Un anno dopo L’Ickabog J.K. Rowling torna in libreria con una fiaba di Natale, «The Christmas Pig»[1], solo apparentemente più infantile e meno complessa (ben 58 capitoli in circa 300 pagine di scritto) del predecessore.
Non stupisce che la genesi del racconto abbia impiegato anni[2], denso com’è di rimandi alla cultura letteraria, inglese e internazionale, così come alla celebre saga di «Harry Potter». In realtà, essendo rimasto un unicum nella sua produzione il romanzo sociale realista («Il seggio vacante»), nella dimensione fantastica vediamo ulteriormente approfondirsi, rispetto alle sue precedenti pubblicazioni, l’articolazione nella contemporaneità di quel peculiare socialismo cristiano che costituisce il filo conduttore ideologico dell’autrice.
Il tema, come esplicitato dal commento dell’edizione italiana, è «l’infanzia di fronte al grande mistero della perdita». Prima di abbracciare la conclusione che «la perdita fa parte della vita»[3], e di ritrovare in tale consapevolezza lo stimolo alla riappropriazione di sé tramite l’azione, il protagonista Jack passa attraverso l’itinerario di un ultradimensionale viaggio dantesco.
Jack e la perdita
Jack – nome ipertipico del folklore inglese, da Jack-o’-Lantern a Jack e la pianta di fagiolo – è un bambino di sei anni coinvolto suo malgrado nella formazione di ciò che i tedeschi chiamano Patchworkfamilie, un nuovo nucleo familiare in cui i coniugi includono figli avuti da precedenti relazioni. Questo ciclo di distruzione e creazione è ironicamente richiamato dalla madre di Jack quando, accettando di fasciare Angelo Rotto[4] (una decorazione natalizia semidistrutta dalle fauci del cane domestico), commenta «sembra adatta a questa famiglia, direi».[5]
Nonostante la narrazione sia in terza persona, l’ottica che essa adotta è chiaramente quella di Jack, che chiaramente è molto intelligente rispetto ai suoi coetanei – ricevendo dai genitori la notizia della loro separazione finge di accettarla perché comprende che ciò è quanto essi si aspettano da lui[6] – ma al tempo stesso profondamente solo e senza altra prospettiva che soffrire il suo dolore solitariamente («trovò un angolo dove nessuno l’avrebbe disturbato»[7]) o al massimo in compagnia di un simulacro: il Maialino di Natale, un animaletto di pezza meglio noto come Mimalino (crasi infantile di “mio maialino”) e quindi con il diminutivo Lino.[8] Il «Jack piangeva contro il corpo soffice del maialino»[9] è la versione infantile del leopardiano «io doloroso in veglia / premea le piume».[10] Inoltre Jack è anche molto stressato dai cambiamenti: quando la madre sposa il nuovo compagno Brendan egli lo accetta senza particolari problemi, «ma comunque non capiva perché le cose non potessero restare com’erano»[11].
Tramite questo nuovo matrimonio entra nella vita di Jack la vera molla narrativa: Holly Macaulay, la figlia del primo matrimonio di Brendan, di cinque anni maggiore di Jack e promettente ginnasta con ambizioni olimpiche. Molto popolare a scuola, Holly in realtà non solo subisce con rancore la separazione dei propri genitori, ma è anche orientata a lasciare il mondo della ginnastica per dedicarsi a una nuova passione musicale, orientamento che però cozza contro le intenzioni della madre Natalie. Dietro l’apparente splendore della sua vita si cela quindi un vuoto e una stanchezza di se stessa che la porteranno a gettare Lino dal finestrino durante un viaggio in autostrada.
