Prologo
Dove è finita l’innocenza? Possiamo difendere la purezza delle persone dal male che ci circonda? In questo mondo così materiale, tecnologico, razionale, ha senso parlare di Bene e Male? Forse no. Siamo sufficientemente maturi e colti per non inciampare nelle trappole della morale. L’uomo è al di sopra di tutto e tutti, la scienza ci aiuta a vivere meglio e più a lungo rispetto ai secoli scorsi, possiamo essere in contatto col mondo senza uscire di casa, abbiamo tante cose belle, appaganti, negli scaffali delle nostre vere cattedrali (i centri commerciali anche se noto una certa crisi nel settore)… Abbiamo capito che la morale, l’etica, sono cose noiose, vecchie, pleonastiche. Come aver fede in un dio o impegnarsi nel sostegno di una ideologia politica. Troppo sforzo, meglio godersela la vita con leggerezza. Non è una cosa brutta, anzi a volte è necessaria darsi alla leggerezza, lasciarsi cullare dalla felicità anche una di seconda mano, serve ed è utile perché ci permette di andare avanti, osservare con distacco e nella giusta prospettiva la vita e anche il dolore.
La leggerezza è tutto tranne che superficialità. Per cui comprendo la ricerca di essa, il fatto di non voler scontrarsi con la critica e il giudizio, persino che si eviti sbuffando ogni discorso che tiri in ballo l’etica e la morale.
Che ne sappiamo noi di cosa è giusto o sbagliato? Di cosa è male e bene? Ma anche se dovessimo saperlo, come si applicherebbe il bene nella nostra società? E quando si fanno queste distinzioni così rigide chi ci assicura di star dalla parte dell’innocenza e della bontà? Tutto è relativo, individuale, legato al nostro vissuto, alle nostre idee. Anzi, no. Così sto dando peso e profondità al genere umano, che a mio parere (almeno da una trentina di anni, vivacchia di fondamentalismi economici-sociali legati al libero mercato, di un bisogno smodato di dover render reali ogni piccola e banale trasgressione per sentirsi fuori dal gregge, importanti, quasi da invidiare. Ci si sballa per difenderci ad oltranza dalla paura di prender in mano la vita, il futuro, le responsabilità, in età in cui certe cose più che irriverenti sono imbarazzanti. Ci caschiamo tutti, è l’epoca dell’eterna gioventù.
Tuttavia se volessi abbandonare questa mia idea stantia, conservatrice, fuori tempo massimo della società, potrei anche vederci del buono. Ad esempio, il garantismo è un modo di affrontare la questione giustizia con rigore, razionalità, e umana partecipazione. Siamo tutti esseri umani e meritiamo tutti di esser tratti decentemente. Non possiamo condannare un uomo senza certezza o solo perché nutriamo pregiudizi e rancore nei suoi confronti. Un discorso lucido e morale, che tocca i nervi scoperti della nostra nazione e del mondo intero. Ci vuole una grande forza per essere non violenti o garantisti. Mia moglie è una di queste persone, l’aiuta il suo essere cattolica osservante e praticante, a lei non posso negare un plauso. Ha la fede che la sostiene.
Io invece vedo un mondo di macerie, dolore, un posto in cui vittima e carnefice quasi non si distinguono più. Trovo impossibile e ingiusto perdonare, non ho questa forza. Sopratutto in questi anni mi sento quasi schiacciare dalla sofferenza che provano le vittime, tremo, il cuore accelera i battiti e vorrei urlare di rabbia. Ne parlo spesso anche in terapia e lo sto ribadendo su questo post che dovrebbe analizzare due libri magnifici, due pietre miliari di un genere che adoro.
Perché a volte siamo schiacciati da cose radicate nel nostro animo profondo, successe in un tempo e spazio che magari confondiamo con altre immagini e situazioni, talvolta ci si sente soli e piccolissimi contro una società luccicante e accogliente, felice e realizzata, ma solo in superficie. Dietro alla nostra gioia di consumatori, alle trasgressioni di gente libera che fa quello che gli pare e come pare, ci sono le tenebre. Dietro al nostro mondo che garantisce, accoglie, che crede nel progresso e nel mercato, esiste solo il vuoto.
A volte mi sembra di poterlo toccare questo vuoto, e di poter sentir sussurrare le tenebre.
