Non vogliamo diventare un Sussidistan”, così si è espresso all’assemblea annuale degli industriali il presidente di Confindustria Bonomi, riprendendo un neologismo coniato dall’ex sindacalista Fim Cisl Bentivogli a proposito delle misure a sostegno del reddito a seguito della pandemia Covid-19 prese dal governo Conte 2. Ma è davvero così? Chi ne ha beneficiato maggiormente? A queste e a altre domande prova a rispondere il Dieci Mani questa settimana.
Piergiorgio Desantis
L’espressione “Sussidistan” è stata percepita fin da subito come una polemica davvero forte per criticare aspramente i provvedimenti messi in campo dal governo Conte di sostegno al reddito di chi ha perso il lavoro o chi non ce l’ha. La presidenza di Confindustria di Carlo Bonomi si caratterizza, ancora una volta, per entrare in polemica diretta e immediata con il Governo, mettendosi quasi al pari dei presunti “populismi” di cui si parla tanto male di questi tempi. In realtà, i vari interventi definiti anche “denaro a pioggia” e “logica del dividendo elettorale” sono pari appena a un terzo dei soldi pubblici andati, in un modo o nell’altro, direttamente al sistema industriale italiano. Si evidenzia, quindi, una miopia dell’associazione degli industriali nell’inquadrare la reale situazione dei consumi e delle famiglie italiane, che, per usare un efemismo, è oltremodo critica. Ma davvero si può pensare per esempio di far a meno della cassa integrazione ed evitare la disintegrazione del tessuto connettivo di questo Paese?
Dmitrij Palagi
Ognuno difende i propri interessi? No, lo fanno le aziende, anzi in questo caso sembra volerlo fare una specifica associazione organizzazione delle imprese, tutto sommato in difficoltà e che non è attorniata da uno stabile contesto politico e istituzionale.Le dichiarazioni rilasciate seguono quelle sul personale dipendente pubblico e una classifica al ribasso nella fantasia di chi nega la dignità del lavoro. Il Covid-19 ha messo all’ultimo posto chi si è ritrovato a svolgere il proprio impiego da casa (in particolare il personale dipendente del pubblico), per poi passare a chi percepisce una qualche forma di ammortizzatore sociale (quando lo riceve) e arrivare a chi un impiego non lo ha.Nel frattempo i privati si ergono a unici erogatori di ricchezza e lavoro. Senza che questo abbia alcun fondamento nella realtà. La semplificazione viene fatta da anni sul piano della narrazione e della costruzione di immaginari. Imprese da ringraziare. Stato da denigrare. Classi lavoratrici che possono essere considerate vittime se in difficoltà che immediatamente passano sul fronte del privilegio se cessano di “affogare” nei loro problemi.In politica nessuno ha il coraggio di prendere voce contro le benefiche imprese private. Il lavoro dipende da loro, sostengono. Anche quando si mettono a rilasciare dichiarazioni sul quel “sussidistan” che permette a loro di esistere.
Jacopo Vannucchi
Perché si parla di Sussidistan e non di Sussidilandia o Sussidiopoli? Il termine usato dal Presidente di Confindustria è politicamente opportuno perché evoca atmosfere centro-asiatiche e (post-)sovietiche, consentendo quindi di nascondere la realtà.Se si intende la parola sussidio nel suo significato deteriore, cioè come trasferimento di ricchezza a settori sociali improduttivi, a scapito della collettività, è evidente che per molte grandi imprese italiane sarebbe difficile schierarsi contro. Conosciamo i casi celebri di impianti produttivi delocalizzati in Paesi dal basso costo del lavoro, o di sedi fiscali in Stati dal compiacente regime tributario, che hanno consentito l’aumento spropositato del plusvalore.Proprio quest’ultimo termine consente di illuminare un altro aspetto. Il plusvalore è definito come la differenza tra il valore del prodotto del lavoro e la retribuzione sufficiente a mantenere in vita il lavoratore e a consentirgli di riprodursi e allevare una famiglia (in modo che i figli possano prenderne il posto quando sarà vecchio). Una mercede minimamente dignitosa è quindi funzionale alla riproduzione del profitto stesso.Ma quando si è in grado di spostare la lavorazione in territori a basso costo del lavoro, il livello di quella mercede scende copiosamente, e la forza-lavoro nel Paese di origine dell’impresa (nel nostro caso, l’Italia) può benissimo non mantenersi più in vita e non più riprodursi.Naturalmente qui si intrecciano più problemi, tra i quali l’armonizzazione fiscale e salariale all’interno dell’Unione Europea. Ma di rado si può avere una rivendicazione più lampante del completo disinteresse verso la sorte materiale (anzi, biologica) degli esseri umani come nell’attacco al Sussidistan. Eppure buona parte dei lavoratori non solo non se ne rende conto, ma ha anche introiettato quel modello ideologico, limitandosi, per necessità dello stomaco, a schierarsi dalla parte opposta: a favore dei sussidi come risoluzione ultima della scarsità di risorse. Il sussidio o, per dirla meglio, lo stato sociale è necessario come soluzione-ponte, ma non può sostituirsi strutturalmente al lavoro come creatore di ricchezza.La sinistra si trova chiamata a battersi su diversi fronti: quello politico interno (dove con interno intendo sempre più “europeo” e sempre meno “italiano”), quello industriale nei confronti delle associazioni datoriali, ma anche quello di coscienza nei confronti della sua stessa base sociale.
Alessandro Zabban
Sussidistan è il neologismo che riassume la crociata della nuova Confindustria contro le misure di buon senso del governo prese per affrontare gli effetti economici più drammatici del lockdown ed evitare quelle tragedie individuali e tensioni sociali che molti paventavano potessero sconvolgere il Paese già da settembre. Confindustria, poco interessata a questi aspetti, non era contraria agli aiuti di Stato ma voleva che i fondi venissero dati solo agli imprenditori, gli unici capaci, a suo dire, di poterli usare bene. In un Paese come l’Italia che da anni ha sacrificato i diritti dei lavoratori sull’altare della competitività delle aziende e dove si insegue la deflazione salariale (diminuzione degli stipendi) per permettere alle imprese di poter esportare di più, le pretese di Confindustria appaiono del tutto surreali e lontane dalle reali esigenze del Paese che sono quelle di invertire completamente la rotta rispetto alle politiche economiche degli ultimi decenni. Proprio questo periodo storico ci conferma ancora una volta che il benessere delle imprese non coincide affatto con quello della società. Confindustria insegue ovviamente i propri interessi, serve dunque una politica di sinistra incisiva che orienti le priorità del Paese verso un modello di sviluppo diverso dall’ “aziendistan” attuale.
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Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.