Anche per Monique Wittig, la categoria di sesso non è naturale, né immutabile, e il ricorso politico, l’utilizzo politico della categoria naturale applicata al sesso risponde ai fini di una sessualità riproduttiva: “non ci sarebbe ragione di suddividere i corpi umani nei sessi maschile e femminile, se non fosse perché tale divisione risponde alle necessità economiche dell’eterosessualità e conferisce un’apparenza di naturalità all’istituzione dell’eterosessualità”1.
Dunque anche per Wittig non vi è distinzione tra sesso e genere, in quanto la “stessa categoria di «sesso» è una categoria connotata dal punto di vista del genere, pienamente investita dal punto di vista politico, naturalizzata, ma non naturale […] Dato che il «sesso» è un’interpretazione culturale del corpo, non c’è distinzione sesso/genere che si collochi lungo linee convenzionali; il genere è costruito nel sesso e il sesso dimostra di essere genere fin dall’inizio”2.
Il sesso sarebbe il risultato, l’effetto di un “processo violento”, è il prodotto di “categorie discorsive” che, imposte al campo sociale, finiscono per produrre una realtà modellando una percezione diretta del sesso come dato oggettivo e naturale: “il sesso viene assunto come «dato immediato», un «dato sensibile», come «caratteristiche fisiche», come appartenente a un ordine naturale. Ma quella che riteniamo una percezione fisica e diretta è soltanto una costruzione sofisticata e mitica, una «formazione immaginaria» che reinterpreta le caratteristiche fisiche (di per sé neutrali come le altre, però marcate da un sistema sociale) attraverso la rete di relazioni in cui sono percepite”3.
Il sesso dunque e lo stesso corpo sessuato (con la marcatura di determinate caratteristiche fisiche – genitali, vagina, pene, seni etc. – che di per sé, come afferma Wittig, sarebbero neutrali) sono il prodotto di un discorso che modula e costruisce la stessa percezione che del sesso abbiamo, senza riuscire a intravedere la sua matrice epistemica, il suo essere effetto e prodotto di un “regime epistemico storicamente contingente, di un linguaggio che forma la percezione modellando forzatamente le interrelazioni attraverso le quali vengono percepiti i corpi fisici”.
Il linguaggio stesso, sostiene Wittig, proietta “fasci di realtà sul corpo sociale, marchiandolo e modellandolo in modo violento”4, attraverso astrazioni, concetti, categorie che producono una violenza concreta, fisica, su quei corpi che organizzano e interpretano: “non c’è niente di astratto nel potere che le scienze e le teorie hanno di agire materialmente e concretamente sui nostri corpi e sulle nostre menti, anche se il discorso che lo produce è astratto. È una delle forme del dominio, la sua stessa espressione, come diceva Marx. Chiunque sia oppresso/a conosce questo potere e ha dovuto farci i conti. […] Il linguaggio non funziona né magicamente né inesorabilmente: esiste una plasticità del reale per il linguaggio: il linguaggio ha un’azione plastica sul reale”5.
Lo scopo di Wittig, o almeno uno degli scopi, è quello di mettere in rilievo il fatto che proprio perché l’idea di corpo è essa stessa una costruzione, esistono, o potrebbero esistere pratiche di decostruzione o riconfigurazione che contestino il binarismo sessuale e il potere dell’eterosessualità: “la categoria del sesso e l’istituzione naturalizzata dell’eterosessualità sono costrutti, fantasie o «feticci» socialmente istituiti e regolati, categorie non naturali ma politiche (categorie che dimostrano che in tali contesti il ricorso al naturale è sempre politico)”6.
Mary Douglas dice che gli stessi contorni, gli stessi confini del corpo sono istituiti tramite “marcature che cercano di instaurare specifici codici di coerenza culturale.” E questo, ci dice Douglas, rientra in tutte quelle pratiche di costruzione di confini che mirano all’esclusione, al rigetto, all’espulsione, allo scarto – derivante a loro volta da una repulsione – di tutto ciò che non è considerabile parte del “dentro”, di ciò che rende vulnerabile il confine: la stessa omofobia, il razzismo, il ripudio dei corpi a causa del loro sesso, della loro sessualità e/o del loro colore, è un’«espulsione» seguita da una «repulsione» che fonda e consolida le identità culturalmente egemoniche lungo gli assi di differenziazione del sesso/razza/sessualità7.
