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Ottobre 10, 2019

Polonia: verso le elezioni politiche – parte 1

Jacopo Vannucchi Internazionale

Domenica 13 ottobre la Polonia torna al voto per rinnovare il Sejm (Camera bassa) e il Senato dopo quattro anni di governo ultraconservatore di Prawo i Sprawiedliwość (PiS, Diritto e Giustizia), che alle scorse elezioni (ottobre 2015) è risultato il primo partito dal 1989 a ricevere una maggioranza parlamentare autonoma, potendo così costituire un governo senza ricorrere a coalizioni post-voto. Quelle elezioni ebbero un ulteriore motivo di rilevanza storica perché, per la prima volta dal 1945, la sinistra restò fuori dal Parlamento. Entrambi questi dati potrebbero venire smentiti dalle imminenti consultazioni.

Il verdetto delle elezioni europee

Negli ultimi anni il sistema politico polacco ha presentato una indubbia tendenza alla riaggregazione: se nel 2015 le liste principali in campo erano otto, oggi si sono ridotte a cinque, di cui quattro di esse coalizioni, de jure o de facto.[1]

Alle elezioni europee del maggio scorso si è registrata un’unione parziale delle forze di opposizione nella Koalicja Europejska (KE, Coalizione Europea). Ad essa hanno partecipato quattro principali partiti:

  • Platforma Obywatelska (PO, Piattaforma Civica; riunisce, sommariamente, l’ex centro di Solidarność e le forze liberali tradizionali[2]);
  • Nowoczesna[3] (Moderna; un partito liberale fondato nel 2015, rispetto a PO più liberista in economia e meno conservatore sui diritti civili);
  • Sojusz Lewicy Demokraticznej (SLD, Alleanza della Sinistra Democratica; sostanzialmente gli eredi del PZPR[4] a cui si aggiunsero poi altri socialdemocratici);
  • Polskie Stronnictwo Ludowe (PSL, Partito Popolare Polacco; il partito di rappresentanza degli agricoltori).

L’obiettivo di KE era quello di divenire la prima lista per numero di voti, in modo da mostrare che PiS non rappresentava la maggioranza del Paese. Questo primato è stato mancato, anche perché KE non era riuscita a coinvolgere tutta l’opposizione. Si sono infatti presentati autonomamente:

  • sulla sinistra, Wiosna (Primavera; partito secolarista socialdemocratico e social-liberale – vedi qui ) e Razem (Insieme; di fatto la declinazione polacca di Podemos);
  • sulla destra, Kukiz ’15, il movimento fondato dalla rockstar Paweł Kukiz, alleato europeo del M5S e che del M5S ha, negli ultimi quattro anni, quasi replicato la traiettoria politica: da populista laico a estremista di destra a centro-destra moderato.

Molto probabilmente, però, se anche queste tre forze avessero partecipato alla union sacrée di KE, essa sarebbe rimasta comunque seconda perché i voti di protesta – in larga parte giovanili – avrebbero rifiutato di convergere sul cartello della politica mainstream e si sarebbero riversati invece sulla lista di estrema destra Konfederacja (Confederazione), a cui partecipano l’estrema destra libertaria di Janusz Korwin-Mikke e i neofascisti del Ruch Narodowy (RN, Movimento Nazionale).

In effetti, i risultati delle elezioni europee – PiS 45,4%; KE 38,5; Wiosna 6,1; Konfederacja 4,6; Kukiz 3,7; Razem 1,2 – hanno confermato PiS sì come prima lista, ma non maggioranza assoluta nel Paese. Operando una banale somma aritmetica dei voti di PiS con quelli dell’estrema destra, e consolidando dall’altro lato tutto l’arco dell’opposizione democratica, si ottiene il 49,93% per il primo gruppo e il 49,45% per il secondo.

