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Women's_March_Washington
9 Marzo 2020

Transfobia, progressismo reazionario e fallacie del discorso tra sesso e genere

Joachim Langeneck Diritti

È ormai da qualche anno che l’opinione dei paesi anglosassoni (e, gradualmente, anche di vari stati europei) è divisa sulla questione dell’integrazione delle persone transgender. Nonostante quanto si potrebbe ipotizzare sulla base dell’esperienza in Italia, i principali detrattori dell’inclusione non sembrano essere uomini benestanti di mezza età.
Qualche mese fa abbiamo assistito all’affascinante spettacolo della popolare scrittrice J. K. Rowling che pontificava contro il licenziamento di un’impiegata a causa delle sue opinioni non allineate con il pensiero dominante della comunità LGBT+. Salvo scoprire che l’impiegata in questione non è stata licenziata – non le è stato rinnovato il contratto, il che è non marginalmente diverso – e non tanto a causa delle sue opinioni, quanto delle azioni che da dette opinioni derivavano, tipo rifiutarsi di riconoscere l’identità di genere dei suoi colleghi di lavoro e trattarli di conseguenza.
Questa settimana il Guardian, giornale che nel chiedere (con britannica educazione) supporto finanziario si autodefinisce “progressista e indipendente”, ha pubblicato un pezzo di opinione a firma Suzanne Moore che rappresenta un attacco ai diritti delle persone transgender ancora più grave, ed è il tornasole di una situazione decisamente inquietante.

Il pezzo d’opinione di Suzanne Moore è particolarmente subdolo perché parte con un titolo che non possiamo non trovare condivisibile, e mescola affermazioni decisamente poco confutabili con prese di posizione che sono espressione di una pura violenza transfobica, attraverso l’uso di una logica lasca ma in qualche modo suggestiva, soprattutto in considerazione della visibilità che questo pezzo è destinato ad avere, non su un pubblico conservatore che già sappiamo poco recettivo nei confronti delle istanze delle persone transgender, ma su un pubblico progressista che di dette istanze dovrebbe essere latore.
L’evento da cui parte Moore è la cancellazione dell’intervento della storica Selina Todd al 50° anniversario di una conferenza sulla liberazione femminile in virtù della sua appartenenza e del suo supporto a Woman’s Place UK, un’organizzazione che a suo vedere sosterrebbe il diritto delle donne ad avere spazi segregati (particolarmente, ma non esclusivamente, gabinetti e piscine pubbliche riservati a sole donne cisgender) in virtù del loro sesso biologico. Secondo Moore sarebbe questo il motivo per cui è categorizzata dal Labour Party come hate group, anche se probabilmente la sua ferrea opposizione al Gender Recognition Act, una legge che permetterebbe di autocertificare la propria identità di genere, potrebbe essere una motivazione più solida ed evidente.

Moore, tuttavia, non intende difendere il diritto di Todd ad intervenire a prescindere dalla propria appartenenza ad una specifica organizzazione – né è questo il punto d’interesse di questo commento. L’obiettivo di Moore è dimostrare che Woman’s Place non è un’organizzazione inneggiante all’odio, ma che le sue istanze sono legittime, e l’opposizione ad esse da parte del movimento LGBT+ (non tutto: proprio in questi mesi, nel Regno Unito è stato fondato un altro gruppo, chiamato LGB Alliance, che testimonia ulteriormente dello scollamento tra il movimento per i diritti trans e le altre componenti) è in definitiva una cessione ad una manipolazione patriarcale.
L’argomento centrale è l’oggettività del sesso biologico – visto come necessariamente binario e inalterabile, nonostante una sbrigativa frase di riconoscimento dell’esistenza di persone intersessuali – rispetto al genere, visto come un costrutto sociale. Non è necessario – ma è opportuno – ricordare che questa medesima obiezione al riconoscimento di identità transgender viene portata storicamente avanti da gruppi conservatori, che sovente associano estremismo religioso, idee politiche di destra e una sostanziale ignoranza riguardo gli aspetti minimi della biologia. Tuttavia, nel Regno Unito negli ultimi anni è principalmente il femminismo di sinistra ad averla abbracciata e diffusa.