Naturalmente il dolore straziante per la perdita di questo simulacro[12] non viene compreso dagli adulti, che nella loro inossidabile estraneità credono di poter risolvere la cosa semplicemente comprando un nuovo maialino di pezza, come se un oggetto colmato di significati vissuti potesse essere sostituito con uno solo materialmente identico. Il patetico tentativo fa sì che « Jack perse la testa. Pensavano che un pupazzo nuovo potesse essere come Lino, il che dimostrava quanto poco avevano capito»[13]. Il tema è già stato trattato, ma dal punto di vista di un giocattolo smarrito (l’orso Lotso Grandi Abbracci), nel film di animazione «Toy Story 3» (2010).
Se in quest’ultimo caso l’abbandono innescava una spirale di astio e rancore – con il vecchio Lotso che probabilmente simboleggiava le fasce anziane della «working class bitter, clinging to guns and religion» citata da Obama nel 2008 – nella Rowling è invece il potere dei buoni sentimenti a determinare il corso degli eventi. Come l’amore materno aveva salvato l’infante Harry Potter dalla morte, così stavolta l’amore di Jack per Lino si trasferisce al rimpiazzo (“Nat”, da Natale[14]), rendendolo immediatamente cosciente di ogni sentimento del proprietario.
Per fargli recuperare Lino, Nat si ostina dunque, contro la volontà di altri oggetti animati (“Vivificati”[15], nel testo), a condurlo nella Terra dei Perduti[16], una dimensione sotto-terrena nella quale finiscono le cose smarrite nella Terra dei Vivi[17].
La Terra dei Perduti e Fuori Posto
La Terra dei Perduti è costituita da un’ampia distesa desertica nota come Landa degli Illacrimati[18], dove vagano tutti gli oggetti Di Troppo[19]: cose perdute che nessun umano ha più interesse a recuperare (oggetti di scarso valore, ma anche cattive abitudini). In questa Landa sorgono tre città, distinte sulla base del valore che gli umani assegnano alle cose smarrite: Usa e Getta[20] per gli oggetti che non vengono ricercati, ma che se trovati potrebbero essere considerati utili; Dove Sarà Mai[21] per gli oggetti che gli umani stanno cercando perché ne hanno realizzato l’importanza, materiale o sentimentale; la Città dei Rimpianti[22] per le cose di altissimo valore il cui smarrimento procura agli umani grande afflizione. Le tre città hanno ciascuna un limitato autogoverno, ma il vero signore della Terra dei Perduti è il Perdente[23], un colossale umanoide costituito dalla parte materiale degli oggetti illacrimati, dei quali si nutre dopo averne succhiata la parte Vivificata.
Inizialmente, in realtà, tutte le cose finiscono in Fuori Posto[24]: qui si trovano gli oggetti lasciati in un luogo sbagliato e che il proprietario non si è ancora accorto di avere smarrito. Da qui gli oggetti sono, dopo un certo lasso di tempo, smistati nelle quattro destinazioni.
Molti aspetti della Terra dei Perduti possono richiamare l’universo concentrazionario nazista: ad esempio lo smistamento (“Allocazione”[25]), che divide la popolazione in categorie più o meno degne; il supremo potere tirannico di cui è investito il Perdente, che fin dal nome può essere inteso come un richiamo a Hitler; la presenza di corpi scelti che fanno rispettare l’ordine – i Modulatori[26], tutti oggetti aguzzi o minacciosi (forbici, temperini, coltelli…), e la Squadra Catture[27], che ricordano rispettivamente la Gestapo e le SS.
In realtà la Terra dei Perduti è una metafora connotata da una ulteriore modernità rispetto al nazismo. Ad esempio, si può essere Fuori Posto in base a categorie determinate dalla tirannia – i vari “antisociali” del regime nazista – ma lo si può essere anche per categorie scelte da un’altra tirannia, come quella del mercato o finanche quella delle relazioni sentimentali. Emblematica dei tanti uomini e donne che non riescono a essere imprenditori di se stessi e a costruirsi, se non il successo capitalistico, perlomeno la sua immagine, è la frase di un ombrello «vecchio e nero» (forse simbolo di una stabilità economica britannica che non esiste più?) che sospira «Stavolta credo proprio che sia finita. Mi ha lasciato sul treno. Probabilmente se ne comprerà un altro…»[28] (qui è difficile non pensare a una canzone dello sciopero minerario del 1984-85, «Coal not dole»: “They’ll never realise the hurt / they do to them they treat like dirt”).