Tutti i sistemi sociali sono vulnerabili ai margini e dunque tutti i margini sono ritenuti pericolosi. “Se il corpo è una sineddoche del sistema sociale in sé, o il luogo in cui convergono sistemi aperti, allora qualsiasi tipo di permeabilità non regolamentata costituisce un luogo di contaminazione e pericolo”. In questo senso pratiche sessuali non eteronormate sono considerate pericolose per la tenuta di quei confini che serrano il corpo e la sessualità, che decidono cosa fare entrare e cosa espellere.
I corpi non definiti in maniera sessualmente binaria e le sessualità che sfuggono alla norma all’eterosessualità hanno sfaldato i propri confini e questo non è ammissibile per i sistemi culturali ossessionati dall’idea del confine, dalla suddivisione tra ciò che è medesimo rispetto a ciò che è altro e che strutturano questa stessa alterità in base all’idea(lizzazione) di un sistema identitario fittizio e stabilito storicamente e culturalmente e in cui, appunto, tutto ciò che è costituito come altro deve essere rigettato, rimosso, o ri-plasmato, riconfigurato in funzione di una conformazione a questo feticcio identitario e normativo.
Così come infatti, la nostra identità sessuale, il nostro corpo fisico, è un prodotto di relazioni linguistiche e discorsive che deve esser fatto corrispondere a norme e modelli istituiti, imposti e “naturalizzati”, anche la nostra stessa identità, la nostra soggettività e la nostra intelligibilità di soggetti è un effetto di pratiche disciplinari di regolamentazione attraverso cui, appunto, rendiamo intelligibili noi a noi stessi in base alla regolamentazione e alle matrici di significazione che sono (anche) le norme di genere a dettare, imporre e configurare. L’interpretazione e l’organizzazione della nostra identità passa dalla categorie normatrici di genere creando l’idea stessa di un’identità fissa, immutabile, chiara e definita su principi di continuità, coerenza e coesione. Ben confinata e strutturata secondo quelle griglie interpretative attraverso le quali ci rendiamo intelligibili a noi stessi e agli altri.
I corpi e le identità che sfuggono a queste strategie identitarie imposte e definite (anche) dal genere, diventano corpi invisibili, indegni, a-normali, perdono la loro intelligibilità e dunque anche il soggetto stesso, a volte, rischia di sfaldarsi, perdendo la cornice di riferimento attraverso cui passa la propria auto-interpretazione. O meglio, definisce la propria identità e il proprio corpo in opposizione al modello egemonico e normativo, si pone, in maniera sovversiva, fuori dalla norma, ma è sempre a questa che fa, pur contraddicendola, riferimento.
Il genere, infatti oltre a marcare i corpi, marca anche fin da subito, l’identità e ogni azione sovversiva non può che avvenire entro i limiti del potere regolatore, entro le cornici di significazione e interpretazione, dentro la norma che plasma corpi e soggetti: “le persone diventano intelligibili soltanto acquisendo una connotazione di genere conforme a riconoscibili standard di intelligibilità di genere […] I generi intelligibili sono quelli che istituiscono e mantengono relazioni di coerenza e continuità tra sesso, genere, pratica sessuale e desiderio. In altre parole, gli spettri della discontinuità e dell’incoerenza, pensabili solo in relazione alle norme di coerenza e continuità vigenti, sono costantemente sottoposti a divieto e prodotti da quelle stesse leggi che cercano di stabilire linee di connessione causale o espressiva tra sesso biologico, generi culturalmente costituiti e la loro «espressione» o «effetto» nella manifestazione del desiderio sessuale attraverso la pratica sessuale. L’idea per cui potrebbe esserci una «verità» del sesso, come ironicamente la chiama Foucault, è prodotta dalle pratiche di regolamentazione che generano identità coerenti attraverso la matrice di norme di genere coerenti. L’eterosessualizzazione del desiderio richiede e istituisce la produzione di opposizione distinte e asimmetriche tra «femminilità» e «mascolinità», intese come attributi espressivi del «maschile» e del «femminile»”8.
La matrice di intelligibilità che detta la norma fa perciò sì che le identità che non corrispondono a questa matrice non vengano riconosciute, o addirittura non possano nemmeno esistere, in quanto non conformi alle norme di intelligibilità culturale, come fossero “difetti dello sviluppo o impossibilità logiche intrinseche”9. La possibilità invece della loro esistenza e della loro proliferazione può al contrario smascherare i limiti di quelle stesse cornici di intelligibilità, di quelle pratiche di regolamentazione del genere che mirano all’assoggettamento dei corpi e alla loro normazione, possono rovesciare le pratiche discorsive di regolamentazione delle identità sessuali e dunque “aprire, entro i limiti stessi di quella matrice di intelligibilità, matrici rivali e sovversive di disturbo di genere”10.
