Est e Ovest
Il primo confronto obbligato nell’analisi delle elezioni federali in Germania consiste nell’osservare il dato subaggregato dei territori, rispettivamente, della Repubblica Federale di Germania nei confini del 1989 e della Repubblica Democratica Tedesca.
Una comparazione su doppio asse (Ovest/Est e 2017/2021) è utile anche per iniziare a scandagliare quali movimenti nella società tedesca abbiano prodotto il risultato di settembre.
Non sorprendentemente si confermano i tradizionali squilibri regionali dei vari partiti: sbilanciati a Ovest i tre partiti storici CDU[1], SPD, FDP e i Verdi; ad Est invece la Linke e l’estrema destra di AfD. Inoltre, i saldi di crescita o arretramento a livello nazionale sono sempre confermati anche nelle due suddivisioni: ad essere premiati dagli elettorati di entrambe sono i tre partiti che hanno poi formato la Ampelkoalition (“coalizione semaforo”, dai tre colori rosso-giallo-verde).
Se dal movimento assoluto si passa a quello relativo, iniziamo ad avere un quadro più articolato. Rispetto al 2017 la differenza aritmetica tra la percentuale ricevuta all’Ovest e quella ottenuta all’Est è aumentata per CDU, Linke e Verdi, mentre è diminuita per SPD, FDP e AfD. Incrociando questi dati con l’andamento generale di espansione o contrazione del consenso, ricaviamo quattro situazioni differenziate:
Crescita, soprattutto ad Ovest: Verdi;
Crescita, soprattutto ad Est: SPD, FDP (numeri assai contenuti, in quest’ultimo caso);
Arretramento, soprattutto ad Ovest: AfD;
Arretramento, soprattutto ad Est: CDU, Linke.
Flussi: Verdi pigliatutto, Linke perditutto, SPD double face
Osservando i flussi di voto fra 2017 e 2021[2] notiamo anzitutto elementi di squilibrio nella fidelizzazione dell’elettorato, con tassi di conservazione del voto attorno al 60% per SPD e Verdi, 50% per CDU e AfD, 40% per i liberali e poco sopra il 30% per la Linke.
L’emorragia della Linke è tale che il numero di suoi elettori “fedeli” (1.330.000) è ampiamente superato dal numero dei soli elettori transitati dalla CDU alla SPD: 1.990.000, pur se il saldo finale si attesta a 1.530.000 per effetto dell’inverso, e ampiamente minore, passaggio di voti da SPD a CDU.
Il partito della Cancelliera uscente, con il 24,1% nazionale (25,6% nell’Ovest), segna il minimo storico dalla sua fondazione nel 1945 ed è la fonte dei maggiori saldi negativi: oltre al vasto tributo verso i socialdemocratici, accusa perdite nette di 920.000 elettori verso i Verdi e 490.000 verso la FDP, così come verso gli “altri” partiti. In aggiunta si considerino le ancor più onerose perdite in uscita dall’elettorato: 1.100.000 di emigrati e deceduti, che del resto costano anche 690.000 unità alla pur vittoriosa SPD.
L’invecchiamento del proprio elettorato è un problema comune alle due forze che ancora si confermano le principali del sistema politico tedesco; nel caso della SPD, però, per bilanciare le proprie perdite basterebbe quasi il solo saldo netto nei confronti della Linke, da cui essa riceve 640.000 elettori. Oltre che in questo elettorato di sinistra la SPD si è rivelata capace di mobilitare forze anche fra gli astenuti (da cui provengono 520.000 voti netti), come fatto del resto anche dai Verdi (300.000). Sotto questo aspetto i rosso-verdi risultano avere un dinamismo senza dubbio maggiore di quello dei liberali, che dall’astensione ottengono una quota netta sì positiva, ma decisamente inferiore (40.000 voti).
Dove invece i liberali mostrano una capacità mobilitante superiore a quella socialdemocratica, e in grado di rivaleggiare con i Verdi, è fra i nuovi elettori. Con una platea stimata in 2.850.000 persone, di cui 960.000 astenute, le principali preferenze vanno appunto ai Grünen (460.000), alla FDP (400.000) e più staccata, specie se in rapporto alle dimensioni complessive del suo consenso nazionale, alla SPD (310.000). Tutti gli altri partiti, compresa la CDU, hanno un consenso inferiore persino alla somma dei residui “altri” (pari a 250.000 voti).
