i disegni di legge vengono passati al plenum della Camera: molti vengono approvati direttamente dalle Commissioni.Infine, ed è matematico anche questo, diminuendo i deputati si aumenta la dimensione dei collegi elettorali. Questo renderà le campagne elettorali sempre più costose, il che porterà ad entrare in Parlamento solo due tipi di persone: quelle che sono molto ricche e quelle che hanno alle spalle finanziatori molto ricchi. In un Parlamento simile, quale voce potranno avere le normali famiglie di lavoratori?Chi vorrebbe vivere in un Paese in cui al Parlamento decidono poche persone, in larga parte guidate dall’obiettivo di salvaguardare il proprio ricco patrimonio o di ricompensare i propri ricchi finanziatori?
Alessandro Zabban
Il 5 Stelle in queste settimane si appresta a trasformarsi definitivamente in forza “responsabile” e moderata, rinunciando al suo passato movimentista e pseudo-populista. Ma di quella stagione caratterizzata dalla retorica dell’onestà e dalle piazze del Vaffa Day esistono ancora alcuni imbarazzanti strascichi. Una delle eredità più deleterie lasciate da quella breve ma turbolenta fase storica, che ha finito per influenzare l’intera sfera socio-culturale, è l’idea che la politica abbia dei costi eccessivi.La realtà è che le risorse necessarie per far funzionare la rappresentanza democratica sono trascurabili nel contesto del bilancio annuale dello Stato. Esiste ovviamente un problema legato al malaffare e agli interessi che legano il ceto politico con le élite economiche, ma proprio per questo polemiche demagogiche sui costi (come ad esempio quella sullo stipendio dei parlamentari) sono del tutto estranee ai reali problemi della politica che andrebbero affrontati strutturalmente. Se continuerà a mancare la volontà politica di cambiare modello di sviluppo, ridistribuire la ricchezza e rilanciare il welfare cosa se ne faranno i “cittadini onesti” dei soldi risparmiati con qualche parlamentare in meno? Il risultato saranno le stesse identiche politiche e i soliti problemi ma in un contesto di diminuzione dello spazio di rappresentanza che andrà a indebolire ancora di più la nostra agonizzante democrazia.
Immagine da www.wikipedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.