Il territorio dell’Ucraina: un mosaico sovietico
Se deve essere respinta l’idea panslavistica e grande-russa che gli ucraini non siano un popolo distinto dai russi – la separazione tra i due rami data almeno al periodo basso-medievale in cui la Rus’ di Kiev cadde sotto il dominio dell’Orda d’Oro, mentre i principati settentrionali sopravvissero per poi venire gradualmente assorbiti dalla Moscovia – tuttavia risponde a verità l’idea, anch’essa più volte ripetuta dal presidente russo Vladimir Putin, che l’Ucraina odierna sia in larga parte il risultato di programmi di costruzione statale e nazionale attuati nel periodo bolscevico e sovietico.[1]
Uno sguardo alle stratificazioni territoriali dei confini ucraini internazionalmente riconosciuti è sufficiente almeno a dare l’idea della complessità storica del tema.
Il quadrante nord-orientale dell’attuale Ucraina fu per lungo tempo una steppa spopolata che forniva ai cavalieri tatari un facile corridoio per razziare campagne e città della Russia; per tale ragione, a partire dalla metà del XVII secolo la Moscovia e poi l’Impero zarista vi intrapresero la costruzione di una serie di forti (Charkiv, Kodak, Aleksandrovskaja…). Negli stessi anni, il labile controllo che la Confederazione Polacco-Lituana (non) esercitava sui riottosi cosacchi nella regione compresa fra il Dnepr e il Donec offrì alla Russia l’occasione di porsi come protettrice della popolazione ribelle; la guerra russo-polacca che ne seguì si concluse con la tregua di Andrusovo (1667), che fu un punto di svolta per l’Europa orientale (definitiva affermazione della potenza russa su quella polacca come principale egemone nell’area) ma soprattutto per l’Ucraina.
Come altri Stati (Polonia, Romania) che devono la loro storia moderna a quella degli Imperi europei, infatti, anche l’Ucraina è profondamente divisa fra Est e Ovest; fu proprio la tregua di Andrusovo a gettare le basi di questa divisione, fissando il confine russo-polacco sul fiume Dnepr.
Dopo Andrusovo, i russi inizialmente appaltarono ai cosacchi la colonizzazione della riva orientale del Dnepr (fondazione di Kryvyj Rih, Sumy, ecc.) per poi assumerne nel secondo Settecento, oltre alla sovranità nominale, anche l’effettiva amministrazione. Nello stesso periodo la Russia si espanse anche nel territorio sud-est dell’attuale Ucraina, dapprima costringendo l’Impero Ottomano ad abbandonare il protettorato sul Khanato di Crimea – l’ultimo superstite dei khanati tatari nati dalla disgregazione dell’Orda d’Oro – rendendolo pienamente indipendente, e poi procedendo all’annessione diretta dei suoi territori, che oltre alla penisola di Crimea comprendevano una fascia continentale.
La storia della metà occidentale dell’Ucraina è un mosaico più complesso di successive acquisizioni. La tessera più grande (all’incirca il quarto centro-occidentale dello stato) è il frutto della seconda (1793) delle tre partizioni della Polonia, e prima della Seconda guerra mondiale ha costituito la parte più occidentale della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. Quei confini sono stati poi espansi in due fasi, prima e dopo la guerra antifascista.
Nel 1939, occupando la parte orientale della Polonia, l’URSS annetté all’Ucraina le regioni di Volinia e Galizia; nel 1940 ottenne dalla Romania la cessione della Bucovina, sede di una nutrita popolazione ucraina, e della Bessarabia, necessaria per mettere in sicurezza Odessa. Gran parte di questi territori costituì la R.S.S. di Moldavia, ma le estremità nord e sud furono accluse all’Ucraina. Le acquisizioni del 1939-40 furono occupate dai tedeschi dal 1941 al 1944, ma a fine guerra le potenze vincitrici ne riconobbero la sovranità all’Unione Sovietica, che nel 1945 aggiunse anche la Transcarpazia, ultimo lembo orientale cecoslovacco ma con una popolazione rutena (ucraina).