La capacità attrattiva dei Verdi è dimostrata anche dal fatto che essi sono l’unico partito a registrare guadagni netti nei confronti di tutte le altre forze politiche, mostrando uno spazio ideologico assai eterogeneo: 920.000 voti arrivano dalla CDU, 480.000 dalla Linke, 260.000 dalla SPD, 240.000 dalla FDP, 60.000 da AfD. Nella gerarchia interna delle tre forze della Ampelkoalition, la SPD prende voti ai liberali ma ne cede ai Verdi; la FDP perde verso entrambi, i Grünen guadagnano da entrambe.
Il poco invidiabile primato inverso, ossia la perdita netta di consensi nei confronti di tutti gli altri attori, spetta alla Linke. Rispetto al 2017 la Linke passa da circa 4.300.000 a 2.270.000 elettori, con una perdita di 2.030.000 voti. In questo dato sono compresi anche 150.000 nuovi elettori, pari a circa il 5% della platea e l’8% escludendo gli astenuti: numeri ragguardevoli, certo, ma inferiori a quelli del 2017 (rispettivamente 7% e 11%). Non contando i nuovi elettori, le perdite sul 2017 ammontano quindi a circa 2.180.000, che possono essere sommariamente ripartite in tre gruppi: verso il centrosinistra, verso i vari tipi di (centro-)destra, verso destinazioni ai margini o fuori dal sistema politico.
La categoria principe è la prima: 1.120.000 voti vengono perduti verso i rosso-verdi, di cui 640.000 sulla sola SPD. Probabilmente verso formazioni percepite come sinistra populista (massime Die PARTEI) viene perduta la maggior parte dei 270.000 voti destinati a partiti non entrati al Bundestag; 320.000 scivolano nell’astensione mentre emigrati e deceduti assommano a 250.000. 220.000 sono i consensi destinati ai partiti dell’ala destra, di cui la metà ai liberali, 90.000 alla destra estrema e 20.000 per la CDU. In altri termini, un elettore su tre della Linke 2017 ha votato rosso-verde, uno su quattro scivola in “altri/astensione/emigrazione o decesso”, uno su dieci verso la destra.
Prima di cercare di esaminare nel dettaglio le determinanti sociali collegate alla base elettorale di ciascun partito, è utile cogliere un dato particolare sul partito vincitore. Se consideriamo l’elettorato socialdemocratico del 2021, la componente maggiore dell’afflusso esterno è costituita da ex democristiani, che formano il 17% del consenso al partito di Scholz. Se, invece, consideriamo l’impatto che i flussi in uscita verso la SPD hanno avuto sugli altri partiti, quello proporzionalmente più salassato è la Linke, che perde verso i socialdemocratici il 19% dei suoi elettori 2017.
La SPD si qualifica dunque come un partito che, schierandosi al centro, ha saputo esercitare un’attrazione anche sulla sinistra radicale; ma, in generale, su tutto lo spettro politico compresa l’estrema destra. Soltanto i Verdi sono riusciti a sottrarsi da questa orbita, grazie, come vedremo al loro radicamento sociale.
Gli elettorati dei sei partiti
Il sistema elettorale tedesco prevede che l’elettore esprima due voti: uno per il candidato del collegio uninominale (Erststimme, primo voto) e uno per la lista di partito in un ambito proporzionale (Zweitstimme, secondo voto). L’Ufficio Elettorale Federale pubblica non soltanto i risultati di questi due voti in ciascuno dei 299 collegi in cui è divisa la Germania, ma anche una serie di dati statistici sui singoli collegi e una conversione dei confini elettorali che rende paragonabili i risultati di due elezioni consecutive.[3]
Operando una analisi di correlazione tra i consensi percentuali alle forze politiche e alcune variabili sociali è possibile avere un maggiore discernimento dell’insediamento sociale dei vari partiti.