La composizione politica del Paese

Il Paese, come si è visto, è spaccato in due. Una spaccatura che, dal punto di vista geografico, si modula in un graduale passaggio dal liberal-socialismo all’ultraconservatorismo secondo la scala Nord / Nordovest / Sudovest / Centro / Sud / Est e, dal punto di vista sociale, presenta invece spiccatissime differenze.[5]

La più stridente è quella tra città e campagne: la KE ha sfiorato il 50% nelle città sopra i 200.000 abitanti, mentre PiS è a quasi il 60% nei villaggi. La popolazione rurale, che costituisce meno di un quarto degli abitanti della Polonia[6], forma quasi la metà dell’elettorato di PiS.

PiS è inoltre l’unico partito a godere di un consenso inversamente proporzionale al grado di istruzione. In tutti gli altri casi il consenso è invece direttamente proporzionale (tranne Wiosna e la Konfederacja, che hanno un recupero nella fascia meno istruita, probabilmente grazie ai 18enni che non hanno ancora completato il ciclo successivo).[7]

Dividendo l’elettorato per categorie occupazionali, PiS ha sfondato il 70% tra  i contadini e superato abbondantemente il 50% tra i pensionati, i disoccupati e gli operai. La KE invece supera il 50% tra dirigenti e imprenditori, e prevale anche tra gli impiegati. Wiosna, la Konfederacja e persino il ridimensionatissimo Kukiz e il piccolo Razem hanno il loro picco massimo tra gli studenti, orientati, come sempre negli ultimi anni, al voto per i partiti antisistema o percepiti come nuovi.

Per quanto riguarda l’età, infatti, PiS ottiene un consenso direttamente correlato all’anzianità degli elettori, mentre tutte le altre liste hanno un andamento opposto, con l’eccezione di KE che risulta essere il partito delle fasce medie.

Quanto alla fedeltà degli elettorati rispetto alle elezioni politiche del 2015, PiS ha un tasso di fedeltà del 90%, staccando qualsiasi altro partito.

Tra quelli che compongono KE, infatti, i tassi sono inferiori, spesso significativamente: 86% per PO, 73% per il PSL, 72% per la sinistra[8] e 68% per Nowoczesna. Il maggior beneficiario di queste erosioni è stato senza dubbio Wiosna, che rosicchia il 7% a PO, il 13% alla sinistra e il 20% a Nowoczesna. Le maggiori defezioni del PSL, invece, vanno (13%) in direzione di PiS, a conferma della presa del partito di maggioranza sugli elettori delle campagne.

Riguardo le altre forze, invece:

  • Kukiz perde per strada quasi il 60% dei voti, divisi, in parti quasi eguali (con una prevalenza delle liste di destra) fra PiS, KE, Wiosna e la Konfederacja, a conferma del carattere eterogeneo del suo fenomeno;
  • Razem conserva soltanto il 17% (!) dei propri voti, cedendo il 39% alla KE e il 32% a Wiosna;
  • Korwin, in modo abbastanza inaspettato, conserva solo il 68% alla Konfederacja, cedendo il resto a vantaggio di KE, PiS, Kukiz e Wiosna, stavolta, sorprendentemente, con una leggera prevalenza del centro-sinistra.

Le forze in campo

Opposizione

La formula unitaria della KE non è stata riproposta per le elezioni parlamentari, alle quali l’opposizione democratica si presenta con una interessantissima formula a tridente:

  • a sinistra, la coalizione Lewica (Sinistra), costituita da SLD, Wiosna e Razem;
  • al centro, la Koalicja Obywatelska (KO, Coalizione Civica) che, già sperimentata alle elezioni amministrative come accordo tra PO e Nowoczesna, si è estesa agli Zieloni (Verdi), a forze socialdemocratiche minori[9] e al movimento autonomista della Slesia;
  • sul centro-destra, la Koalicja Polska (KP, Coalizione Polonia) che riunisce il PSL, Kukiz, altre forze liberali minori[10] e un gruppo populista slesiano.