Tutte queste regioni occidentali erano o storicamente non-russe ma con una popolazione ucraina (Transcarpazia, Bucovina), oppure russe da tempi relativamente lontani (la Volinia, acquisita con l’ultima spartizione della Polonia nel 1795); con la significativa eccezione, però, della Galizia. Mai stata russa, la Galizia era divenuta austriaca nel 1772 e polacca nel 1918 e si era sempre sentita parte dell’orbita mitteleuropea.
Se durante la Seconda Guerra Mondiale fu prevalentemente in Volinia che i fascisti banderisti dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN) e dell’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA) compirono le maggiori stragi di massa di polacchi ed ebrei, dopo il 1945 le loro attività di guerriglia anticomunista proseguirono per qualche anno soprattutto in Galizia, grazie al riparo offerto dai Monti Carpazi. Estremismo di destra, sentimento antirusso e identità regionale si fusero nel determinare una peculiare differenziazione della Galizia che sarebbe ricomparsa nel tempo.
Le tante Ucraine e la dissoluzione dell’URSS
Le stratificazioni dei confini che definiscono la geografia politica dell’Ucraina sono emerse con la fine della non contendibilità elettorale nel 1991. Il 17 marzo di quell’anno i cittadini dell’Unione Sovietica (ad esclusione delle repubbliche che stavano già muovendo verso la secessione) votarono su un referendum che chiedeva il loro assenso alla preservazione dell’URSS come federazione di repubbliche sovrane in cui venissero garantiti i diritti delle nazionalità e degli individui.
In Ucraina al referendum pan-sovietico se ne affiancò uno specificamente nazionale riguardante la partecipazione dello stato ad una «Unione di Stati Sovrani Sovietici [non dunque “socialisti”] sulla base della Dichiarazione di Sovranità dell’Ucraina» varata dal Soviet Supremo ucraino l’anno precedente.
In tutta l’Ucraina nel referendum per la preservazione dell’URSS il Sì ottenne il 70%, mentre in quello nazionalista i consensi crebbero all’80%. Questa differenza di 10 punti era però ampiamente diversificata in alcuni territori specifici. Anzitutto la Crimea, che fu l’unica regione (oblast’) in cui il referendum sovietico ottenne più sì (87,6%) di quello nazionale (84,6%). All’estremo opposto, le differenze più ampie si riscontrarono nelle zone ex polacche della Volinia e della Galizia; quest’ultima, anzi, fu l’unica area in cui in entrambe le consultazioni fu il No a vincere. La Galizia già nel 1990 si era distinta per essere stata la sola regione ad eleggere al Soviet Supremo non candidati comunisti, bensì esponenti di un partito (il Narodnyi Rukh Ukrajiny, Movimento Popolare d’Ucraina) liberale e filo-occidentale.
A marzo 1991 i governi dei tre oblast’ di Galizia (Leopoli, Ternopil’, Ivano-Frankivs’k) organizzarono quindi un terzo referendum, che chiedeva l’indipendenza pura e semplice dell’Ucraina e in cui il Sì stravinse con l’88%.[2]
Dalla cartina balzano all’occhio le specificità di alcuni territori: particolarmente inclini a tenere il legame sovietico non solo la Crimea (con Sebastopoli), ma anche gli oblast’ orientali di Doneck e Lugansk e quelli meridionali di Odessa e Mykolaiv; particolarmente desiderose di sganciarsi dall’URSS non solo le regioni più occidentali, ma anche la metropoli di Kiev. In quest’ultimo caso è evidente che non solo non vi erano i timori per la svendita delle industrie di Stato che agivano nel bacino carbonifero-siderurgico del Donbass o nella cantieristica e nel petrolchimico di Odessa, ma anzi ampi settori sociali ritenevano di poter beneficiare delle opportunità di capitale di uno stato sovrano e forse anche dei profitti di quelle svendite.
[Continua nei prossimi giorni]
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A titolo di esempio si guardi l’articolo del 12 luglio 2021 «Sulla unità storica di Russi e Ucraini», http://en.kremlin.ru/events/president/news/66181 ↑
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.