CDU
La CDU emerge anzitutto come il partito della ricchezza tradizionale: ha correlazioni forti o molto forti con la superficie abitativa per appartamento (0,933) e per abitante (0,736) e con il numero di automobili per abitante (0,856). Decisamente negativa è la correlazione con il tasso di disoccupati (-0,881) e in generale con i lavori dipendenti, mentre è positiva con la presenza di imprese artigiane (0,494). Proprio in questo elettorato tradizionale, che richiama un po’ lo stereotipo del borghese conservatore tirolese/austriaco/bavarese, si mostrano però crepe che puntano tutte in una precisa direzione. Il delta fra il consenso del 2021 e quello del 2017 ha una netta correlazione negativa – ossia, indica una perdita di consenso – con gli indicatori delle aree rurali: quota di dipendenti in agricoltura, silvicoltura e pesca (-0,875), percentuale di superficie del collegio occupata da vegetazioni e acque (-0,691), e persino con lo stesso tessuto di imprese artigiane (-0,667). Di converso, nel generale indebolimento del partito, si rafforza il peso del ceto urbano benestante, e in particolare di quello delle zone in crescita: il delta è correlato positivamente con la densità di popolazione (0,637), con il PIL pro capite (0,677), col saldo demografico naturale (0,692) e soprattutto con la quota di popolazione straniera (0,820).
Giustapponendo questi dati agli exit poll effettuati da Infratest, osserviamo che per gli elettori democristiani il decisore di voto più importante risultano l’economia e il lavoro (43%), mentre per gli elettori che hanno abbandonato il partito il fattore più importante è la sicurezza sociale (32%).[4] Su questi due temi vi è una chiara sproporzione tra i due principali partiti: il 35% dei tedeschi considera la CDU competente sul terreno economico (la SPD ferma al 25%), ma solo il 15% la ritiene competente in materia di sicurezza sociale, mentre la fiducia nella SPD in questo caso schizza al 40%.[5]
SPD
La composizione sociale dell’elettorato socialdemocratico resta ampiamente invariata rispetto al 2017. Gli aumenti in percentuale nelle categorie lavorative (operai, impiegati, autonomi) sono contenuti, ma si registra un balzo nel consenso dei pensionati, tra i quali il partito passa dal 24% del 2017 al 35% attuale.[6] Il dato è coerente con la chiarissima proporzionalità del delta con l’età anagrafica, tanto che sotto i 35 anni il partito addirittura arretra.[7] Gli indici di correlazione confermano questi dati (ad esempio, la correlazione con la percentuale di elettori dai 75 anni in su passa da -0,355 del 2017 a 0,221 nel 2021) e in genere pare che la SPD riempia lo spazio aperto dalle crepe nel tradizionale elettorato democristiano.
I commenti degli elettori manifestano in particolare la fiducia nell’aumento della spesa sociale: le principali competenze riconosciute dai tedeschi alla SPD sono l’attenzione al livello salariale (44%), la sicurezza sociale (40%), la preoccupazione per gli anziani (36%), la politica sanitaria (33%) e la politica per le famiglie (32%).[8]
I maggiori aumenti percentuali del partito si collocano all’Est: nel Meclemburgo-Pomerania Anteriore e nel Brandeburgo, soprattutto a spese, rispettivamente, di CDU e Linke. Dove la CDU perde meno – in Renania Settentrionale-Vestfalia e nei centri urbani della Baviera – la SPD, però, non si limita a guadagnare meno: in alcuni casi addirittura arretra rispetto al 2017, a beneficio, come già accennato, dei Verdi.
AfD
L’estrema destra di AfD ha forti correlazioni positive con l’età (dai 75 anni in su: 0,944; tra i 60 e i 74 anni: 0,859) e con le professioni del settore primario (0,809), ma forse ancor più rivelatrici sono le correlazioni negative: -0,879 con il saldo demografico naturale, -0,827 con la percentuale di popolazione straniera; -0,760 con il PIL pro capite, -0,684 con il reddito familiare pro capite. Il partito prospera, con tutta evidenza, nelle aree che sentono di restare profondamente indietro rispetto al generale sviluppo del Paese. Sebbene esso perda complessivamente oltre un milione di voti, infatti, la sua identità territoriale esce rafforzata: dai 3 deputati eletti nell’uninominale e 91 nel proporzionale (2017) AfD passa rispettivamente a 16 e 67, soprattutto per effetto della doppia frana di CDU e Linke nelle regioni orientali di Sassonia e Turingia.