(Da notare che Lewica e KP sono coalizioni di fatto ma non di nome, presentandosi ufficialmente come liste della SLD e del PSL: lo sbarramento dell’8%, assai ostico per la KP, è stato aggirato anche dalla sinistra, memore della beffa del 2015 in cui la concorrenza di Razem lasciò la coalizione al 7,5%, insufficiente per entrare al Sejm.)

Maggioranza

In realtà, pur non essendo strictu sensu una coalizione, anche PiS è un insieme di posizioni e sensibilità distinte. Anzitutto i gruppi parlamentari portano il nome di Zjednoczona Prawica (ZP, Destra Unita), per riflettere la presenza di partiti minori – ospitati anche nelle liste elettorali – che hanno il compito di estendere la presa nelle varie direzioni: Porozumienie (Accordo) verso il centrodestra liberista, Solidarna Polska (SP, Polonia Solidale) verso l’integralismo cattolico.

Tuttavia, non è soltanto per questo che PiS risulta una coalizione, ma anche e soprattutto perché nel corso degli anni è riuscito ad aggregare attorno a sé un agglomerato sociale che proviene da retroterra diversi e in cui confluiscono esigenze diverse. I filoni principali riconoscibili nel PiS attuale sono, sommariamente, tre:

  1. Il gruppo storico che ha seguito il leader Jarosław Kaczyński fin dagli anni di Solidarność. Kaczyński fondò già nel 1990 il partito Porozumienie Centrum (PC, Accordo di Centro) con l’obiettivo di rappresentare l’ala destra del sindacato che, da posizioni di conservatorismo cattolico, chiedeva un’accelerazione della transizione, ossia, di fatto, la rottura da destra degli accordi del 1989. Entrato in forte contrasto con Wałęsa nel 1993, il partito non riuscì a superare la soglia di sbarramento alle elezioni in quell’anno, restando extraparlamentare per una legislatura. Riuscito a rientrare nei giochi associandosi al cartello di centrodestra Akcja Wyborcza Solidarność (AWS, Alleanza Elettorale Solidarność) nel 1997, Kaczyński costituì poi PiS come nuovo partito autonomo nel 2001. La base geografica del partito, che inizialmente includeva anche alcuni centri urbani come retaggio dell’attività sindacale, era costituita dalle regioni carpatiche di confine con la Slovacchia che, un tempo grandi poli carboniferi, siderurgici e ferroviari, hanno poi conosciuto un aumento estremo della disoccupazione a seguito delle privatizzazioni degli anni Novanta.
  2. La corrente di integralismo cattolico e clericale, apertamente appoggiata dalla Chiesa polacca, regolarmente espressasi in liste autonome nelle consultazioni elettorali a partire dal 1991. Questo schieramento si evolse poi nella creazione di un sentimento politico che, facendo della religione cattolica la base culturale dell’identità nazionale polacca, affiancò all’integralismo religioso un agguerrito nazionalismo conservatore. L’ultima di queste formazioni fu la Liga Polskich Rodzin (LPR, Lega delle Famiglie Polacche), che nel 2005 formò con PiS e altri partiti la prima coalizione di governo della destra ultraconservatrice nella Polonia post-1989. Nei due anni di governo il suo consenso fu vampirizzato dall’alleato maggiore e la LPR scomparve.[11] La sua base geografica era costituita dalla fascia del confine orientale.
  3. Il partito schiettamente populista Samoobrona (Autodifesa), che ebbe il proprio periodo di gloria nei primi tre quarti dello scorso decennio. Fondato dall’agricoltore Andrzej Lepper, ex militante del PZPR, il partito coniugava lo statalismo economico e la difesa dello stato sociale, specialmente a favore dei contadini, con un fortissimo conservatorismo sociale. Il fenomeno Samoobrona, generato dalla catastrofe reddituale abbattutasi sulle campagne dopo le privatizzazioni, dette voce alla Polonia “di mezzo”, che non si riconosceva né nei programmi liberali o progressisti dei partiti di governo né in quelli della destra oltranzista.  Il suo consenso era di fatto omogeneo sul territorio nazionale, arretrando solo nelle roccaforti di altri partiti, come la Pomerania per PO e il Sud-Est per PiS. Il partito aveva sostenuto l’ultimo governo della SLD dopo le elezioni 2001, rompendo però l’alleanza per la propria contrarietà all’ingresso nella UE. Dopo le elezioni 2005 sostenne, insieme alla LPR, il primo governo ultraconservatore e, come la LPR, fu salassato da PiS e scomparve alle successive consultazioni.