Il sesso rappresenta un aspetto estremamente variabile nei sistemi biologici, e solo in una minima parte degli organismi va a definire tratti che vanno al di là della riproduzione. Nato come sistema che incrementa la variabilità di una popolazione di organismi, e quindi ne aumenta la probabilità di sopravvivere in condizioni avverse, in un grande numero di organismi non corrisponde nemmeno ad un reale aumento nelle dimensioni della popolazione: molti organismi unicellulari, in condizioni ambientali difficili, si limitano a scambiarsi una parte di materiale genetico, nella speranza di beccare una variante vantaggiosa, in una sorta di roulette russa al contrario. In molti casi si passa quindi ad una generazione che va incontro ad un evento di meiosi, che può condurre direttamente al gamete (la cellula deputata al rimescolamento genetico), o dare origine a un organismo pluricellulare, da cui verranno prodotti per mitosi i gameti.
Lo sviluppo dell’anisogamia (cioè della produzione di gameti di dimensioni differenti) è volto sostanzialmente a massimizzare la probabilità del loro incontro: se per ogni gamete grande (prodotto con una rimarchevole spesa energetica) ne produco tanti piccoli, magari mobili (prodotti ognuno con una minima spesa energetica), massimizzo la probabilità che si incontrino. Per convenzione, e per una categorizzazione precedente alla loro scoperta, amiamo definire gameti maschili i gameti piccoli e mobili, e gameti femminili i gameti grandi e immobili.
Si noti che l’esistenza di gameti maschili e gameti femminili non presuppone ancora l’esistenza del celeberrimo sesso biologico come suggerito da Moore: moltissimi organismi sono in grado di produrre sia gameti femminili, sia gameti maschili, contemporaneamente o in differenti momenti del loro ciclo vitale. Anche la distribuzione della produzione di gameti di diverso tipo in una specie può essere legata alla necessità di massimizzare il tasso riproduttivo: diversi pesci nascono con gonadi femminili, vivono in branchi con un unico maschio, e; alla morte del maschio, la femmina più grande cambia sesso. Altre specie preferiscono invece investire su femmine più grandi, dato che più grandi sono, più uova produrranno, e quindi avranno maschi che maturano diventando in seguito femmine. In altre specie ancora, non si ha un cambio di sesso, ma i maschi saranno molto più scarsi e feconderanno un alto numero di femmine – il che si ripercuote sulla loro struttura sociale.
Ci si potrà chiedere a questo punto, cosa ci interessa della riproduzione dei parameci, dei vermi, dei pesci o dei leoni per definire cosa sia il sesso nell’essere umano. Una risposta brutale potrebbe essere che è esattamente quello che ci interessa dell’omosessualità nelle cocorite, nei cigni e negli arieti, cioè assolutamente niente, dato che l’omosessualità umana è il risultato di un processo interpretativo sociale. Per il sesso biologico, la questione è circa la medesima: il dato oggettivo è un’allocazione della produzione di gameti a differenti individui, che si porta dietro alcuni tratti sessuali secondari, che peraltro vedono un’interpretazione differente a seconda delle società umane.

Questo vuol dire che tutte le considerazioni di Moore sono prive di fondamento? Ovviamente no. Il sesso biologico – tratti sessuali primari e secondari – nelle società umane è sempre vincolato ad una sua lettura culturale e sociale. Questa interpretazione del sesso biologico alla luce di un sistema culturale, sociale ed esistenziale è esattamente ciò che prende il nome di “genere”; ed è interessante che, pur riconoscendo l’esistenza di un genere dipendente dal sistema socio-culturale di riferimento, sia Moore stessa a porre l’accento sulla riproduzione come elemento fondante dell’identità femminile – di nuovo, un’interpretazione di un dato biologico, non il dato biologico in sé. Ed è da rimarcare come il diritto riproduttivo, che Moore correttamente identifica come uno dei sistemi di oppressione patriarcale storicamente più gettonati, abbia coinvolto anche uomini omosessuali e persone transgender (queste ultime spesso oggetto di terapie dal sentore innecessariamente punitivo che hanno come effetto “collaterale” la loro sterilizzazione).
La lettura transgender, banalizzata da Moore, sposta sì l’accento dal sesso biologico al genere, ma certamente non rinnega la natura culturale, sociale e talora politica del genere in nome di una sua conclamata oggettività, e sicuramente non ha come obiettivo la negazione dei diritti ottenuti dalle donne cisgender.
Pure, Moore sostiene che esprimere posizioni contrarie al riconoscimento del genere delle persone transgender – e incidentalmente, costringerle a muoversi in spazi che per loro non sono affatto sicuri – deve essere interpretato alla stregua di una difesa della sicurezza delle donne – giungendo, con una logica alquanto fumosa, a chiamare in causa Roman Polanski, senza proporre un esplicito paragone tra il regista, colpevole di violenza sessuale su una minorenne, e il movimento LGBT+, ma lasciando ai lettori e alle lettrici la possibilità di fare autonomamente il collegamento.

La conclusione è il punto più basso dell’articolo. Dopo aver rivendicato il diritto delle donne cisgender a spazi segregati in nome della loro sicurezza – avendo lasciato trasparire un totale disinteresse nei confronti di altre categorie oggetto di violenza maschilista – Moore pone un ultimatum alla comunità LGBT+: un appoggio sostanziale alla richiesta di spazi separati sulla base del sesso biologico – con le conseguenze problematiche per donne e uomini trans – o una poco definita, ma francamente angosciante minaccia di ritorsioni che si conclude con “siamo più di quel che pensate”. Da un lato Moore fa leva sul supporto del movimento LGBT+ in nome della comune situazione di vittime del patriarcato, ma dall’altro lato considera esplicitamente le istanze del movimento LGBT+ come subordinate e in ultima analisi irrilevanti.
Il tutto dalle colonne di un giornale “progressista” letto principalmente da persone di sinistra, ma che non ha apparentemente problemi a condividere delle posizioni reazionarie e repressive, oltre che basate su una fallacia scientifica. L’idea che l’alternativa al maschilismo e al patriarcato sia questa, francamente, fa venire la pelle d’oca: una reale opposizione ad una società maschilista non può partire dalla costruzione di ulteriori gerarchie, di ulteriori catene di oppressione, e in definitiva dallo scaricare, con feroce noncuranza, i mali della società sulle persone più a rischio.


Immagine di Ted Eytan (dettaglio) da Wikimedia Commons

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Joachim Langeneck

Joachim Langeneck, assegnista di ricerca in biologia presso l’Università di Pisa, nasce a Torino il 29/11/1989. La sua ricerca si concentra principalmente sullo studio di processi evolutivi negli invertebrati marini, con sporadiche incursioni nell’ambito dell’etica della scienza, in particolare a livello divulgativo.

archivio.ilbecco.it/autori/itemlist/user/15672-joachim-langeneck.html
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