Sono però soprattutto gli exit poll ad aprire un profondo spaccato antropologico sulla base elettorale del partito. Alla dichiarazione «Sono molto preoccupato di non poter più sostenere il mio tenore di vita» gli elettori delle varie forze rispondo come segue: AfD 74%, Linke 47%, FDP 37%, SPD 36%, CDU 24%, Verdi 19%.[9] Sono inoltre di AfD gli elettori che più di tutti dichiarano di aver votato per frustrazione (45%) invece che per convinzione (48%).
Al di là dell’immigrazione (40%) non ci sono tematiche fortemente mobilitanti[10] dell’elettorato. Quasi inesistenti le competenze riconosciute al partito dall’elettorato tedesco (il 14% sulle politiche di asilo e per i rifugiati, l’11% sul contrasto alla criminalità); ma la sua base si rivela compatta a livelli abnormi su un umore di fondo. Il 97% afferma che AfD ha compreso meglio degli altri partiti «che molte persone non si sentono più sicure»; il 95% giudica positiva l’intenzione di limitare fortemente l’ingresso di rifugiati e richiedenti asilo; l’86% lo ritiene l’unico partito che consenta di esprimere una protesta contro la politica stabilita. Collegato a questo disagio probabilmente è anche il 77% di approvazione per l’opposizione alle misure anti-Covid, pur se ben il 46% afferma che il partito non si distanzia a sufficienza dalle posizioni dell’estrema destra.
L’isolamento degli elettori di AfD emerge anche da un altro dato: alla domanda se il partito abbia manifestato onestamente le proprie intenzioni durante la campagna elettorale risponde affermativamente il 79% dei suoi elettori, ma solo il 21% del resto dei tedeschi.[11]
FDP
Come la CDU è il partito del capitale fisso, così la FDP si delinea come il partito del capitale mobile: elevatissima (0,910) è la correlazione con il reddito familiare pro capite, ancora più alta che nel 2017 (0,809). Non sorprendentemente, alte sono le correlazioni con gli indicatori che, come il reddito pro capite, sono legati alle aree metropolitane, ma particolarmente indicative sono quelle familiari: quota di popolazione sotto i 18 anni (0,837), saldo demografico naturale (0,613), disoccupati fra i 15 e i 24 anni (-0,749). Rispetto al 2017 la connotazione urbana del partito comunque diminuisce, sia per l’afflusso di ex elettori democristiani nelle zone rurali sia per le perdite cittadine in direzione dei Verdi.
Come alla CDU, i tedeschi riconoscono ai liberali una competenza in materia economica e del lavoro (34%), ma che, in questo caso, si estende anche alla politica finanziaria e fiscale (20%). L’identità del partito è percepita dagli elettori, e specialmente da quelli liberali, come strettamente legata all’economia di mercato e alla deregolamentazione. Al di fuori del proprio perimetro il partito viene identificato come eccessivamente schierato a difesa dei grandi redditi.
Proprio per questo è interessante osservare come, mentre non varia molto la composizione sociale dell’elettorato, il partito sia passato attraverso una piccola ristrutturazione di età, passando dal 12 al 21% tra gli elettori sotto i 25 anni e dall’11 al 15% nella fascia 25-34, assottigliandosi invece sopra i 60. Geograficamente il suo consenso risulta ancora abbastanza stabile, con probabili scambi incrociati di voto con i Verdi nelle regioni lungo il confine occidentale della Germania.
Linke
La Linke ha una correlazione particolarmente alta con il tasso di disoccupazione (0,754) e, ancor più, con la quota di quei disoccupati che si trovano ai margini generazionali del mercato del lavoro: 15-24 anni (0,888) e 55-64 anni (0,817). Il partito sembra avere un peculiare insediamento nelle aree sovraffollate: la correlazione con gli appartamenti per abitante è 0,929, quella con la superficie abitativa per appartamento è -0,865.
Come anche la AfD, la Linke è un partito a radicato insediamento orientale, tanto che, sebbene in termini assoluti le sue perdite siano grandi soprattutto a Est (e in special modo a Berlino e nel Brandeburgo) la quota di voti perduta a Ovest è ancora più alta, fino a una punta di -54% in Baviera.