La solidità di questa peculiare coalizione sociale costruita da PiS è evidente nel fatto che, consultazione dopo consultazione, il partito si conferma quello con la maggior fedeltà del proprio blocco di elettori: 84% nel 2011[12], 90% nel 2015[13] e, come si è visto, 90% anche alle europee 2019. Per contrasto, il blocco avversario è incomparabilmente più diviso al proprio interno: non solo perché copre uno spettro ideologico assai più ampio, ma soprattutto perché manca di una forza capace di fornirgli stabilità. Nuovi partiti nascono e spariscono ad ogni elezione, in una continua concorrenza di voti reciproca.


Immagine da www.pexels.com

[1] Nel sistema politico polacco i partiti sono associazioni registrate e le soglie di sbarramento (salvo casi specifici per le rappresentanze di minoranze etniche presenti su scala regionale) sono fissate, su base nazionale, al 5% per i partiti e all’8% per le coalizioni. Quest’ultima disposizione può essere però facilmente aggirata se un partito ospita all’interno delle proprie liste candidati delle forze alleate e, magari, cambia la propria denominazione all’ufficio elettorale nel nome scelto per la coalizione.

[2] In particolare sono confluiti in essa i filoni del Kongres Liberalno-Demokraticzny (KLD, Congresso Liberal-Democratico) di Donald Tusk, schierato su un programma liberista classico, e della Unia Demokratyczna (UD, Unione Democratica) di Tadeusz Mazowiecki, cattolico che guidò il primo governo di coalizione nel 1989 favorendo un sistema economico di connubio tra socialismo e mercato. La roccaforte geografica è costituita ancora dalla città di Danzica, dove il movimento di Solidarność nacque nel 1980.

[3] Dopo le elezioni del 2015 e per tutto il 2016 Nowoczesna fu a lungo registrato dai sondaggi come principale partito dell’opposizione, anche grazie al legame con il Komitet Obrony Demokracji (KOD, Comitato per la Difesa della Democrazia), l’organizzazione civica che organizzò le diffuse proteste contro l’annullamento, da parte del nuovo governo, delle nomine di giudici costituzionali effettuate dal precedente esecutivo. La popolarità del partito crollò nei primi mesi del 2017 per uno scandalo relativo ai rimborsi elettorali, comportandone di fatto la scomparsa dal proscenio politico. Per la cronaca, l’ex leader Ryszard Petru dopo aver abbandonato Nowoczesna fondò un proprio piccolo partito liberista, Teraz! (Adesso!), che si è sciolto in breve tempo.

[4] Nel 1938 il Comintern ordinò lo scioglimento della Komunistyczna Partia Polski (KPP, Partito Comunista di Polonia) per poi favorire la creazione, nel 1942, della Polska Partia Robotnicza (PPR, Partito Operaio Polacco), che evitò volutamente l’aggettivo “comunista”. Nel 1948 la PPR si fuse con i socialisti per costituire la Polska Zjednoczona Partia Robotnicza (PZPR, Partito Operaio Unificato Polacco), che fu il principale partito di governo nel dopoguerra e si sciolse nel 1990. A rigore è quindi scorretto impiegare il termine “comunismo” e i suoi derivati per connotare il periodo 1944-89, le sue istituzioni e i suoi esponenti.