Quello che mi fa sentire forte, fiducioso, vivo, è la certezza che possiamo far la differenza, e la facciamo combattendo per le giuste cause, pregando il dio della misericordia e difendendo l’innocenza e la purezza di gran parte degli esseri umani dalla malvagità, crudeltà, ferocia, di chi ha forza e potere dalla sua parte e la usa per distruggere la vita dei più deboli. Io credo che chi faccia questo non possa sventolare nessun tipo di diritto.
Per questo amo un certo tipo di letteratura. Non so come definirla? Nera? Forse è termine più appropriato. Nera è la visione del mondo, un posto in cui bestie sadiche mietono vittime con efferata crudeltà. Pagine piene di dolore e violenza fisica. Entrambi descritti nei minimi particolari, sfociando a volte nel gore e nello splatter, potremmo criticarli e definirli morbosi, manipolatori, questi libri e questi racconti forse lo sono. Ma non è morboso vantarsi delle proprie avventure galanti entrando nei minimi particolari sperando che ci considerino dei novelli Rocco Siffredi, invece che dei semplici ometti di provincia? Non è morboso voler mostrare e ostentare la potenza economica che accumuliamo? E non è morboso pensare di aiutare gli altri a esser felici rendendo la loro vita come una sorta di azienda piena di successi e gratificazioni? Per me lo è. Morboso, amorale, sciocco.
Questi libri parlano alla nostra parte istintiva (di cui spesso abbiamo paura e neghiamo l’esistenza,) mostrando come la legge e la giustizia, cardini fondamentali della nostra società, a volte non bastino. Vuoi perché la vittima non aveva una vita irreprensibile e allora si pensa che in fondo se la sia andata a cercare, vuoi perché la sua famiglia non abbia abbastanza soldi per pagar un avvocato, esistono saggi scritti da giudici che dicono chiaramente come la giustizia sia roba da ricchi. Però è importante vivere in un paese che offra diritti, che non sprofondi nella legge del taglione. Perché questo porterebbe solo a maggior danni, far altre vittime innocenti. Ricordiamocelo sempre: non ci sono colpevoli fino a quando non si ha la certezza della colpa.
La letteratura nera indaga nelle zone d’ombra dove queste cose belle e importanti falliscono o non arrivano. Indaga la deriva della mente e dell’anima umana. Narra la perdizione, narra lo smarrimento di fronte alla scomparsa di una persona che amiamo o di un essere vivente innocente e debole come un bambino. Sopratutto ci rammenta che il carnefice ( pur con tutto il dolore che a sua volta ha subito nella sua vita) non ha mai un briciolo di pietà nei confronti della vittima. Si torna a un mondo pre-civile, si torna alle parole durissime dell’antico testamento. Ma non c’è salvezza o redenzione anche se possiamo pensare che dopotutto il cattivo è stato eliminato. A volte la strada per difendere l’innocenza è peggiore rispetto a quella di chi pratica il male.
In un’epoca in cui non ci si pone domande scomode, in cui ci accontentiamo di esser clienti a perenne caccia di qualche oggetto che ci doni la gioia, la letteratura nera è un viaggio fondamentale verso la parte oscura di noi. La ricerca ostentata della luce, dell’innocenza, l’ossessione per la difesa del bene compiendo di fatto il male, l’abuso giustificato del machiavellismo dei poveri, ci serve per capire chi siamo e per sfogare la nostra rabbia quando le cose non vanno come dovrebbero e l’ingiustizia trionfa.
Block ed Ellroy: Matt Scudder e Lloyd Hopkins cavalieri solitari nella valle della morte.
Ci eravamo occupati di Lawrence Blcok in un post di qualche tempo fa. A proposito di come la letteratura noir/trhiller, generalmente quella legata a una narrativa popolare e di genere, sia in grado di descrivere la caduta della società occidentale e le divisioni di classe. Ci torniamo di nuovo per occuparci un’altra volta di Matt Scudder uno dei tanti personaggi creati da Block nella sua lunghissima carriera di solido artigiano della parola.