Il vero elefante nella stanza è lo smarrimento del tradizionale elettorato comunista: operai e disoccupati. Nelle ultime quattro elezioni i primi hanno dato alla Linke, di seguito, il 18%, 13%, 10%, 5%; i secondi, 25%, 23%, 11%, 11%.[12] Le persone in cerca di lavoro restano la constituency migliore per il partito, ma in generale l’erosione della base tradizionale non viene compensata da una compiuta trasformazione in partito delle giovani generazioni. Nel 2009 la fascia d’età che forniva il più alto consenso era 45-59 anni (14%): oggi sia questa stessa fascia sia quelle superiori danno alla Linke il 4%, la metà rispetto ai giovani sotto i 25 anni.
Le principali preoccupazioni degli elettori di sinistra sono oggi la sicurezza sociale (39%) e la questione ambientale e climatica (32%), ma in quattro anni è significativamente scesa la competenza riconosciuta dai tedeschi sui suoi punti di forza: la giustizia sociale (dal 16 all’11%) e il livello salariale (dal 14 al 9%).[13]
Verdi
Infine i Verdi, il partito più fortemente correlato con le zone più veloci della Germania, ad esempio come individuate dagli indicatori di popolazione straniera (0,943), saldo demografico naturale (0,907), PIL pro capite (0,907), lavoratori dipendenti (0,888), superficie occupata da abitazioni e infrastrutture (0,828), nonché dal dinamismo generazionale (quota di popolazione tra i 18 e i 24 anni, 0,857; tra i 25 e i 34 anni, 0,955). Nei settori produttivi la correlazione è (fortemente) positiva solo con i servizi (0,904), mentre vira decisamente in negativo con il manifatturiero (-0,712) e con il settore primario (-0,893).
Rispetto alle passate elezioni, nelle quali il consenso ai Verdi era distribuito in modo omogeneo tra i 18 e i 60 anni di età, riducendosi solo nelle fasce più anziane, il 2021 segna un marcato sfondamento presso l’elettorato giovanile che li innalza a primo partito nei gruppi 18-24 anni (23%) e 25-34 (21%). Questi aumenti verosimilmente sono il frutto di afflussi bipartisan, tanto dalla CDU quanto da SPD e Linke. Sul piano socio-economico da questo spostamento deriva un deciso aumento della correlazione con le zone ad alta disoccupazione e una altrettanto chiara diminuzione della correlazione con il reddito familiare pro capite, anche se i Verdi si confermano tendenzialmente un partito dei redditi superiori.
Più di qualsiasi altra forza, i Verdi sembrano un partito monotematico: i suoi elettori indicano come maggior fattore per la decisione di voto ambiente e clima (82%) e solo residualmente la sicurezza sociale (10%). Nell’elettorato generale, tuttavia, la percezione di competenza dei verdi in materia di ambiente declina rispetto al 2017, mentre aumenta la fiducia nella politica di asilo e soprattutto nella politica per le famiglie. Sono ampiamente identificati come il partito che più di ogni altro si preoccupa delle conseguenze che le scelte di oggi avranno sulle future generazioni: non solo da parte dei propri elettori (94%), ma anche da tutti i tedeschi (49%).[14] Resta la percezione di un partito intransigente, nell’accezione positiva del termine: il 56% degli elettori gli riconosce una chiara collocazione (85% tra gli elettori del partito, 37% all’esterno).[15]
Nel caso dei Verdi la contraddizione più ampia è senza dubbio quella tra collocazione politica e insediamento sociale. L’83% di essi preferiva un governo guidato dalla SPD piuttosto che dalla CDU (un risultato superiore perfino a quello degli elettori della Linke, 72%)[16], con una predilezione netta (51%) per la soluzione rosso-rosso-verde, preferita alle coalizioni Semaforo[17] (43%), Kenya[18] (25%) e Giamaica[19] (21%). L’elettorato verde, dunque, appare politicamente a sinistra della SPD, ma socialmente fa riferimento a ceti più elevati (tra i lavoratori autonomi è alla pari con la SPD al 16%, mentre tra gli operai ottiene solo l’8% contro il 26% dei socialdemocratici).
Germanie ricche, precarie, diseguali, povere
Un’ultima panoramica della ripartizione sociale dell’elettorato tedesco può essere effettuata incrociando, relativamente al valore aggregato, la posizione del singolo collegio rispetto ai due indicatori di reddito familiare pro capite e PIL pro capite. Si identificano in questo modo quattro diverse aree: quelle a reddito alto e PIL alto, a reddito alto e PIL basso, a reddito basso e PIL alto, a reddito basso e PIL basso. Vista l’evidente disparità economica tra l’Ovest e l’Est[20], questa operazione è stata effettuata singolarmente sulle due regioni.