Già che è stato citato, potremmo riprendere l’analisi di Foucault – uno dei punti di riferimento butleriani – a proposito della sessualità. Il filosofo post-struttualista francese sostiene la coestensività di sessualità e potere, in quanto la prima emergerebbe proprio da relazioni di potere che la costituiscono e strutturano culturalmente: la sessualità è sempre costruita dentro relazioni e discorsi di potere esistenti. Per Foucault il corpo non è «sessuato», prima di essere costruito, istituito e costituito da un discorso di potere che lo carica dell’idea di sesso naturale o essenziale. Il corpo stesso acquisisce significato solo entro pratiche discorsive e relazioni di potere, il sesso non esiste in sé come dato naturale ma è il prodotto di complesse e complicate interazioni tra discorso e potere, prodotto da pratiche di regolamentazione sia storiche che filosofiche, discorsive e istituzionali.
“La sessualità è un’organizzazione storicamente specifica del potere, del discorso, dei corpi e dell’affettività. In questo senso la sessualità è intesa da Foucault come ciò che produce il «sesso» in quanto concetto artificiale che effettivamente estende e maschera le relazioni di potere che sono responsabili della sua genesi”11. La sessualità è pertanto concepita dal filosofo francese quale sistema storico, aperto, discorsivo che produce “la designazione impropria del «sesso», quale parte di una strategia che mira a occultare e dunque a perpetuare le relazioni di potere. […] Essere sessuati/e per Foucault significa essere soggetti/e a una serie di regolamentazioni sociali, significa mettere la legge che dirige tali regolamentazioni sia nella posizione di principio formativo del proprio sesso, del proprio genere, dei propri piacere e desideri, sia nella posizione di principio ermeneutico di autointerpretazione”12.
Se dunque la sessualità è costruita all’interno di queste relazioni di potere esistenti, diventa impossibile pensare a una sessualità normativa che stia al di fuori o prima del potere, determinando dunque il “compito concreto e tutto attuale di ripensare le possibilità sovversive che si aprono per la sessualità e l’identità entro i termini stessi del potere. Questo compito critico presuppone che operare entro la matrice del potere non coincida con il replicare acriticamente relazioni di dominio. Offre piuttosto la possibilità di una ripetizione della legge che non consiste nel suo consolidamento, ma nella sua dislocazione”13. E sono proprio le ambiguità, le incoerenze entro pratiche eterosessuali, omosessuali, bisessuali, che, nonostante subiscano l’oppressione e/o la rimozione da parte della matrice dominante, costituiscono luoghi di intervento sovversivi, come pratiche, dislocatrici.
Se perciò le “finzioni regolative di sesso e genere diventano luoghi di significati contestati, allora la molteplicità stesa della loro costruzione apre alle possibilità di un annientamento dell’univocità con cui sono posti. […]. Non più concepibile come «verità» interiore di disposizioni e identità, il sesso apparirà allora come una significazione attuata in modo performativo (e dunque non «essere»); una significazione che, liberata da una interiorità e una superficie naturalizzate, può dare origine alla proliferazione parodica e al gioco sovversivo dei significati di potere [aprendo] possibilità di sovversione e dislocazione delle nozioni reificate e naturalizzate del genere, alla base dell’egemonia al maschile e del potere eterosessista, per fare del genere una questione, un problema, non attraverso quelle strategie che prefigurano un oltre utopico, ma attraverso la mobilitazione, la confusione sovversiva e la proliferazione proprio di quelle categorie costitutive che cercano di tenere il genere al suo posto, minando le illusioni fondative dell’identità”14.
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Ivi, p.157. ↑
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Ibidem. ↑
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M. Wittig, One is Not Born a Woman, in «Femminist Issues», I, 1981, pp. 47-54. ↑
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M. Wittig, The Mark of Gender, in Femminist Issues, V, 1985, p. 4. ↑
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Ivi, p.106. ↑
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J. Butler, op. cit., p. 180. ↑
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I.M Young, Abjection and Oppression: Dynamics of Unconscious Racism, Sexism, and Homophobia, in A. B. Dallery, Ch. Scott, H. Roberts (a cura di), Crises in Continental Philosophy, Suny Press, Albany 1990, pp.201-214. ↑
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Ivi, pp. 26-27. ↑
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Ivi, p. 28. ↑
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Ibidem. ↑
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Ivi, p.132. ↑
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Ivi, pp. 236-137 (corsivo mio). ↑
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Ivi, p. 47. ↑
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Ivi, p. 51. ↑
Immagine di William Murphy (dettaglio) da flickr.com
Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.