Non è un caso che parli di costui come di artigiano della parola, in quanto nei suoi romanzi i dialoghi sono importanti. Sono spesso lunghi, pieni di divagazioni che arricchiscono la storia e i personaggi. Inoltre nei lavori che ho avuto modo di leggere c’è una sorta di evoluzione del personaggio di Scudder, protagonista di una saga che conta ben 18 volumi, qualcuno in più, qualcuno in meno. In questi libri troviamo i alcune ripetizioni che possiamo considerare come temi importanti per l’autore e un contributo importante alla letteratura nera. Block ci mostra una città, New York, in cui è facile perdersi o diventare prede. Ci porta a toccar con mano la miseria dei quartieri poveri, di vite abbandonate nel degrado morale.Gli assassini dei suoi romanzi sono dei sadici con devianze sessuali. Le vittime hanno tutte una certa innocenza, non ci viene risparmiato il loro dolore, l’umiliazione e la paura. Scudder avrebbe un ruolo rilevante di vendicatore, perché poi questo tipo di narrazione popolare punta molto su questo tema tanto ancestrale quanto scomodo. Questo succede anche nel bellissimo Un’altra notte a Brooklyn romanzo che potrebbe esser quasi un seguito de La Perdizione. In questo ottimo thriller dalle tinte nerissime si narra l’indagine che Scudder fa per incastrare due feroci assassini, i quali rapiscono giovani donne le violentano e le fanno a pezzi quando ancora sono in vita. Il nostro eroe accetta l’incarico lavorando per un trafficante di droga a cui hanno ammazzato la moglie. Ecco, Block a differenza di altri autori del genere pur avendo ben chiaro cosa sia il male e cosa l’innocenza, ama mescolare le carte e confondere, disorientare il lettore. Immaginate un giustizialista, un forcaiolo che si ritrova a leggere un libro in cui un “giustiziere” si fa pagare da un criminale benestante. Saltano tutti gli ingranaggi di una rassicurante visione della vita, in cui cattivi da una parte e buoni dall’altra. Visione che, non lo nascondo, è anche mia, in quanto le sfumature penso siano solo degli alibi per scappare dal dover prendere una posizione nella vita. Però come sono messe tra le pagine da Block non servono per sollevare ogni discorso etico o morale, al contrario pesano come macigni, ci chiedono una risposta e una lunga analisi su cosa pensiamo sia la giustizia.
Scudder in questo libro si muove tra legalità e criminalità, è sobrio, sta migliorando come persona, si pone domande su quanto abbia sbagliato a far il boia nel suo passato. Cerca giustizia e redenzione senza crisi mistiche. Intorno a lui la sua compagna, una squillo, il giovane T. J. un ragazzino di colore che vive in strada e lo aiuta nelle indagini, e un trafficante lontanissimo dalla visione feroce di tanti telefilm, qui abbiamo un uomo innamorato, uno che pensa di esser solo un uomo d’affari, Block ci spinge a umanizzare e veder come persone questi criminali e sbandati. Tuttavia non fa sconti ai sadici assassini e pervertiti di ogni sorta. Uomini e donne che appartengono all’alta società, come in La Perdizione, o terribilmente comuni come i due seviziatori di questo romanzo. La letteratura nera svela il marcio non dove esiste già, ma nel posti rispettati e rispettabili, tra persone protette dal loro denaro o dall’anonimato. Scudder per fermare il male, ancora una volta usa un altro tipo di male. Come ne usciamo? Per tutta la lettura proviamo pena ed empatia per le vittime, per gli amici di Matt, soffriamo per il dolore che il trafficante prova e per la debolezza del fratello alcolizzato, proviamo rabbia e desiderio di morte per i colpevoli, ma l’autore pur accontentando sempre la nostra naturale e umana voglia di vendetta, non ci concede sconti. I suoi libri ci dicono che per fermare la malvagità devi scender a patti con essa. Ti indica dove sta il bene e il male, ma allo stesso tempo ti spinge a veder quanto sia nero di morte e sadismo anche il tuo senso di giustizia vendicativo.
Questo narrare per apparenti contraddizioni, questo sfidare la morale pur essendo morali(sti) è tipico del genere ed è per me il suo punto di forza. La Sellerio ha pubblicato questo romanzo e anche l’Ottavo Passo, io vi suggerisco di non perderli.
Se Scudder è il classico detective da hard boiled, ex sbirro e alcolizzato, Lloyd Hopkins è un collega assolutamente diverso. Come diversi sono gli stili e gli intenti di Block ed Ellroy. La strada dell’innocenza è il primo libro dedicato a questo poliziotto che si batte per difendere l’innocenza e la purezza dal Male.