Quando entrambi gli indicatori sono alti o bassi ci riferiremo alla regione come Ovest/Est ricco o povero; in caso di reddito inferiore alla media ma PIL superiore alla media parleremo di Ovest/Est diseguale, in quanto la creazione di valore non giunge a beneficio degli abitanti; per le zone a reddito superiore alla media ma PIL inferiore si adotterà la definizione di Ovest/Est precario, in quanto la ricchezza ancora percepita dalle famiglie non è più sostenuta dalla creazione di valore sul territorio.
Le diverse prestazioni elettorali dei partiti possono essere vagliate operando la differenza relativa tra la percentuale conseguita nel subaggregato e quella conseguita nella regione (ad esempio, nell’Ovest la SPD ha ottenuto il 26,1% dei voti, ma nell’Ovest ricco soltanto il 22,4%: il valore della sua differenza relativa sarà dunque (22,4-26,1)/26,1 = -0,14.
La CDU, risultando tanto ad Ovest quanto a Est un partito particolarmente insediato nelle zone a PIL basso, sembra esprimere una dimensione regressiva del proprio radicamento sociale. Nella Germania Ovest, dove la CDU si è identificata per 52 anni su 71 come il partito di governo, e in parte come il partito fondatore dello stato nel 1949, abnorme è il confronto tra la parte precaria e il suo inverso, la parte diseguale. Con il 27,9% dei voti l’Unione democristiana resta agevolmente il primo partito delle zone, specialmente in Germania del Sud (e grazie alla CSU bavarese), a capacità produttiva relativamente bassa ma con una popolazione che conserva ancora un tenore di vita superiore alla media.
Nell’area opposta, dove cioè il reddito familiare resta indietro rispetto alla crescita produttiva, la CDU è terza con il 20,7%, dietro alla SPD e ai Verdi. Si tratta di medie o grandi aree urbane: Hannover, Brema, Colonia, Francoforte, Norimberga.
La SPD, invece, si qualifica in generale come il partito dei redditi inferiori. Questo è vero soprattutto all’Ovest, dove nella zona ricca il partito ha solo il 22,4% dei voti (secondo dietro la CDU) mentre nella zona povera sale al 29,6%: è quest’ultima un’area variegata, che spazia dalla provincia della Bassa Sassonia all’ambiente cosmopolita di Berlino Ovest, passando per grandi conurbazioni industriali o ex-industriali come Gelsenkirchen o Wuppertal.
Ma anche all’Est la SPD è, con il 26,2%, il primo partito della zona povera: si tratta in questo caso di tutte le aree che non ricadono nell’ampio raggio delle tre città di Berlino, Dresda, Lipsia: da Görlitz al confine con la Polonia fino a Schwerin a 50 chilometri da Lubecca. L’Est povero è la sola zona orientale che assegna ai socialdemocratici un consenso superiore al dato regionale (24,1%).
L’elettorato di Alternativa per la Germania è sovrapponibile, per i suoi caratteri di insediamento, a quello della CDU. In questo caso, però, le differenze tra le regioni a PIL alto e quelle a PIL basso sono molto più marcate, a richiamare quella sensazione di isolamento che il partito esprime. A occidente, dove il partito è meno insediato, le differenze sono contenute: AfD va da un minimo del 6,7% nell’Ovest diseguale a un massimo dell’8,8% nell’Ovest precario.
La divergenza esplode però all’Est, di cui AfD è considerato, assieme alla Linke, un rappresentante peculiare.[21] Nell’Est precario – un’area che si identifica prevalentemente con la Sassonia – l’estrema destra è il primo partito, con il 25,1%. Nell’Est diseguale, corrispondente a parte del centro di Berlino, a Lipsia, Dresda e altre conurbazioni minori (Magdeburgo, Rostock…), è terza con il 14,9% (dietro SPD e Verdi).
Il partito liberale a Est non mostra grandi variazioni, né una particolare forza dinamica. Il suo miglior risultato (nell’Est precario) è inferiore al peggior risultato occidentale (nell’Ovest povero).