Elementi contemporanei vi sono anche in quella che sembra l’esecuzione di un condannato, che interrompe temporaneamente l’Allocazione: un coniglietto di pelouche azzurro, sporco all’inverosimile, sadicamente tormentato dai Modulatori (perforatrice e forchetta) fin quando non viene gettato in un orrendo buco nero. Sono rivelatrici le parole con cui i suoi aguzzini lo accompagnano al supplizio: «piantala di fare scenate davanti a tutte queste Cose perbene che hanno proprietari Di Sopra[29]! […] Nessuno ti vuole. Non importa a nessuno se ti sei perso. Sei Di Troppo».[30] Serve altro per ricollegare la sua condizione a quella dei pazienti di salute mentale e/o (le due cose certo non si escludono) a disoccupati e lavoratori in esubero, gente che non ha valore perché non ha proprietari “Di Sopra”?
Usa e Getta
Nella Landa degli Illacrimati «tutto intorno era brullo e deserto: una distesa pietrosa che andava avanti all’infinito, con solo qualche arbusto spinoso qua e là»[31]. Ancora una volta, è l’atmosfera del canto dei deportati «Die Moorsoldaten» il cui tema la Rowling aveva già toccato nella canzone degli Ickabog. «È quando a nessun umano importa niente se ti sei perso»[32]. Nella città di Usa e Getta forse convergono anche echi dei campi staliniani: l’atmosfera del saloon ricorda quella dei lavori forzati ne «Lo scherzo» di Milan Kundera, mentre l’inciso “a nessun umano importa niente” sembra il «morì o scomparve chissà dove, numero senza nome di qualche irrintracciabile elenco, in uno degli innumerevoli campi di concentramento» («Il dottor Živago») o la poesia di Daniil Charms «Un tizio uscì di casa». D’altro canto, tutta l’ambientazione è basata sul Far West montagnoso del Nordamerica, a testimonianza di una panoramica della desolazione e della solitudine basata su una pluralità di riferimenti storici e sociali.
Dove Sarà Mai
La zuccherina attrattività di “Dove Sarà Mai?” («Qui tutto era pulito e curato. Le case coperte di neve erano piccoline, graziose e comode. Sembravano fatte di pan di zenzero, con le porte dipinte in colori diversi. Le strade erano state spazzate e le luci natalizie splendevano sugli abeti»[33]) nasconde una realtà intrisa di brutalità, quella che Churchill definì «la morsa della Gestapo e tutto l’odioso apparato del dominio nazista»[34]. Questo abbinamento fra un aspetto di gradevolezza estremamente affettata, tanto da divenire stucchevole, e una realtà di persecuzione e tortura è già stato usato dalla Rowling in «Harry Potter» per il personaggio di Dolores Umbridge. Ma, soprattutto, si fonda su una precisa realtà storica: le pulite casette tedesche, con roseti curati, che l’esercito sovietico si trovò di fronte al varco del confine nel febbraio 1945. Il tema è stato usato anche in altri prodotti di una cultura di massa solo apparentemente frivola: ad esempio, l’amabile vecchietto Franz Gutentag (“buon giorno”), che vende burattini ai bambini ma è in realtà il brutale aguzzino delle SS Franz Schlechtnacht (“mala notte”) («Family Guy», stagione 9 episodio 11). Le Catture che perlustrano la città sono qualcosa ad un tempo di più raffinato (Lente d’Ingrandimento) e di più spietato (lo scarpone chiodato Pestone) dei Modulatori; si tratta di qualcosa già visto nell’ultimo libro di «Harry Potter» (i Ghermitori), come già vi si era visto il tòpos della salvezza attraverso una galleria, con rimandi tanto alla storia della Resistenza europea quanto alla underground railway dell’antischiavismo statunitense.