[5] I dati che seguono, salvo ove diversamente indicato, sono tratti da un sondaggio effettuato il giorno delle elezioni europee e i cui risultati sono statisticamente coerenti con l’effettivo esito elettorale: https://www.tvn24.pl/wybory-do-europarlamentu-2019/wyniki,450

[6] Elaborazione propria su dati ufficiali https://stat.gov.pl/download/gfx/portalinformacyjny/pl/defaultaktualnosci/5468/7/16/1/powierzchnia_i_ludnosc_w_przekroju_terytorialnym_w_2019_roku_tablice.xlsx

[7] Da notare che in Polonia, a seguito dell’abolizione della scuola media da parte del governo PiS nel 2016, il primo ciclo di istruzione copre dai 7 ai 15 anni di età, dopodiché si aprono i percorsi di istruzione liceale (15-19 anni), tecnica (15-20 anni) o professionale (15-17/18 anni). È quindi possibile che studenti tecnici o liceali, che stanno continuando gli studi, godano del diritto di voto ma possiedano ancora come titolo di studio la scuola di base.

[8] Nel 2015 la SLD si presentò in alleanza con altri gruppi di sinistra nella coalizione Zjednoczona Lewica (ZL, Sinistra Unita).

[9] Si segnalano soprattutto due gruppi. Il primo è Inicjatywa Polska (IP, Iniziativa Polonia), costituita da esponenti della “giovane guardia” della SLD che dopo la sconfitta elettorale del 2015 hanno abbandonato il partito a seguito della riconferma, al congresso 2016, della dirigenza proveniente dai ranghi del pre-1989. Lo scontro generazionale dentro il partito data almeno dall’affare Rywin, lo scandalo di corruzione che contribuì a far crollare la SLD dal 41% delle politiche 2001 al 9% delle europee 2004. Generalmente la divisione generazionale ne ricalca anche una di programma, con i “giovani” propensi a un maggiore liberalismo e i “vecchi” più statalisti in economia e conservatori sui diritti civili. È interessante notare che la leader di IP, Barbara Nowacka, era stata capo politico della coalizione ZL nel 2015 ed è candidata come capolista di KO nel collegio di Słupsk, ovvero la città di Robert Biedroń.

Il secondo gruppo è Unia Pracy (UP, Unione del Lavoro), che fu costituita nel 1992 dalla fusione tra l’ala rinnovatrice del PZPR, non transitata nel nuovo partito socialdemocratico “ufficiale”, e l’ala sinistra di Solidarność. Dal 2001 al 2015 UP è stata l’alleato storico della SLD.

[10] Da segnalare soprattutto la Unia Europejskich Demokratów (UED, Unione dei Democratici Europei), partito liberale di centro, europeista e atlantista, che, seppur di dubbia consistenza, ha ottenuto i capilista negli importanti collegi urbani di Breslavia e di Łódź.

[11] Negli ultimi anni, dopo il crollo di consensi, si è spostata verso il centro e alle ultime elezioni europee ha partecipato alla KE (!).

[12] http://www.tvpparlament.pl/aktualnosci/po-wygrywa-wybory/5437150

[13] https://www.tvn24.pl/wiadomosci-z-kraju,3/wybory-2015-na-kogo-zaglosowali-wyborcy-po-z-2011-roku,589087.html

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Jacopo Vannucchi

Nato a Firenze nel 1989. Ho conseguito la laurea triennale in Storia con una tesi sul thatcherismo e la magistrale in Scienze storiche con una ricerca su Palazzuolo di Romagna in età risorgimentale. Di formazione marxista, mi sono iscritto ai Democratici di Sinistra nel 2006 e al Partito Democratico nel 2007.

archivio.ilbecco.it/autori/itemlist/user/2658-jacopo-vannucchi.html
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