È proprio a occidente, invece, che la FDP emerge come partito degli alti redditi, soprattutto quelli che sono ancora sospinti in avanti dal vento dell’economia di mercato. Nell’Ovest ricco, pur restando il quarto partito, la FDP sale al 13,4% (contro l’11,9% occidentale e l’11,5% nazionale): sono le grandi aree economiche di Amburgo, Bonn, Düsseldorf, Monaco… Nell’Ovest povero, all’inverso, il partito scende al 10,8%.
Forse sorprendentemente, o forse no alla luce della delusione elettorale, la Linke ha i migliori risultati non sulla base del reddito (basso) bensì sulla base del PIL (alto). È, in questo senso, il vero contrario dell’estrema destra: prospera nelle aree a maggiore produzione di ricchezza, ossia quelle che, anche in caso di redditi familiari bassi, mantengono una possibilità di fiducia nell’avvenire.
A Est, nelle zone precarie dominate da AfD, la Linke è quinta con l’8,2% (dietro di lei solo i Verdi); nella parte povera è quarta, ma con soltanto il 9,8%, perché qui subisce la concorrenza non solo di AfD, ma anche dei socialdemocratici. Sale invece al 12,3% nella parte ricca (alcuni quartieri della capitale, parte della cintura brandeburghese di Berlino, alcune città della Sassonia) e al 12,7% nella parte diseguale: in questi casi è sempre quinta, e qui sono i liberali a costituire il fanalino di coda.
Ancor più interessanti, forse, i dati ad Ovest. Qui il consenso aggregato è molto ridotto (3,7%), ma nella parte diseguale schizza al 5,5%: migliorando non solo il dato regionale, ma addirittura quello nazionale (4,9%)!
Infine i Verdi, che ormai sono emersi da queste elezioni come il vero fattore di instabilità (nel senso neutro del termine) della sinistra. Come la Linke essi sono un partito delle aree a PIL superiore alla media (pur se con un elettorato comparativamente più legato al reddito) ma in questo caso la divergenza esplode in modo inusitato. Nell’Ovest diseguale sono il secondo partito con il 21,6%, mentre scendono al 13,6% nell’Ovest povero. Ancor più vasto l’abisso interno nell’Est: dal 16% dell’Est diseguale (secondi dietro la SPD) al 5,5% (ultimo dei maggiori partiti) nell’Est povero.
Conclusioni
I tre contraenti del nuovo Governo si sono manifestati in queste elezioni con diversi profili.
La SPD è stata un partito che tramite una proposta di rassicurante continuità centrista («Er kann Kanzlerin», “sa fare la Cancelliera”, è stato uno degli slogan più azzeccati di Scholz, emerso come il più forte fra i candidati alla carica[22]) ha saputo qualificarsi come partito delle classi povere e intaccare l’elettorato di sinistra non solo a Ovest, ma perfino a Est. In questo forse ha giocato anche il timore di una beffarda rimonta democristiana dell’ultimo minuto, che può aver spinto tanti elettori di sinistra a un soccorso alla SPD: ma anche in tal caso è evidente il carattere attrattivo dei socialdemocratici verso i ceti subalterni.
Al tempo stesso, la maggioranza anticomunista del partito (solo il 29% favorevole alla coalizione rosso-rosso-verde[23]) non ha completamente liquidato la sinistra interna (il 53% giudicava positivamente la non indisponibilità pregiudiziale alla citata coalizione).[24]
I Verdi esprimono, come si è rilevato, una posizione di irrisolto connubio fra due dimensioni: da un lato l’agio, dall’altro uno schieramento ideologico a sinistra. Si è visto che gli elettori verdi sono i meno preoccupati per il proprio tenore di vita; sono anche i più soddisfatti (85%) del funzionamento del sistema democratico, ancora una volta all’estremo opposto degli elettori di estrema destra (16%). Al tempo stesso, il 62% di essi auspica un radicale cambiamento nella vita della nazione: una percentuale non così inferiore a quelle di AfD (69%) e Linke (72%).[25]
L’impressione è che il partito viva la medesima contraddizione già evidenziata, proprio in Germania, all’interno dei Fridays for Future: il capitalismo è la soluzione o la causa della crisi ambientale?[26] Al momento pare che prevalgano nel partito le voci di integrazione con il sistema capitalista – come evidente anche dallo schieramento di dura contrapposizione antirussa della sua leader, la Ministra degli Esteri in pectore Baerbock – e che alla base verde si debba riadattare un sarcastico giudizio togliattiano: «i compagni del vento in poppa».[27]
Ai contrasti interni a SPD e Verdi si accompagna inoltre la contraddizione del principale partito di opposizione, la CDU, che nelle aree arretrare subisce la concorrenza di AfD e che dovrà scegliere se tornare a inseguire quei voti o se sfidare Verdi e FDP nel tessuto urbano.