La Città dei Rimpianti
Al vertice della tripartizione delle cose perdute si trova la Città dei Rimpianti, i cui modelli sembrano essere la Città di Smeraldo de «Il mago di Oz» e Venezia, specialmente quella più fiabesca (dai «Racconti di Hoffmann» messi in opera da Offenbach a «La gondola fantasma» di Gianni Rodari). La struttura ternaria della Commedia dantesca è solo apparente: nel nostro caso, infatti, a un aumento di status corrisponde un aumento di malvagità e abiezione nella gestione del potere, esercitato con buonsenso e rassegnazione dallo sceriffo di Usa e Getta, con avida grettezza dal sindaco di Dove Sarà Mai e con furore da Potere, il re della Città dei Rimpianti (che ricorda la Regina di Cuori di «Alice nel Paese delle Meraviglie»). All’opposto, è proprio nella schiera disperata dei Di Troppo che si trovano singolari figure di eroi: ad esempio Coniglietto Azzurro[35] che dichiara: «Nessuno mi può trovare, ormai. Appartengo al Perdente, ma Angelo Rotto e io abbiamo deciso di affrontare la fine insieme, e questo un po’ mi consola»[36], e che si offrirà in sacrificio per consentire a Jack e al suo compagno di persistere nella missione. I rimandi qui sarebbero molteplici e sfaccettati: Katow de «La condizione umana», «Il generale Della Rovere», Sydney Carton del «Racconto di due città» (quest’ultimo del resto presente anche nel Severus Snape potteriano). Ma è il filone cristiano di JKR a definire l’esito dell’abbandono di Coniglietto Azzurro all’autosacrificio: egli viene ritrovato Di Sopra all’ultimo istante, ri-assunto al cielo della Terra dei Vivi in un evidente parallelismo con la Resurrezione.
Il Perdente
Nella fase finale si accentuano i riferimenti rowlinghiani al nostro tempo. Già la situazione politica della Città dei Rimpianti, con Speranza invano messa agli arresti da Potere e questi che invalida l’esito di una votazione da egli stesso convocata, rimanda alla questione dei diritti umani fatta valere dall’Occidente nei confronti di alcuni Stati dell’Europa orientale e dell’Asia. Ma la figura del Perdente è quella più oscura e che più interroga sul suo vero significato. Nel libro lo stesso Babbo Natale non riesce a fornirne una genesi certa: forse creato involontariamente dall’avidità degli umani, forse invece sempre esistito e da sempre divorato dall’invidia per gli umani. Se le sue condizioni di vita lo accomunano al Polifemo omerico, il suo rapporto perverso con le cose richiama, da un lato, il personaggio di Voldemort che aliena se stesso negli Horcrux rinunciando all’integrità della propria anima, dall’altro, il disneyano re dei Bandar-log bramoso di conoscere il segreto del fuoco («Dimmi, bambino, come mai gli umani amano tanto le Cose?»[37]).
Il participio presente “Perdente” s’intende in funzione sia transitiva sia intransitiva: egli è l’entità che presiede allo smarrimento di tutte le cose, ma anche lo sconfitto per eccellenza. Sotto questo aspetto egli simboleggia evidentemente la morte – il succhiar via la vivificazione «è quella che gli umani chiamano morte»[38]. Completa è quindi l’analogia con l’affermazione evangelica sulla tomba di James e Lily Potter, con cui J.K. Rowing suggella il fondamento spirituale della saga: «L’ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte» (molto simile alle frasi di San Paolo in 1 Corinzi 15, 26).
Alla fine, infatti, tutte le cose prigioniere del Perdente e in attesa di essere divorate vengono liberate grazie all’intercessione della Speranza: in questo caso, la speranza in una nuova vita che sarà loro consegnata dal riciclaggio. La furia del Perdente nel non rassegnarsi a questa liberazione di massa simboleggerebbe dunque i settori mortiferi che ostruiscono la transizione ecologica del paradigma industriale, in primis le lobby degli idrocarburi.