I due autori descrivono pressoché lo stesso ambiente e arrivano anche a toccarsi più volte, come succede tra autori che si dedicano allo stesso genere, c’è sempre un eroe solitario, dei criminali ferocissimi, delle vittime devastate dalla violenza che meritano vendetta. O giustizia. Ellroy è un fiume in piena che travolge il lettore con una prosa potente e a tratti quasi barocca, seppure sia molto attento a usare il ritmo elevato che di natura queste storie posseggono. Intreccia immaginazione e storia vera (la sommossa di Watts cui pare lo scrittore avrebbe tentato di partecipare durante la sua burrascosa gioventù). dando un ritratto possente e devastante dell’America.
C’è tanta pazzia in questo libro, indotta da fatti di sangue che colpiscono e affondano i personaggi. Hpkins ha vissuto nel suo passato, quando era solo un bambino, un atto di violenza che non è riuscito a superare del tutto. Odia la musica ad alto volume e la radio proprio per quel motivo. Ha un fratello fascista e manesco, una madre che adora perché gli racconta belle storie. Cosa che lui non fa con le proprie figlie, alle quali narra le sue vicende da poliziotto affinché una volta cresciute non finiscano sul tavolo di un qualche obitorio, ma sappiano difendersi. Innamorato della moglie e di ogni donna con cui va a letto, è un uomo dal fisico imponente ma tanto emotivo e fragile dal punto di vista psicologico. Non è alcolizzato, ha la fissa della difesa dell’innocenza.
In questo avvincente romanzo si trova a combattere contro un ferocissimo serial killer, a sua volta un povero cristo vittima di una violenza sessuale che lo farà impazzire. Tutte e due pensano di difender l’innocenza. Ecco, il fatto che giustiziere e il cattivo di turno abbiano elementi in comune è un’idea geniale. Ancora una volta pur spinti a voler la morte dell’antagonista, come lettori siamo spinti a sporcarci le mani. Perché la linea sottile tra far giustizia e commettere un omicidio è assai sottile. Lloyd è convinto di difendere l’innocenza e di esser dalla parte giusta , tanto che ha delle vere e proprie visioni della purezza che ricopre alcune persone. Nondimeno i suoi metodi e la sua mentalità sono al servizio di azioni non troppo lontane da quelle fatte dal suo nemico, Il Poeta.
Hopkins uccide quelli che distruggono l’innocenza, come succede nella bellissima prima parte in cui si parla della gioventù di Lloyd, ma sono pur sempre degli omicidi. In queste pagine si avverte sotterranea una certa tensione religiosa, da antico testamento, mescolate a pagine in cui si avverte una forte voglia di dolcezza e pace. Ellroy si definisce un americano cristiano, eterosessuale di destra, militarista e capitalista, queste cose si possono trovare nel suo romanzo, nondimeno c’è pietà e compassione per le vittime, il mondo è violento e inadatto a viverci per chi è gentile, ma ci sono anche uomini che si dannano per difender l’innocenza.
Questo è il compito di un genere che forse a volte generalizza, taglia corto, certo ha diversi autori su cui è meglio non indagare circa le idee politiche, ma è quello che sa descrivere al meglio le contraddizioni delle opulente, civlil, libere e democratiche società occidentali, mostrando il lato buio e feroce, e spinge i propri lettori a non facili e consolatori atti di giustificazione. Ci costringe a pensar a cosa significhi giustizia, alla vendetta e alla rabbia che potremmo provare casomai dovesse toccar a noi le cose terribili che vengono vissute dai famigliari delle vittime. Il romanzo di Ellroy rispetta tutte queste regole e ci pone di continuo di fronte a fatti spiacevoli, a violenze inaudite.
A fine lettura rimane un grande senso di disagio, come trovarsi in aperto mare ed essere obbligati a decidere che fare: abbandonarsi alle acque profonde del giustizialismo o far di tutto per aggrapparci a un salvagente, un remo, un pezzo di legno per stare a galla. Con la speranza nel genere umano, sempre e comunque.
A voi la scelta.
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Davide Viganò nasce a Monza il 24/07/1976: appassionato di cinema, letteratura, musica, collabora con alcune riviste on line, come per esempio: La Brigata Lolli. Ha all’attivo qualche collaborazione con scrittori indipendenti, e dei racconti pubblicati in raccolte di giovani e agguerriti narratori.
Rosso in una terra natia segnata da assolute tragedie come la Lega, comunista convinto. Senza nostalgie, ma ancor meno svendita di ideali e simboli. Sposato con Valentina, vive a Firenze da due anni