La FDP, infine, appare il vero elemento alieno nella Ampelkoalition. Solo il 23% degli elettori liberali si augurava un governo a guida socialdemocratica, mentre il 52% avrebbe preferito la continuità della CDU. Il “semaforo” si collocava in fondo alle loro preferenze, dietro una Grande Coalizione allargata con CDU e SPD e dietro un accordo “Giamaica” con CDU e Verdi. In quanto partito delle classi alte, sono in diretta opposizione ai ceti che hanno consentito la vittoria della SPD. In materia di politica sociale sono il partito più conservatore dopo la CDU e il più xenofobo, il più islamofobo e il meno preoccupato della crisi ambientale dopo AfD, collocandosi dunque a molta distanza dalla sensibilità dei Verdi.[28]
Il pragmatismo tedesco, naturalmente, è leggendario. Il contratto di governo è stato approvato quasi all’unanimità dalla FDP e prevede una serie di interessanti misure. Da un lato la necessità di riavviare in fretta il ciclo produttivo e commerciale, reimpostandolo attorno a un mercato non più necessariamente globale (nearshoring): di qui il bisogno, per garantire la riproduzione di una forza-lavoro che non può più essere comprata offshore (non più come una volta, almeno), di aumentare il salario minimo e le prestazioni welfaristiche e di estendere il blocco degli affitti. D’altro canto a questi mutamenti quantitativi si pongono dei freni e dei contrappesi per evitare che essi giungano a mutare anche la qualità del sistema socio-economico: donde misure come il voto ai sedicenni, per garantirne una rapida integrazione nelle istituzioni, il ritorno al blocco del debito pubblico dal 2023 e, non ultimo, l’odierno panem et circenses della legalizzazione della marijuana.
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Ai fini del presente articolo, nel risultato della CDU è stato aggregato anche quello della CSU in Baviera. ↑
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https://www.tagesschau.de/inland/btw21/waehlerwanderung-bundestagswahl-103.html ↑
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Tabelle: Ergebnisse nach Wahlkreisen (flacher Aufbau), https://www.bundeswahlleiter.de/en/bundestagswahlen/2021/ergebnisse.html ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-cdu.shtml ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-aktuellethemen.shtml ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-job.shtml ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-alter.shtml ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-spd.shtml ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-aktuellethemen.shtml ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-afd.shtml ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-aussagen.shtml La percentuale degli elettori non-AfD è stata ricavata da un calcolo sul risultato elettorale del partito (10%). ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-linke.shtml ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-gruene.shtml ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-aussagen.shtml ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-aktuellethemen.shtml ↑
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Con SPD e FDP. ↑
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Con SPD e CDU. ↑
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Con CDU e FDP. ↑
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In dimensione federale tutti i 55 collegi della ex Repubblica Democratica Tedesca hanno sia un reddito familiare pro capite sia un PIL pro capite inferiore alla media nazionale, con la sola eccezione del collegio di Dresda 1 (reddito basso, PIL alto). ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-ostdeutschland.shtml ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-kandidaten.shtml ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-koalition.shtml ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-aktuellethemen.shtml ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-lebensverhaeltnisse.shtml ↑
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https://www.repubblica.it/esteri/2021/11/17/news/continental_breakfast_lena_die_welt_fridays_for_future_radicalizzazione_sinistra-326555432/ ↑
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P. Togliatti, La guerra di posizione in Italia (a cura di G. Fiocco e M. L. Righi), Einaudi, Torino 2014, p. 249. ↑
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https://www.tagesschau.de/wahl/archiv/2021-09-26-BT-DE/umfrage-lebensverhaeltnisse.shtml ↑
Immagine di PeterDost da Pixabay
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.