Una terapia della narrazione
Con l’immancabile lieto fine – che ancora una volta accomuna il libro alle altre opere fantasy dell’autrice, separandolo invece nettamente da «Il seggio vacante» – viene acquisita un’ulteriore consapevolezza. Nat, che ha spinto Jack dapprima a voler riportare Lino nella Terra dei Vivi e poi a dare una svolta del tutto nuova al suo rapporto con il maialino di pezza, non è un rimpiazzo, non è un maialino che ne sostituisce un altro. Incarna invece la stessa forza che un essere umano trova in se stesso dopo aver subìto una grave perdita. Se così non fosse, infatti, se Nat fosse soltanto un rimpiazzo, egli non sarebbe mai stato in grado di sentire immediatamente, fin dal primo momento, tutti i particolari del rapporto fra Jack e Lino.[39] Rispetto al Voltaire dell’apologo «I due consolati», la guarigione dal dolore qui non è affidata esclusivamente al tempo in quanto tale, ma al modo in cui lo si impiega. Visto che gli indizi fisici al termine del viaggio tendono tutti a confermare la realtà effettiva di quanto narrato, resta il dubbio su come debba essere questo impiego: un lavoro su se stessi o la costruzione di un mondo immaginario? Probabilmente, come nella massima attribuita a Tarantino secondo cui un bambino che adora i film violenti non diventerà un uomo violento ma semmai un regista di film violenti, le due vie non si escludono. In questo senso l’ultima opera di J.K. Rowling è una celebrazione del potere terapeutico della letteratura e, in generale, della narrazione.
Tutte le citazioni sono tratte dalla traduzione italiana di Valentina Daniele: J.K. Rowling, Il Maialino di Natale, Salani Editore, Milano 2021. ↑
Ivi, p. 315. ↑
Ivi, p. 274. ↑
- Broken Angel nell’originale inglese. ↑
Ivi, p. 309. ↑
Ivi, p. 20. ↑
- Ivi, p. 25. ↑
Nell’originale inglese, The Pig che diventa Dur Pig nella parlata infantile e quindi DP. ↑
Ivi, p. 20. ↑
G. Leopardi, La sera del dì di festa, vv. 42-43. ↑
J.K. Rowling, Op. cit., p. 34. ↑
Ivi, pp. 50-51. ↑
- Ivi, p. 54. ↑
CP, da Christmas Pig, nell’originale inglese. ↑
Alivened nell’originale inglese. ↑
Land of the Lost nell’originale inglese. ↑
Land of the Living nell’originale inglese. ↑
Wastes of the Unlamented nell’originale inglese. ↑
Surplus nell’originale inglese. ↑
Disposable nell’originale inglese. ↑
Bother-It’s-Gone nell’originale inglese. ↑
City of the Missed nell’originale inglese. ↑
Loser nell’originale inglese. ↑
Mislaid nell’originale inglese. ↑
- Allocation nell’originale inglese. ↑
Loss Adjusters nell’originale inglese. ↑
Capture Team nell’originale inglese. ↑
J.K. Rowling, Op. cit., p. 79. ↑
Up There nell’originale inglese. ↑
J.K. Rowling, Op. cit., pp. 93-94. ↑
- Ivi, p. 97. ↑
Ivi, p. 101. ↑
Ivi, p. 137. ↑
https://winstonchurchill.org/resources/speeches/1940-the-finest-hour/we-shall-fight-on-the-beaches/ ↑
- Blue Bunny nell’originale inglese. ↑
J.K. Rowling, Op. cit., p. 182. ↑
- Ivi, p. 297. ↑
Ivi, p. 193. ↑
Ivi, p. 267. ↑
Immagine di copertina: dettaglio della copertina di The Christmas Pig
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.